La Ballata dei Morti - Prima parte

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Bodmin, 1673

I violoncelli suonavano melodie macabre alle porte dell'immenso castello. La litania veniva ripetuta in latino e a bassa voce, altrimenti avrebbe sovrastato gli strumenti ma, per il resto, si cercava di fare più silenzio possibile.
A presenziare vi erano almeno una ventina di uomini illustri insieme alle loro famiglie, provenienti dall'intero Regno d'Inghilterra, e gente umile, di ceto inferiore. D'altronde William Blackwood si era fatto amare da tutti, dalla classe sociale più alta a quella modesta, non era una sorpresa che fossero lì per rendergli omaggio.

Un giovane ragazzo dai capelli lunghi e neri come la pece alzò appena la testa nella speranza di scorgere qualche volto conosciuto, però non ne vide alcuno. Si maledisse per non aver ascoltato il padre quando ancora era in vita, quando gli aveva proposto di seguire le sue orme negli affari e in politica: Allerick Blackwood aveva solo la musica nella mente e nel cuore, il resto aveva ben poca importanza. Ora però stava vivendo sulla propria pelle le conseguenze di quella scelta da sciocco. Uno sciocco che ora nelle mani possedeva un patrimonio immenso.
Si sentiva rincuorato solo dalla presenza dello zio accanto a sé, dato che era certo si sarebbe preso carico lui di tutto ciò a cui adesso avrebbe dovuto far fronte il nipote.

Musica e preghiera lasciarono posto dapprima al silenzio, successivamente a bisbigli, infine alle chiacchiere dei presenti. Allerick venne sovrastato dalle condoglianze e dalle parole buone nei confronti del padre, come se d'altronde avrebbe potuto ascoltare altro.
Sir William Blackwood era stato un uomo ambiguo, dedito inizialmente al suo ruolo da prestigioso banchiere, per poi intrufolarsi come un ratto nella politica del Regno, attraverso la nascita del Blackwood Institute. L'istituto correttivo giovanile, difatti, era il più severo dell'epoca e quindi preferito dalle famiglie potenti, che non volevano perdere il loro tempo a cercare di educare i figli, bensì preferivano lasciare l'incarico ad altri.

Ma la guerra fu sua amica.
Era stato un combattente fantasma, aveva mosso i fili come un abile burattinaio, ma aveva perso. Era morto in solitudine e rassegnato alla sconfitta che anni prima aveva dovuto sopportare, in silenzio, senza farsi sentire da nessuno.

Allerick lo odiava.
Non sapeva se questo sentimento l'avrebbe spinto ad abbandonare tutto o a prendere in mano la sua eredità e cercare di non cadere negli stessi sbagli del padre. Al momento non ne voleva sapere proprio niente. Voleva continuare a guardare quella massa di gente che piangeva per un uomo che non avevano mai conosciuto veramente, come non lo conosceva lui, dopotutto.

«Signori Blackwood, vi porgiamo le nostre più sentite condoglianze. Ci dispiace interrompervi nel mezzo della cerimonia, ma avremmo delle cose di cui parlare con voi.»
Due uomini ben vestiti squadravano zio e nipote, rivolgendo espressioni morbide e rassicuranti al ragazzo proprio come se stessero parlando con un bambino - in effetti i vent'anni da poco gravavano sulle spalle del giovane. Egli annuì e fece per seguire i gentiluomini, tuttavia i suoi occhi si incastrarono in una figura, la quale con lo sguardo lo chiamava a sé. Allerick sbatté ripetutamente una mano sulla spalla dello zio per richiamare la sua attenzione. «Un momento e arrivo, non iniziate senza di me.»

L'uomo non si accorse del motivo di tanta fretta, ma ugualmente annuì complice. «Ti aspettiamo nella cappella.»

Allerick non perse tempo, quindi corse; si scusò innumerevoli volte mentre urtava corpi avvolti nel nero del lutto e l'unico abito che dava luce, nel suo bianco perla di sfida, si allontanava sempre più. Corse a perdifiato scendendo lungo il fianco della collina e scoppiò a ridere quando vide la figura poggiata ad un albero che non aveva motivo di esistere insieme ad alcuni altri, lì in mezzo. Neanche loro due accanto, ora che ci pensava.

«Sir Blackwood, il funerale non è di vostro gradimento?»

La voce calda e profonda della donna fece chiudere gli occhi ad Allerick, come per bearsi di quella. Si avvicinò a passo lento, per poter riprendere a respirare e a calmare il cuore galoppante. Sia per la fatica, sia per l'odore di miele che gli riempiva le narici, adesso che era accanto a lei. Difatti si era poggiato sul tronco, la testa gettata all'indietro che lasciava in bella vista il pomo d'Adamo pronunciato. Una volta, in segreto, lei lo aveva baciato e poi aveva riso arricciando il naso come sempre. «I funerali non sono mai graditi, signora Hayworth.»

«Oh giusto» disse con sarcasmo, «a volte dimentico.»

Allerick si voltò per poterla guardare. I lunghi capelli color caramello erano stati raccolti, scoprendo il bel volto paffuto e roseo. Sembrava una giovane fanciulla, invece era molto più grande del ragazzo, nonché più bella. Di una bellezza che gli toglieva il respiro ogni qualvolta la incrociasse.

«I funerali riservati alla famiglia sono già stati celebrati ieri. Perché siete venuta oggi? Senza vostro marito poi...»
E vestita di bianco, avrebbe voluto aggiungere. Ma un angelo vendicativo come lei cos'altro avrebbe potuto indossare?

«Perché siete combattuto, vi conosco. Non sapete se continuare ciò che vostro padre ha iniziato, ereditando il suo ruolo, o meno. Quale sarebbe il motivo di tale dubbio?»

«Mi chiedo se ne sarò davvero in grado. È qualcosa di così oscuro, Annabelle. Vivrò come ha fatto lui: nascondendomi e mentendo a chi amo. Il Blackwood Institute sarà la mia casa per sempre, tutte quelle decisioni e persone da far andare d'accordo saranno la mia quotidianità...e i pericoli...»

«La nostra famiglia ha iniziato qualcosa di così grande che neanche immaginate quante glorie porterà al Regno. Sapete che non stimo vostro padre, ma è imprescindibile il lavoro che ha attuato e le vittorie conseguite. Anche voi ci riuscirete». Annabelle avvicinò le dita alle labbra di Allerick, le passò a fior di pelle, riuscì a toccarle per qualche secondo. «Sarete anche meglio di lui. Dovete accettare.»

Il giovane Blackwood non stava neanche più ascoltando: stava annegando negli occhi della donna. «Annabelle...»

«Allerick, mio amore. Servire la loggia è il nostro unico destino.»

Calde labbra si scontrarono, ardenti di desiderio. Allerick avrebbe voluto stringere Annabelle per le braccia, spingerla a sé, tenerla stretta per sempre; invece rimase fermo e ricambiò soltanto il dolce bacio, poiché sapeva come sarebbe sparita subito dopo. Le labbra, difatti, si staccarono e man mano il calore della donna si allontanò. Allerick rimase con gli occhi chiusi, stretti, finché non capì di essere rimasto solo. Solo e cosciente del fatto che presto avrebbe condotto un impero, lei voleva così.

Servire la loggia è il nostro unico destino.

𝐂𝐑𝐈𝐌𝐒𝐎𝐍 𝐂𝐑𝐈𝐌𝐄𝐒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora