30 - L'ALBA DEI MORTI VIVENTI AL CAMPO MEZZOSANGUE

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Nove anni prima della lettura.

Era un'altra giornata di sole al Campo Mezzosangue e la casa Undici era invasa dal caldo, a causa dello spazio ristretto e a tutte le persone che vi alloggiavano, rendendo molto spesso difficile la sopportazione del calore e della confusione e il sonno era molto spesso una sofferenza. Queste erano le ragioni che avevano spinto uno dei membri della capanna ad alzarsi e a cercare di uscire da lì, tentando di non calpestare i suoi compagni di capanna costretti a dormire sul pavimento a causa dell'assenza di letti.

Il semidio aprì la porta, riuscendo finalmente a respirare un po' di aria pulita, agognata per tutta la notte.

Il sole era ormai sorto, anche se non era particolarmente alto nel cielo, e già lanciava i primi segni di una giornata particolarmente afosa, cosa molto frequente durante quest'estate.

I capelli del semidio, mossi e disordinati dopo la notte di sonno, alle tenebre della capanna buia sembravano neri ma colpiti dai raggi solari mostravano la loro tonalità di marrone scuro, ed anche i suoi occhi seguirono il medesimo processo mentre, lentamente, si abituavano alla luce.

Il semidio si guardò introno, notando già diversi dei suoi compagni del campo svegli e pronti per una nuova giornata. Timidamente, il ragazzo scese le gradinate della casa Undici, tenendo la testa bassa e cercando di passare non visto dai pochi semidei mentre si addentrava nel bosco che circondava le capanne.

Attraversava il suo solito percorso, il rumore dei piccoli bastoncini che si spezzavano al suo passaggio rimbombavano nel silenzio mattiniero del campo, accompagnate solo dal fruscio delle foglie mentre venivano colpite da una folata di vento, e finalmente il semidio raggiunse la sua meta: si trattava di una piccola grotta, ai margini del bosco e completamente al sicuro da ospiti indesiderati.

Il giovane semidio si sedette sul terreno, poggiandosi contro la roccia della grotta, godendosi il silenzio e la tranquillità. Purtroppo, non gli era mai piaciuta l'attenzione eccessiva e la confusione che c'era molto spesso al campo. Forse era dovuto al fatto che aveva sempre vissuto in un luogo prettamente isolato e lontano da altre persone, ed ora si ritrovava in un posto pieno di gente rumorosa e che sembrava non essere capace di stare ferma neanche un momento. Non era per nulla il suo ambiente, e per un po' voleva solo avere il suo momento di pace prima di essere gettato in quel caos.

«Sai, ero convito di essere stato abbastanza chiaro quando ho detto che era pericoloso spingersi ai limiti del bosco.»
Nicolò sobbalzò alla voce improvvisa che parlò dietro di lui e si mosse immediatamente, estraendo la sua spada decisamente troppo leggera per lui e voltandosi allarmato. All'entrata della grotta trovò un centauro, un essere la cui metà inferiore era quella di un cavallo e quella superiore umana, che lo guardava con un sopracciglio alzato. Dei capelli ricci marroni gli cadevano sulle spalle, mentre una barba lunga del medesimo colore gli copriva la parte inferiore del viso.

I lineamenti del centauro erano duri e solenni, mostrando chiaramente qualcuno che aveva accumulato anni di esperienze non solo nel combattimento, ma anche nelle varie arti. Il suo sguardo irradiava conoscenza e saggezza, ma rendeva anche abbastanza chiaro che non qualcuno che volevi avere come avversario.

La parte superiore del corpo era coperta da un'armatura, con una faretra portata sulla schiena. La metà inferiore, invece, era quella di un cavallo bianco con la coda nera.

Il semidio tirò un sospirò di sollievo e rinfoderò l'arma. «Scusa, Chirone. Ma... ecco, ero curioso ed avevo iniziato a esplorare; poi ho trovato questa grotta e...»

«E immagino che ti sia piaciuta» finì il centauro, guardandosi intorno.

Nicolò arrossì leggermente, guardando il terreno.«Be', sì. È tranquilla.»

LETTURA ATTRAVERSO IL TEMPODove le storie prendono vita. Scoprilo ora