𝕼𝖚𝖆𝖙𝖙𝖗𝖔

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𝒟𝒶𝓅𝒽𝓃𝑒...

<<Parliamo di cose serie adesso...>> Dichiara Vane sedendosi sul bordo del letto su cui sono seduta, lanciandomi uno sguardo preoccupato.

Ho già paura...

Dopo l'incontro con William, io e Vane siamo andate a casa sua. Ha una normale villetta californiana, nulla di troppo appariscente.

Io a differenza sua vivo in una casa molto più grande ma preferisco di gran lunga una di quelle casette semplici e accoglienti, sono sempre stata una fan delle abitazioni campagnole. Trovo che i tre piani, compreso il tetto dove c'è la piscina sia coperta che all'aperto, sono troppo esagerati e che avere una palestra nel seminterrato sia inutile quando si può avere una vista sui campi seminati.

Sembro una contadina per caso?

<<Cosa è successo con Alex?>> Mi chiede guardandomi dritta negli occhi e facendo dondolare la gamba rimasta a penzoloni dal letto.

Cos è successo? Se è un coglione non è colpa mia.

<<Niente. Assolutissimamente niente. Mi ignora, non mi scrive, non mi telefona e non mi risponde neanche!>> Ammetto frustrata alzando un dito per ogni dichiarazione, poi mi lascio cadere all'indietro sul materasso.

<< Per me devi lasciarlo.>> Ammette sincera con nonchalance. Mi alzo di colpo.

<< Seria?>> La guardo storto <<Secondo te solamente perché mi ignora da qualche giorno devo lasciarlo?>>

<< Secondo me non avresti proprio dovuto metterti con lui. Poi, sai non è molto normale che ignori la sua ragazza.>>

<< Poi... potresti trovare qualcun altro meglio di lui, cosa parecchio facile perché meglio di lui è persino una soletta di una scarpa.>>

<<Certo, quello si sapeva se devo ammettere, ma per te è facile tutti ti adorano.>>

<< Qui ti sbagli, ad esempio vogliamo ricordarci che ti ho trovata a cinque centimetri di distanza dalla faccia, di quello strafigo di William White?>> Si lascia scappare un sorrisino alzando e abbassando le sopracciglia incuriosita.

<<Cosa mi devi dire?>> Continua punzecchiandomi e avvicinandosi di più a me, provocandomi.

Rido.

Ma non una risata felice. No, una risata isterica.

All'improvviso mi rivengono in mente i ricordi di stamattina.

<<Dai raccontami, se stavi parlando col più figo del college voglio almeno sapere come è successo>> la sua curiosità mi fa sorridere.

Inizio a giocherellare con l'angolo del cuscino giallo che tengo sulle ginocchia.

<<Non è successo niente di speciale o interessante, se non che ha rischiato di ricevere un bel destro e spaccarsi quel meraviglioso naso alla francese.>>

Possibile che non ha neanche un cavolo di difetto? No non credo.

Così ho iniziato a fare una lista mentale di eventuali difetti estetici. Niente, non ho trovato niente.

<<Solo questo? Pensavo qualcosa di più interessante...>>

<<Mi dispiace, solo questo.>>

<<In realtà io vorrei soffermarmi sulla parte "Quel meravigliose naso alla francese">>

<<E' solo un cazzo di complimento, non si può negare che è perfetto e poi solamente perché ciò parlato una volta non vuol dire che è l'amore della mia vita.>> Cerco di fargli notare e Vane mi guarda annoiata.

Continuiamo a chiacchierare per il resto del pomeriggio. Fino a quando penso che è un orario ragionevole per tornare e che probabilmente non mi sopporterà più. Così la saluto con un abbraccio e le auguro una buona nottata, poi mi incammino verso casa mia. Non abitiamo lontane, sarà meno di un chilometro.

Una volta giunta a casa, vengo "accolta" se così si può dire, da i miei due fratelloni coricati sul divano.

<<Daphne! Dov'eri?>> mi chiede Lucas alzandosi e raggiungendomi in cucina, si appoggia al bancone sul lato opposto a dove mi trovo io.

<<Magari a farsi qualche tipo conosciuto oggi al college...>> risponde una voce sempre più vicina.

Io e Lucas squadriamo Blake con uno sguardo e lui puntualmente si mette a ridere.

<<Idiota ero da Vane e poi...>>>

<< E poi se scopro una cosa del genere gli spacco la faccia a chiunque abbia osato fare una cosa del genere>> mi interrompe Lucas raddrizzandosi e incrociando le braccia.

<<Oh, allora inizia a spaccare la faccia al tuo amichetto del cuore, ti ricordo che stanno assieme>>

<<Ma se non spaccassimo la faccia a nessuno?>> cerco di calmare un po' le acque.

<<Parla quella>> affermano entrambi voltandosi e fissandomi.

Li guardo male per un secondo, poi decido di cambiare il discorso.

Anche se quello che per chiedere probabilmente mi manderà su tutte le furie ancora di più.

<<Mamma dov'è? Stamattina era a casa stranamente...>> chiedo perplessa. Entrambi mi guardano sconsolati, posso capire la risposta, sarà partita per qualche suo viaggio "di lavoro", la cosa che mi fa più incazzare è che nel corso degli anni sono successe abbastanza cazzate a causa della sua assenza, ma non è mai cambiato niente, continua a sbattersene e partire quando gli pare senza mai avvisare nessuno. Non che a noi cambi qualcosa, tanto è sempre in giro per il mondo e noi purtroppo ci abbiamo fatto l'abitudine.

<<Io non ceno.>> Affermo salendo gli scalini due a due per arrivare il prima possibile alla mia stanza, una volta dentro mi ci chiudo.

La vibrazione del telefono, nella mia tasca, mi fa sussultare.

Mike: Hey sorellina, come andato il primo giorni all'inferno?

Mike è il mio fratellone più grande, il college gli ha offerto uno stage lontano da qui, in centro America e lui ovviamente ha accettato. Trovo che è molto carino da parte sua il fatto che sei ricordato nonostante si trovi molto lontano da qui, non lo do per scontato.

Io: Diciamo bene, non è proprio un inferno.

Mike: Magari per te che sei un diavoletto non è tanto infernale.

Io: Ha ha ha, molto divertente.

Al mio messaggio aggiungo un emoji con un dito medio.

Mike: Ti lascio, fare la stronza tutto il giorno deve essere stancante, notte.

Io: Notte fratellone (tvb).

Mike: (anche io).

Mi rendo conto che in effetti è tardi, in più sono esausta dalla prima giornata, così opto per infilare la maglia a mezze maniche del pigiama e i pantaloncini. Mi stendo nel letto e decido di andare un po avanti con la lettura di "Cime tempestose" di Emily Brontë.

Sono sempre stata un'amante dei classici, così sfogliando pagina dopo pagina mi addormento di fianco all'opera di Emily. Ma entrare nel sonno per me vuol dire solo una cosa, tornare ad avere quindici anni, anche se per poco tempo questo basta a farmi stare male solo a pensarci.


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