2. Nessuno muore giovane a Patharnum

29 6 15
                                    

Nello stesso momento in cui padre Georg si piegava di fronte all'inginocchiatoio per dedicarsi alle preghiere mattutine, due fatti ebbero a verificarsi contemporaneamente: una piccola carrozza entrava cigolando nelle mura antiche di Patharnum, e l'ispettore Clesius varcava la soglia della stazione di polizia. Eretta al centro della piazza principale del paese, si presentava come un pericolante edificio in mattoni tenuti insieme dalla grazia divina. Del resto, in un paese come Patharnum la stazione svolgeva tuttalpiù un ruolo di rappresentanza, come una bandiera logora dai colori ormai sbiaditi. Questo perché nel paese raramente si verificavano dei crimini, e quando lo facevano, era sempre in sordina; piccoli furti, scaramucce tra commercianti o zuffe maldestre tra i più giovani frequentatori dell'unica osteria del paese che chiudeva i battenti allo scoccare delle ventidue: questi erano i misfatti più comuni a Patharnum.

La maggior parte delle volte a chiamare l'ispettore Clesius erano proprio le persone coinvolte direttamente nei fatti. E quando lui arrivava, di solito la crisi era già passata. Eppure Clesius si sedeva, ascoltava con calma tutti, colpevoli o innocenti, e annotava ogni cosa sul suo inseparabile taccuino. Nessuno capiva il motivo di tanto zelo, dal momento che gran parte delle volte la questione si risolveva con qualche frase di circostanza e una cordiale stretta di mano.
Una sera, mentre osservava due giovani accalorati dal vino confessarsi le rispettive scuse di fronte allo sguardo impassibile dell'ispettore Clesius, l'oste gli aveva chiesto perché si ostinasse tanto a prendere appunti sui suoi casi, se potevano dirsi risolti ancor prima del suo intervento. Clesius aveva posato su di lui i suoi occhi piccoli e neri. «Sono le mie prove generali, Gotta», aveva detto, e poi si era ritirato tra le ombre della notte.

Tutti in paese lo rispettavano, più per il ruolo istituzionale che ricopriva che per reale stima nei suoi confronti. La verità era che, a dispetto dei suoi cinquant'anni trascorsi per intero a Patharnum, nessuno di loro avrebbe potuto dire di conoscerlo veramente. A osservarlo bene, poi, non somigliava nemmeno a un abitante locale: lo sguardo quasi sempre basso, le spalle curve per schivare le occhiate incuriosite dei compaesani, e quell'ombra di malinconia che gli offuscava l'espressione facevano di lui un individuo anomalo, quasi che il Creatore si fosse dimenticato di completare la sua opera e l'avesse lasciato così, come un mezzo busto in una galleria di statue a corpo intero.

Quella mattina, come ogni mattina dei precedenti ventotto anni di servizio, con movimenti lenti e pacati Clesius si sedette alla scrivania tarlata. Sistemò giacca e panciotto già perfettamente stirati e controllò l'ora sul suo orologio da taschino in argento. Il taccuino era riposto come di consueto nella tasca interna della giacca, a riposo, perché in quel momento era il turno delle scartoffie impilate sulla scrivania. Si trattava di vecchi rapporti, lunghi al massimo metà pagina, che si dilettava a sfogliare con regolarità, come per ripassare un copione. Quando giungeva al termine della pila, riponeva i fogli nell'angolo in alto a destra della scrivania, formando una torre non troppo precisa, pronta per essere riordinata in un altro momento di stasi. L'archivio con i rapporti dei predecessori giaceva alle sue spalle, innevato di polvere, ma se avesse rinchiuso lì la sua pila si sarebbe privato del suo unico rito scaramantico contro la noia. Così, invece, aveva una scusa per sentirsi impegnato.

Ma perlopiù l'ispettore Clesius aspettava.

D'inverno si teneva pronto per gli effetti allucinatori che il caldo avrebbe avuto sui placidi abitanti di Patharnum, mentre d'estate si preparava in vista dei deliri delle prime febbri invernali. Viveva proiettato in avanti, tanto che il collo aveva finito col curvarglisi sotto il peso di quell'attesa, come a voler tendere un agguato alla vita. Fu per questo, per il fatto di aver vissuto gli ultimi dieci anni immaginando l'arrivo di un'emergenza, che quando la signora Fulgat irruppe nel suo ufficio con le guance spruzzate di porpora e il fiato mozzato da un'angoscia crescente l'ispettore Clesius non batté ciglio.

Sicut serpentesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora