Prologo

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Fino al giorno in cui non accadde a me, non avevo mai creduto alla leggenda.

Naturalmente ne subivo il fascino, come un bambino attratto dalla danza delle ombre cinesi anche dopo averne scoperto il segreto, ma mi trovavo completamente d'accordo con Gaio Sallustio Crispo quando annoverava i miti tra le «cose che non accadono mai ma che esistono da sempre». Forse è per via di questa mia convinzione che non mi accorsi subito di ciò che stava succedendo. Del resto, l'essere umano è sordo ai cambiamenti; e a qualunque lingua che non sia la sua, perfino quella del suo stesso corpo. Non importa quanto questo ci parli, tenti di inviarci i più disparati segnali di avvertimento, o ricorra a mezzi estremi come la paura e l'angoscia; ci accorgiamo di qualcosa solo quando diventa tangibile.

Lo stesso accadde a me. Notai il cambiamento soltanto quando cominciai a non distinguere più i rumori. D'improvviso mi sembrava di vivere sott'acqua, o in un sogno perpetuo. Quella sensazione di ovatta nelle orecchie mi riportava indietro all'epoca dei miei sfortunati otto anni, quando soffrivo regolarmente di otiti che mi costringevano a trascorrere mattinate intere tra le mani plastificate di vecchi otorini. Chiunque abbia sofferto da bambino a causa di problemi a un organo di senso sviluppa un certo legame con esso durante la sua crescita, un patto d'alleanza che dura tutta la vita: sono stato debole un tempo, padrone, e ti ho causato molta sofferenza, ma adesso diventerò la tua arma migliore. Inutile dire che io ero formidabile ad ascoltare le persone, e sarebbe altrettanto inutile aggiungere che molti sfruttavano la mia gentilezza come una scala a pioli per arrivare in cima al loro ego. Parecchie volte ho chiesto vendetta a Dio contro quelle persone, ma la risposta è arrivata da un'altra parte. Strisciando.

Prima che tutto accadesse, non credevo che uccidere potesse essere così facile. Naturale, quasi. Chi direbbe mai che una tigre è un'assassina? Un carnivoro uccide perché è nella sua natura, e per questo non ha colpa. Eppure la stessa regola non vale per tutti i carnivori. C'è un giudizio morale anche in natura, perfino in Dio.

I problemi all'udito furono solo la prima avvisaglia. Poi toccò agli occhi: non avevo mai avuto una vista impeccabile – con loro niente patto di alleanza – perciò non notai subito la differenza. La consapevolezza arrivò, come spesso accade, insieme a un forte senso di fastidio. Sentivo le palpebre bruciare e tirare, quasi fossero legate con un filo invisibile alle mani di un sadico prestigiatore; finché, a furia di tendersi, non si ridussero a un lembo di pelle appena visibile attorno agli occhi. Non era doloroso, ma lo fu guardarmi allo specchio.

Se c'era una cosa che migliorò, invece, quella fu l'olfatto. Quando tutto finì riuscivo a percepire un odore anche a quattro chilometri di distanza. Un libro che ho letto diverso tempo fa diceva che i cani avvertono gli odori come se fossero colori, e che per loro usare il fiuto è come andare a pesca nel mare dei profumi: ogni effluvio che abbocca all'amo della coscienza provoca un'euforia stupefacente. Lo chiamano il delirio del cacciatore. Qualcosa di simile accadde anche a me, solo che, a differenza di quello dei cani, il mio fiuto era decisamente più selettivo. Era come innamorarsi: quando un odore mi colpiva, subito si trasformava in un profumo che avrei voluto indossare sulla mia pelle a qualunque costo. Ancora oggi è così.

Ma il cambiamento più estremo di tutti avvenne a un livello più superficiale. Letteralmente. Per giorni sentii la pelle dilatarsi; il mio corpo era diventato argilla fresca sotto il tocco di un esercito di dita moleste che cercavano di modellarmi a immagine e somiglianza delle loro manie.

Alla fine, la pelle cadde, scivolando via dal mio corpo come un mantello trasparente. Solo che non era più pelle umana.

Era pelle di serpente.

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