ii.

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Pioveva e Gojo osservava le gocce di condensa guizzare sulle vetrate, lasciandosi dietro una scia di polvere di stelle. La collina brulla che si ergeva oltre la finestra appannata, pareva danzare, accompagnata dal fiato leggero del vento. Potevamo essere noi. Potevamo avere tutto.
Quando Yaga gli aveva dato la notizia poco più di due settimane prima, il ragazzo era rimasto genuinamente stupito. Non era possibile: quello che gli aveva riferito il vecchio preside andava ben oltre ogni mero concetto di razionalità. Eppure lui non era l'unico a vestire il suo migliore amico da assassino e qualche giorno dopo ne ebbe la conferma proprio dallo stesso. Gojo non riusciva minimamente a concepire -o meglio si rifiutava di farlo- il fatto che la persona con cui aveva condiviso il sorriso, quello sincero, per i giorni migliori della sua vita fosse ora così lontano, così inafferrabile. E ora come ora quei momenti di spensieratezza apparivano così impossibili, così distanti, il lontano ricordo di un'infanzia che da ora in avanti non avrebbe più avuto modo di vivere o che forse semplicemente non aveva mai vissuto. Si sentiva così impotente, inutile per non essere stato capace di ascoltarlo. Che razza di amico si comporterebbe come aveva fatto lui? Lo aveva lasciato andare e con lui pure una parte di sé.
Si sentiva tradito, ma non si sentiva di odiarlo o di dargli tutta la colpa. Certo, sarebbe stato arrabbiato con lui ancora per un po': cosa ne era stato dei piani che avevano fatto?
Qualcuno bussò alla porta e lo distrasse dai suoi sproloqui. Il suono si propagò lentamente in tutta la casa, aggrappandosi alle pareti. Il ragazzo si affrettò verso l'uscio. Chi poteva essere a quell'ora della notte? Lentamente aprì la porta, rivelando la figura davanti a lui. Suguru guardò Satoru e Satoru guardò Suguru. Gli occhi del colore del cielo terso percorsero rapidamente il corpo del compagno, le ferite che lo tingevano di rosso.
<<Cosa sei venuto a fare qui?>>
Il corvino gli sorrise debolmente e una risata soffusa sbocciò dalle sue labbra.
<<Non avevo un altro posto dove andare>>
L'acqua si mischiava al sangue e i vestiti si appiccicavano all carne come una seconda pelle. Satoru esitò, appoggiandosi distrattamente allo stipite della porta.
<<Cosa ti fa pensare che io ti faccia entrare?>>
Un altro risolino giunse alle sue orecchie.
<<Niente, infatti non lo so>>
Gojo si passò una mano tra i capelli candidi e prese un lungo respiro; si spostò di poco, quanto bastava per permettere al ragazzo davanti a lui di entrare. Cosa era successo? Cosa lo aveva spinto alla sua porta? Cosa lo aveva portato via da lui? Sperava di trovare risposta a tutte queste domande.

Ora si trovavano entrambi in salotto, Suguru non aveva aperto bocca e Satoru, dal canto suo, non aveva ancora rimediato.
<<Vado uhm- a prendere le bende>>
Gojo si alzò e Geto lo seguì con lo sguardo fin quando non lo vide scomparire nel corridoio. Il ragazzo si guardò intorno: era tutto proprio come lo ricordava -le scarpe nell'angolo che doveva essere vuoto, i vestiti sporchi ammucchiati sulla sedia vicino al bagno, il caminetto sempre acceso perché da quando aveva insegnato a Satoru come alimentare la fiamma lui non l'aveva più voluto spegnere.
Di lì a poco il vecchio amico tornò e con pazienza lo medicò in silenzio, forse per concentrarsi meglio, forse perché non aveva voglia di parlargli.
Quando ebbe finito si lasciò cadere stancamente sul divano, mentre Suguru si accomodò sulla sedia vicino al caminetto. Non si stava male, la fiamma avvolgeva i due di un calore così materno e cullante da far rilassare un minimo i muscoli tesi.
<<Bhe allora->>
<<Non mi va di parlarne>> tagliò corto il corvino.
Il silenzio regnava di nuovo alto.
La luna dondolava placida nel cielo infinito e li guardava serenamente, a Gojo diede l'impressione che si stesse prendendo gioco di lui.
<<Comincia ad essere tardi, forse è meglio andare a letto>>
Suguru annuì lentamente, come era suo solito fare. Satoru lo condusse nella sola camera da letto disponibile anche se entrambi sapevano non sarebbe stato necessario: era improbabile che qualcuno avrebbe dormito nelle poche ore di buio che restavano prima che facesse giorno.
<<Buonanotte Suguru>>
<<Buonanotte Satoru>>
I ragazzo era sull'uscio quando il corvino si sentì in dovere di aggiungere qualcosa: <<Satoru -uhm-  sei arrabbiato con me?>>
Gojo rimase sinceramente spiazzato , lo aveva colto alla sprovvista, mai si sarebbe aspettato una domanda simile. Si girò per guardarlo negli occhi, sorrise debolmente.
<<Non posso darti una risposta precisa, perché la verità è che io per primo non so cosa pensare. Quel che ti posso dire è che non è rabbia quella che provo: so che hai un motivo per aver fatto -bhe- quello che hai fatto, io vorrei solo averlo saputo prima>>
Per qualche secondo nessuno parlò , nessuno sentiva il bisogno di farlo dopotutto. I loro sguardi così incerti, così intimi, li fecero ritornare bambini. Per una manciata di minuti cambiarono occhi e cuore. Non erano più lo stregone più forte e la sua nemesi, erano solo Satoru e Suguru avvolti nella luce tenue della luna.
<<Dove pensi di dormire?>> chiese flebilmente il ragazzo dai capelli corvini.
<<Sul divano, in salotto>>
<<L'ultima volta che hai dormito lì mi hai scassato tutto il giorno con il tuo mal di schiena, preferirei evitare questa volta>>
Vedendo l'espressione interrogativa dipinta sul volto di Satoru, aggiunse timidamente:<<Il letto è grande, ci stiamo in due, ci daremo le spalle, come ai vecchi tempi>>
Il ragazzo indugiò per qualche secondo appoggiato languidamente sulla porta.
<<Okay, credo che sia okay>>
Sdraiati nello stesso letto nella stessa stanza, si sentivano così miserabili. Non l'avevano detto apertamente, ma entrambi sapevano che quella storia sarebbe finita con il sangue.

Sentiva il tepore del ragazzo bruciare sulla pelle. Non era una brutta sensazione, anzi. Era quel calore che non riusciva più a trovare in se stesso.
Si chiese se non sarebbe stato meglio lasciarsi tutto alle spalle e rimanere al fianco di Satoru, lui di sicuro avrebbe trovato un rifugio per lui se solo glielo avesse chiesto... . Era consapevole di quanto quei pensieri fossero sbagliati, ideali per questa volta davvero impossibili, ma non poteva far a meno di notare quanto queste idee inaferrabili suonassero così dolci. Non c'era niente di male -si era detto- ad assaporare quei sogni confusi prima che sfumassero del tutto con il lume della ragione. Una vita senza stregoni, senza scimmie, senza maledizioni, una vita solo lui e Satoru.

Lo sentiva vicino, lo sentiva sulla pelle. Eppure non riusciva a rallegrarsene, perché sapeva - sapevano entrambi- di non esser mai stati così lontani. La consapevolezza di doverlo lasciare andare, senza neppure essere mai entrato nel suo mondo. Solo la sua carne bruciava ancora accanto al suo corpo. Satoru sentì di doversi alzare, tanto non sarebbe riuscito a dormire in ogni caso. Si appollaiò pigramente sulla sedia della scrivania, cercando di farsi piccolo piccolo. Osservò il volto di Suguru e la sua espressione corrucciata anche durante il sonno. Visto da lì,  baciato dalla luce delle stelle, gli sembrò proprio di capire che forma avessero gli angeli.

La mattina entrò silenziosa dalla finestra aperta e con essa un rivolo di vento. Suguru si guardò intorno e i ricordi della notte appena trascorsa riaffiorarono a galla. Cautamente si alzò dal letto e subito il suo sguardo scivolò su Satoru. Inconsciamente sulle labbra fresche sbocciò un tenue sorriso. L'immagine del fanciullo addormentato sulla sedia spropositatamente piccola per le membra lunghe gli riempiva il cuore di tenerezza. Delicatamente si fece carico del suo peso e lo adagiò sul letto con tutta la dolcezza di cui era capace. Un paio di orette e lo avrebbe svegliato- aveva voluto immaginare: era ancora presto e quel ragazzo aveva davvero bisogno di dormire. Gli rimboccò le coperte, gli occhi indugianti sulla sua espressione beata.
<<Buonanotte, Satoru>>

Gli faceva male tutto; la sua testa, la sua povera testa, veniva sconquassata senza sosta da fitte struggenti. Il sapore ferroso del sangue secco lo stava soffocando. Scrutò le bende avvolte espertamente attorno al costato con una meticolosità che al suo migliore amico davvero non era mai appartenuta. Chiuse gli occhi e cercò di rivivere il suo sguardo concentrato, i lineamenti eterei, gli occhi tersi. E quella fotografia si aggiunse alle mille che man mano sfumavano nella sua memoria, che cercavano di ritrarre ogni dettaglio, ogni smorfia, ogni risata della persona che più era importante in quel suo piccolo mondo; quella persona che se già allora vedeva in ogni alba, avrebbe presto iniziato a vedere anche in ogni tramonto.
L'esistenza di Suguru era alquanto precaria; si portava dietro poche certezze, così poche da poterle contare sulle dita di una mano, ma di una cosa era sicuro: se solo lui non fosse stato attaccato da quella brutta bestia che è la depressione, allora lui e Satoru sarebbero stati le persone più felici del mondo, insieme. Se qualcuno su quella terra avesse potuto guarirlo, se qualcuno su quella terra avesse potuto donargli il sorriso,  quello sarebbe stato Satoru.  Se solo... .  Ad ogni modo questo non cambiava i piani: era venuto a dirgli addio. E gli addii sono per sempre.
A passi felpati raggiunse il corridoio lì dove da quando aveva memoria si ergeva una grande mensola. Tremante, prese lo scrigno dove il suo migliore amico -che a quanto pareva non aveva smesso di farlo- un tempo teneva le loro foto dei bei vecchi tempi; e come in lutto per la Morte di quei giorni, posò sopra questo una margherita blu.

<<Buonanotte, Satoru>> ripeté, addio.
Lentamente raccolse gli strascichi di se stesso e si rimise insieme. Si avviò verso la porta, lasciandosi definitivamente alle spalle quella notte e con essa la sua infanzia. Satoru dormiva beato e Suguru si faceva sempre più piccolo nella curva dell'orizzonte, fino a scomparire nella luce della neonata alba.

Satoru si svegliò che già era pomeriggio -incorreggibile, avrebbe detto il suo migliore amico, ma il suo migliore amico non c'era più e quindi non glielo avrebbe detto nessuno.
Era stato tutto così breve e veloce, come una cometa, che il ragazzo finì quasi per credere che tutto fosse stato solo un sogno.
<<Ci metterò un po' a farti sorridere di nuovo, da qualche parte nei tuoi occhi, ma non c'è verso che tu continui ad essere solo. Io sono dalla tua parte, lo sono sempre stato e lo sarò sempre, perché dopotutto per me tu sei [...]>>

VIA COL VENTO, SatosuguDove le storie prendono vita. Scoprilo ora