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chapter four i don't know what I'm feeling
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Morgan sospirò a fatica, mentre giaceva davanti tra lo specchio e il letto, con un cargo beige a vita bassa e una maglietta nera attillata e corta fino a sopra lo stomaco. Ad ogni respiro le tremavano le labbra, cercava di reprimere le lacrime che si insinuavano tra i suoi respiri più profondi mentre osservava ogni sua mossa con attenzione allo specchio.
Odiava stare da sola, perché nella sua testa ripeteva ogni volta lo stesso scenario: il suo viso, quello che una volta baciava con dolcezza, ora sentirlo nauseante. Il suo sudore mischiato al suo deodorante maschile che le faceva venire il vomito. I suoi polpastrelli rugosi che prima le facevano solletico ora le stringevano lo stomaco con forza, lasciandole lividi violacei sulla parte esterna della pancia, accanto ai fianchi.
E beh, infine, il dolore che le accarezzava le corde vocali ad ogni grido che tirava. Il solletico alla gola che le faceva venir voglia di tossire e i singhiozzi di quando realizzò che era finita e che non ci poteva fare più nulla.
Morgan sospirò un'altra volta, l'ultima per ora, e si pulì la lacrima che le bagnò il viso, legando i suoi ricci in due treccine che ricadevano dietro in un codino riccio e si guardò un secondo, fissò l'addome in particolare, odiandolo con tutto il cuore.
Il punto, è che Morgan non puntava ad essere perfetta, ma bensì a qualcosa di più simile al bello, ma alla fine è inevitabile, paragonarsi allo stereotipo definito perfezione, perché, nonostante la superiorità e la voglia di essere differenti, il perfetto piace a tutti, chi di più chi di meno.
Ma la perfezione esiste davvero? Oh Morgan credeva di no, finché non si è impuntata una figura in testa e tutto ciò che avrebbe fatto sarebbe stato un passo per raggiungere quella sagoma, ma ben presto, scoprì che la perfezione è soggettiva, ognuno ha quello stereotipo in testa, che definisce l'apice della bellezza, ma sono figure diverse tra persona e persona.
