Capitolo 2

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                                                                                            Marco


Un guizzo di luce aveva preso di mira il cuscino su cui mi ero addormentato, girai la testa più e più volte ma quest'ultimo non dava tregua e alla fine dovetti cedere e spalancare gli occhi.

La grande finestra che dava sul vialetto era rimasta aperta e nella stanza riecheggiava la tenera luce dell'alba.

Accesi il cellulare, erano le 5.30 del mattino. Avevo dormito solo 4 ore eppure mi sentivo stranamente pimpante.

Con un po' di luce potetti finalmente esaminare meglio quello che era il mio alloggio per i successivi giorni. La sera prima spiegai ai proprietari i motivi della mia improvvisata in paese e Silvia avevo insistito perché rimanessi per i giorni necessari a sbrigare tutte le pratiche. In accordo avevamo stabilito che avrei fatto la spesa per tutti fino alla mia partenza.

Nonostante una parlantina logorroica di lei, Pedro sembrava un tipo apposto, silenzioso quanto basta per sapere le cose essenziali.

La stanza era semplice, la brandina era sistemata al centro della stanza mentre una libreria circondava le pareti dell'intero perimetro. Incredibile quanti libri avesse accumulato il vecchio proprietario e che spreco che tutta quella sapienza rimanesse a prendere polvere fino a chissà quale giorno. Sul pavimento c'erano diversi fogli e mappe geografiche, proprio sotto la larga finestra un divano di pelle aspettava di essere spolverato come Dio comanda. Sistemata un po',poteva essere ciò che faceva al caso mio.

Abbandonata vicino alla porta mi osservava la valigia che il giorno prima avevo fatto con poca attenzione. Cercai un cambio pulito e lo portai nel bagnetto. Feci una doccia veloce e indossai la camicia blu che mi aveva regalato Melissa e dei jeans strappati.

Osservai il mio riflesso al piccolo specchio sopra il lavandino. Avevo voglia di bere, vedermi con quella camicia in dosso mi fece venire dei crampi allo stomaco. Pensai a Barcellona e a quando desiderassi potervi tornare per sprofondare nella mia solita routine solitaria.

Mi feci forza e mi imposi che quella mattina prima di incontrare l'avvocato sarei uscito per comprare la colazione ai miei nuovi vicini.

Ricordavo bene le stradine sterrate che si affacciavano sul mare. Quel posto un tempo mi sapeva di romantico e nostalgico, ora mi irritava. Mi ricordava solo a che punto fossi della mia patetica vita.

Arrivai nei pressi del piccolo molo del paese e cercai di individuare un bar aperto.

Niente. Sembrava di essere in mezzo al nulla. Ci mancavano le palle di fieno a rotolare tra le case per ricordare di quanto silenzio ci fosse in un paese tanto in decadenza. Proprio quando stavo tornando verso casa, vidi qualcuno alzare una saracinesca ed entra dentro quello che pareva un locale. Avvicinandomi all'ingresso notai una lavagna sospesa in aria che diceva: < Serviamo colazioni, pranzi di lavoro e cena! Ti aspettiamo per provare il nostro favoloso limoncello!>.

" Bingo!" esclamai più ottimista.

Quando decisi di spalancare la porta una campanella preannunciò il mio arrivo. Il locale doveva essere stato ristrutturato di recente perché il pavimento era laminato di un rovere scuro, le sedute tutte beige e il bancone di un bianco lucido. Un profumo di cornetti e sfoglie assalì il mio olfatto. Finalmente un posto che sembra al passo con la nostra generazione.

" C'è nessuno? Dovrei ordinare". Dissi ad alta voce quando capii che il proprietario era rimasto sul retro della cucina.

La vidi comparire con lo sguardo rivolto sul grembiule che stava accuratamente allacciando intorno alla vita. Uno chignon morbido mostrava il viso sottile, il naso arricciato e le guance leggermente arrossate. Un ciuffo ribelle le era sfuggito proprio davanti agli occhi e con le labbra soffiava all'in su per evitare che le intralciasse la visuale.

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