iii.

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Faceva così caldo. L'aria era asfissiante e gli prosciugava il respiro. La pelle prudeva e le orecchie fischiavano. Dalla gola secca spiccavano il volo parole zoppe e indisciplinate, frasi dal senso incompiuto, sentenze insensate.
In verità faceva freddo, si gelava davvero. D'altronde era inverno, e lo era già da tempo. Tuttavia non era quello ciò che percepiva Satoru.
Yaga stava parlando,stava parlando a lui, per precisare, ma quel che arrivava a Gojo non era altro che un brusio indistinto. I pensieri si confondevano e il cucchiaio girava da troppo tempo nella tazzina di caffè ormai freddo. Le tempie pulsavano, di lì a poco l'emicrania sarebbe completamente esplosa. Gojo si allentò come poté la divisa: aveva bisogno di prendere aria.
<<Satoru, Satoru mi stai ascoltando?>>
La voce del vecchio preside interruppe il vorticoso turbine di pensieri e di colpo si fermò tutto. Blackout. La tazzina cadde a terra e si ruppe in mille frammenti di ceramica con uno stridio acutissimo. Il ragazzo si alzò quasi meccanicamente. Yaga rimase in silenzio, aspettando forse che l'altro iniziasse un discorso o magari esordisse con una delle sue battutine scadenti, ma non successe nulla. Satoru non disse niente e si appoggiò alla grande vetrata. Il vecchio lo affiancò dopo poco, lo sguardo fisso sull'esterno, come quello del ragazzo che aveva accanto. L'alito dei due appannava la finestra, piccole nuvolette di vapore che si infrangevano sul vetro. Gli studenti sembravano divertirsi, là fuori. Le loro risate soffuse si levavano ariose come le onde che riecheggiano sugli scogli. Gojo stirò un sorriso aspro e un ghigno stanco sbocciò sulle sue labbra.
<<C'è di mezzo lui>>
Yaga si voltò ad osservare i lineamenti tesi del ragazzo, e quei suoi occhi che, sotto la benda, non dovevano essere meno cupi.
<<Ne sei sicuro?>>
Satoru sospirò silenziosamente. Si prese qualche secondo prima di rispondere, soppesando le parole per essere il più conciso possibile. Si passò una mano tra i capelli, erano passati dieci anni.
<<Non c'è modo che io possa confondere l'energia malefica di Suguru Geto>>
Come evocato da quella confessione, nel crepuscolo si palesò tra le nubi rossastre il più forte stregone oscuro in vita.

<<Satoru>>
Nel vespero, sotto la neve, c'erano solo loro due. Sospesi nell'aria, ritornavano a galla esuli pensieri, emozioni sopite, ricordi immortali. Era come rivivere la vita da capo, e continuare a viverla nel verso sbagliato. Gli occhi cerulei si riversavano in quelli plumbei dell'uomo che aveva davanti.
<<Suguru>>
Era cambiato un po' dall'ultima volta che lo aveva visto, e sapeva di essere cambiato anche lui. Ormai di quei giorni d'oro non restava altro che l'eco, una cicatrice- una delle tante sul suo corpo pallido. Un qualcosa che non si riparerà mai.
<<Ci si rivede il 24 Dicembre: è guerra>> e con queste parole se ne va, sparisce nell'orizzonte così come è venuto. Gojo lo segue con lo sguardo, anche quando non lo vede più, mandando giù parole taciute sulla punta della lingua e preghiere silenziose. Resta.

Il fiato blu del crepuscolo ammanta già quella piccola terra. Il vento si insinua tra i suoi vestiti. Questa, questa è la fine di tutto ciò che erano. Gli occhi di Satoru e quelli di Suguru si inseguono, lesti come ombre.
<<Sei arrivato tardi, Sa-toru>>
Il sole indugia placidamente ai lati del cielo, infuocando l'aria.
Il sangue rincorre i muscoli rilassati del corvino.
<<Hai qualcosa che vorresti dire prima della fine?>>
Il ragazzo si lascia cadere contro il muro, cercando un minimo di sollievo.
<<Non importa cosa dicano gli altri, non ho mai avuto nulla contro il Jujutsu Tech, solo non riuscivo a ridere di cuore in un mondo del genere>>
Satoru si inginocchia, cercando la sua anima con gli occhi cerulei.
<<[...]>>
Parole così imbarazzanti che anche ai tempi del liceo erano state sussurrate solo in silenzio.
Il mare ha già inghiottito la grande palla rossa, e ora si dondola calmo sulla linea dell'orizzonte.
Suguru rimane folgorato da quella improvvisa consapevolezza. Sorride: sarebbero arrivati giorni migliori, se non per lui, almeno per Satoru.
<<Avresti dovuto almeno colpirmi con qualche maledizione>>
Guardò il ragazzo e nei suoi occhi eterei -bellissimi, si permise di aggiungere- vide il colore di ciò che erano e che ora non si potevano più permettere.
Poi guardò il cielo, coronato di stelle, e di angeli.
<<Oh, guarda: una stella cadente! Veloce Satoru, hai espresso un desiderio?>>
Il ragazzo indugiò su di lui, occhi straziati e vuoti che iniziavano a rispecchiare il loro possessore.
<<No, non ho fatto in tempo>>
<<Ma stavi desiderando qualcosa, no?>>
<<Oh, sì. Avrei voluto che noi due fossimo  persone diverse, persone che non devono dirsi addio>>
Plip. Plop. Una goccia e poi due e poi mille gli ricaddero sul capo. Se uno dei due pianse, nessuno dei due lo notò.
<<Anche io, Satoru, anche io>>
Poco dopo la vita scivolò via, dolcemente, dagli occhi di Suguru, stretta tra le braccia colpevoli di Satoru.

Per tutta la vita è sempre stato sicuro della sua forza, dopotutto è quello che tutti gli hanno sempre detto. Lui è nato che era già il più forte. Eppure ora si sente così impotente, un' aquila che non può volare. Un'improvvisa intuizione lo coglie impreparato: è debole, debole per come non riesce a proteggere le persone che ama. Quanti cadaveri si porta appresso? Quanti tramonti come quello dovrà vedere, prima di riuscire a fare ammenda per tutto il male che ha fatto? Le catene indissolubili del senso di colpa lo vestono da assassino. Si staglia ad un passo dal cielo, un passo che non potrà essere mai colmato. Si staglia ad un passo dal cielo su una pila di cadaveri, le cui braccia fredde lo costringono a terra. Urlano il suo nome, riconosce una voce nuova. "Sa-toru"
Una mano calda si posa sulla sua spalla, affievolendo quell'immagine. Yaga vorrebbe dire qualcosa, ma il ragazzo lo precede.
<<Va tutto bene>>
Lentamente sparisce nella notte. Vorrebbe piangere, urlare, dire a tutti che non è giusto, che non lo è mai stato, ma ha cose da fare. Così sorride, come tutti si aspettano da quell'idiota  di Satoru Gojo. Ridi pagliaccio!

Si accasciò contro la porta. Si prese il viso tra le mani. Fuori pioveva. Compose un numero che non componeva da molto tempo. Squillò la segreteria telefonica. "Prego lasciare un messaggio". La voce gli si ruppe.
<<Suguru, lo so che sei volato via, ma ti prego di ascoltarmi dalle stelle. Io- devi dirmi cosa fare. Cosa farò senza di te? Su-guru... mi dispiace. Mi dispiace per quella volta che ti ho rovesciato il gelato addosso. Mi dispiace per non aver sistemato la mia camera quando mi avevi detto di farlo. Mi dispiace per non averti fatto sorridere. Mi dispiace per non averti ascoltato. Mi dispiace perché non ti merito. Mi dispiace per averti lasciato andare quando avevi bisogno di me. Mi dispiace per aver composto di nuovo questo numero. Mi dispiace perché è stata tutta colpa mia. Su-guru, mi dispiace così tanto>>
Il telefono gli scivolò tra le mani. "Segreteria telefonica, prego lasciare un messaggio".

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