4. Caccia all'oro

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Clesius camminava nella bruma del mattino. Aveva consegnato il corpo di padre Naio all'obitorio pochi minuti dopo l'alba per poi dirigersi, a piedi, in commissariato. Aveva bisogno di riflettere, e la carrozza non avrebbe fatto altro che ingarbugliargli la mente, gettando alla rinfusa pensieri e congetture. Niente di tutto questo si sarebbe reso necessario se padre Naio si fosse semplicemente limitato a morire. Il paese l'avrebbe pianto seguendo la consueta settimana di lutto prevista dalla prassi, dopodiché avrebbe ripreso ad abbracciare la sua placida quotidianità.

Ma non in quel caso. No, padre Naio era stato ucciso, e questo avrebbe lasciato un segno indelebile in tutte le vite degli abitanti di Patharnum, che già avevano preso ad agitarsi per le strade come fiumi di formiche impazzite. Nonostante mancassero ancora delle prove sostanziose, tutti sapevano che si era trattato di omicidio. Nessuno osava pronunciare quella parola, eppure essa pareva diffondersi dappertutto: s'insinuava tra una pausa e l'altra durante le confabulazioni delle combriccole di compaesani riuniti, strisciava sotto l'uscio dei portoni chiusi a chiave per la prima volta in tutta la storia di Patharnum; la portava il vento, il sole la illuminava tra i pulviscoli di polvere danzante, l'aria ne era gravida. Clesius riusciva perfino a respirarla, insieme all'odore aspro del fiume.

A quel punto i suoi passi si fermarono, e l'ispettore notò un fatto che finora non si era mai verificato: il suo corpo, di solito un fedele sottoposto, gli aveva disubbidito, portandolo nei pressi del fiume anziché nel cuore della piazza comunale. Chissà come, le gambe avevano deciso da sole che la sua presenza si sarebbe rivelata più utile sul luogo del delitto piuttosto che al riparo nella muta solitudine del suo ufficio. E in effetti avevano ragione: il posto di un ispettore era il fuori, nel cuore dell'azione, non in una vecchia tana ammuffita.

Clesius camminò fino al punto esatto in cui la giovane perpetua aveva trovato il corpo. Il blocco di tronchi era ancora là, al centro del fiume, come un amante in attesa del ritorno dell'amato. Alcuni rami si erano addirittura spezzati in seguito alla rimozione del cadavere, quasi non potessero sopportare un simile distacco. Nessuna traccia di sangue; l'acqua, da brava complice omertosa, le aveva già lavate via tutte. Se non avesse visto con i propri occhi il corpo di padre Naio incastrato in quell'abbraccio mortale, Clesius non avrebbe mai creduto che fino a pochi minuti prima lì c'era stato un cadavere.

Lasciò perdere i tronchi e fece scivolare lo sguardo attorno. Arrivando non le aveva viste, perché l'erba era abbastanza alta da nascondere il terreno, ma ora, osservando da vicino, Clesius le notò: una serie di impronte tutte uguali, impresse nel fango, partivano dal punto in cui sostava l'ispettore per snocciolarsi lungo la sponda. Clesius le seguì, lievemente accovacciato, come un cacciatore d'oro in cerca del suo tesoro. E in un certo senso non esisteva immagine più calzante per l'ispettore, lui che non aveva nient'altro all'infuori dello scopo del proprio lavoro, un lavoro che tuttavia imponeva, per essere svolto con perizia, di sporcarsi le mani. 

Perché l'oro si nasconde nel fango.
E fu proprio nel fango accumulatosi nel giardino della sacrestia che lo condusse la sua caccia. Le impronte terminavano lì, quasi che, chiunque le avesse lasciate, fosse stato fatto comparire direttamente dallo Spirito Santo e guidato fino al cadavere. Clesius si accovacciò del tutto, incurante del danno irreparabile che in quel modo avrebbe causato a scarpe e calzoni. Le impronte lì erano più definite: sembravano di scarpone, uno scarpone da uomo a giudicare dalla taglia, ma un uomo che doveva essere o molto magro, o molto giovane, considerata l'incertezza con cui la suola aveva calcato il terreno.

Clesius registrò quel dettaglio nella mente e si rialzò. Lo sguardo volò a ispezionare il profilo frastagliato della canonica, un triste agglomerato di pietre e calce che da quel giorno avrebbe ospitato una vita in meno.

L'ispettore l'aveva sempre saputo: anche le case hanno un'anima, ma che dire delle chiese? Le case appartengono ai loro padroni, mentre le chiese sono di tutti, e questo le mette al riparo dal rischio dell'abbandono. Eppure, un fatto potente e straordinario come la morte doveva per forza impattare anche quelle mura; a cambiare era il modo in cui sentivano il lutto. In silenzio, con dignità, era così che Clesius s'immaginava che la canonica affrontasse la dipartita di padre Naio: come una vecchia signora dalle rughe talmente spesse da non lasciar passare nemmeno una lacrima.

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