iv.

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Shibuya, 31 Ottobre
Come ci era arrivato lì? Che i suoi piedi si siano mossi da soli come poche volte si era visto fare? La sua anima cieca vagava nel nulla mentre i suoi Sei Occhi lo costringevano ad una vista straziante. Il cielo cupo. Il fetore del sangue. La terra feconda di Morte. I volti a metà, senza vita, di quelli che erano i suoi compagni. L'aria squarciata dalle urla di chi sa che non avrà altre occasioni per farlo. E poi c'era lui, sulla vetta di un monte nutrito di corpi vuoti. Lui, in piedi da solo. Lui, che rimane in silenzio. Lui, che vive e va avanti, anche se sta perdendo pezzi.
Un ghigno lo raggiunse, fendendo l'aria.
<<Satoru, non ci si vede da tempo!>>
Fu un istante. Fu un istante e gli tornarono alla mente 3 anni della sua infanzia. Si voltò di scatto e il suo sguardo accolse quella figura in penombra.
<<Sei- sei tu?>>
<<Suguru, sei tu?>> ripeté non ricevendo risposta.
Forse stava impazzendo, d'altronde il grande Satoru Gojo stava iniziando a smontarsi, a crollare. Una mano calda lo colpì in pieno viso. Il giovane cadde a terra con un tonfo sordo. La risata profonda del corvino si levò in aria mentre si scagliava contro l'altro. Satoru rimase immobile, bagnandosi del suo stesso sangue, noncurante di come il suo infinito non lo stesse proteggendo. Aveva ben altri pensieri in testa.
<<Che c'è Satoru? Momento sbagliato per venire a farti visita?>>
Il ragazzo volse lo sguardo su di lui, come se si fosse appena risvegliato da un lungo sonno. Cercò di rimettersi insieme, di far quadrare i pezzi, e si alzò.
<<Io ti ho ucciso, tu non esisti>>
<<Ah sì? Allora come avrei fatto a toccarti? Ragiona, Satoru, qui credo che tu non tia inquadrando bene la situazione>>
<<Taci!>> con queste parole si avventò contro l'altro. Rimase con un pugno di mosche in mano: lo aveva mancato.
I loro corpi si sfioravano appena, senza mai colpirsi di concreto. Danzavano nel buio della sera, con tante parole sospese nell'aria. Parole non dette, parole sussurrate fugacemente davanti ad una bottiglia di whisky rubata dall'ufficio del preside Yaga, parole ancorate sulla punta della lingua.
<<Cosa sei venuto a fare qui? Cosa vuoi da me?>>
<<Serve un motivo per combattere un nemico, Satoru?>>
Gojo si scagliò contro Geto, le braccia strette sull sue spalle, gli occhi plumbei infuocati di ira. Caddero a terra, l'uno sopra l'altro, i denti digrignati. L'eco della loro frustrazione si diffuse per tutta la landa.
<<Nemico, eh? Addirittura... come sei caduto in basso, Suguru>>
<<Io? Io caduto in basso?!>> il corvino invertì le posizioni con un colpo di reni. Satoru sbatté la testa contro la roccia.
<<Tu pensi di essere dalla parte dei giusti, lo hai sempre pensato. Ma non ti è mai passata per la mente l'idea di essere in errore?>>
<<Dal momento che tu uccidi persone innocenti, non mi sembrava necessario>> Gojo sputò sangue e restituì il pugno in volto.
<<Tu credi di essere infallibile, di essere il migliore, il più buono, il più bravo ma sei solo una marionetta. Svegliati, Satoru, sei solo un burattino!>>
<<Taci, tu non sai un cazzo!>>
Suguru incassò un altro colpo.
<<Oh sì che lo so. Ma non vedi che a tutti interessa di te solo perché sei il più forte?>>
Come il loro scontro andava avanti, la terra si colorava di rosso.
<<Almeno loro mi trattano come se io fossi qualcuno!>>
<<Ma ti tratterebbero allo stesso modo se tu non fossi nessuno?! Ti starebbero accanto se tu fossi il primo che capita?! Pensi davvero che ti terrebbero in questa scuola se tu non fossi il più forte?!>>
<<Nessuno mi sarebbe stato accanto se io non fossi stato nessuno!>>
Vorrei solo-
<<Io- io l'avrei fatto e lo farei ancora mille volte se solo tutto non fosse così fottutamente complicato!>>
Satoru sentì la collera offuscargli la mente. Suguru, sotto di lui, sentì un'altro pugno affondargli nello stomaco.
<<Bugiardo! Suguru, tu sei un grandissimo bugiardo!>>
<<Pensi davvero che solo perché io non solo l'eroe nella storia che ti sei raccontato, allora io non debba avere sentimenti all'infuori della voglia di uccidere?!>>
Vorrei solo scappare-
<<Non ho- non ho detto questo- ...!>>
Geto non lo lasciò finire: non voleva che Satoru lo ricordasse così, non voleva che fosse un assassino insensibile ciò a cui pensava Satoru pronunciando il suo nome.
<<Se pensi questo lasciati dire che ti sbagli, che non capisci proprio un cazzo>>
<<Ma noi- noi eravamo i più forti>>
<<I più forti?! Tu eri il più forte, io ero una nullità! Tu non sai quale sia stata la mia vita!>>
<<Sì che lo->>
Satoru sentì qualcosa di caldo impattare sul suo cuore; non seppe dire se fosse solo una sua impressione o meno.
<<No! No che non lo sai! La mia vita, ogni giorno, ogni sacrosantissimo giorno, era esorcizzare e mandare giù quelle maledizioni che hanno il sapore di un panno intriso nel vomito usato per pulire altro vomito! E ancora, e ancora, e ancora- ...!>>
<<Sugu- ...>>
<<E ancora, e ancora! La mia vita, ogni giorno, era vederti ogni mattina un passo più lontano! La mia vita ogni giorno era marcire da solo in una stanza vuota!>>
Quelle parole gli incendiarono il respiro. Gli girava la testa. Voleva solo andare a casa. Per la seconda volta in vita sua provò un terrore inequiparabile. Il terrore di dover incolpare una sola persona per la loro fine: se stesso. Bastò un attimo e quella miriade di cadaveri, quel fetore, quegli sguardi vuoti lo spinsero giù, tra gli abissi. Qualcosa come un interruttore venne premuto e Satoru perse il controllo. È tutta colpa mia.
Suguru si accorse troppo tardi di aver appena commesso il suo più grande sbaglio. Perse la presa sul corpo del compagno che cadde a terra come morto. I grandi occhi cerulei erano perfettamente immobili, ombre vacue nel crepuscolo.
<<Satoru? Satoru!>> con apprensione prese tra le mani il viso del ragazzo, cercando nei lineamenti eterei qualcosa che lo riportasse al suo migliore amico, il suo solo ed unico. Una risata ariosa si levò in aria. Il corpo si risvegliò. Satoru si sentì parlare.
<<Ah sì?! Ma se ti dicessi che se sono così è solo per colpa tua?!>>
Suguru, per la sorpresa, fece un passo indietro, prima di sentire un dolore lancinante correre sul suo stomaco. Un ruscello rosso sbocciò nel punto dove era stato colpito. Ci mise alcuni istanti a capire che il corpo del suo migliore amico lo stava massacrando con la potenza che solo il più forte può dimostrare.
<<È tua! È tua la colpa di tutto questo casino!>>
Quei colpi gli stavano togliendo il respiro, ma fu un altro il momento in cui un terrore mai provato si insinuò in ogni sua vena. Non credeva che fosse umanamente possibile provare tanta paura. Satoru, o chiunque altro avesse il controllo del suo corpo, aveva appena aperto un dominio. Ora era tutto blu, tutto vuoto e pieno allo stesso tempo. Sei occhi azzurrissimi lo sovrastavano. Suguru volse lo sguardo su di loro, e fu come guardare la morte in faccia.
Satoru riemerse dal nulla con una di quelle armi maledette del Jujutsu Tech -da dove aveva ripescato una cosa simile in un dominio? Si librava in aria flessuoso, con i movimenti sontuosi di una pantera. Se lo vide davanti in un battito di ciglia."Se questa è la fine" pensò Suguru sorridendo all'idea "se questa è la mia ultima notte, immagino che non sarà così male morire se tu, Satoru, sarai l'ultima cosa che vedrò"
Ma la morte dovette aspettare per accoglierlo tra le sue braccia: l'arma si fermò sul suo collo e il cielo e la terra riemersero. Satoru inciampò sui suoi stessi passi indietreggiando, e cadde rovinosamente a terra. Sembrava così fragile, là nell'angolo contro il muro, baciato dalla notte. Il mio piccolo, fragile gioiello, il più prezioso che ho.
<<Su-guru>>
Davvero valeva la pena tutto questo?
<<Su-guru>>
Forse era ora che i suoi stupidi ideali si facessero da parte. Quegli ideali che per lui non erano affatto stupidi, ma che se era per il suo solo ed unico avrebbe volentieri messo da parte.
<<Uccidimi>>
Suguru si avvicinò lentamente, avvolto nella luce di un sole che non voleva tramontare, non ancora.
<<Satoru... Satoru!>>
Prese il suo viso impaurito tra le mani.
<<Sa-toru>> sussurrò con la voce rotta.
Il ragazzo chiuse gli occhi. I capelli gli ricadevano sulla fronte, imperlati di sudore.
<<Suguru>>
La magia dell'amore era qualcosa che nessuno dei due aveva mai sentito o visto, o avvertito sulla pelle. Eppure nel momento in cui i loro fiati si unirono e il loro sangue si mescolò, quell'incantesimo gli riuscì così naturale che ad entrambi parve di averlo conosciuto, assaporato ed amato in altre mille vite. Le loro labbra umide si incontrarono e tutto il mondo scomparve. Una vita solo lui e Satoru. Un tepore sconosciuto li investì come le onde investono gli scogli nelle giornate di alta marea. Si aggrapparono a quel bacio come un naufrago si aggrappa al suo ultimo respiro. Gli angeli, dal cielo, li benedirono con la prima neve.
Il silenzio, come disse Giacomo Leopardi, è il linguaggio di tutte le più forti passioni. Per lunghi istanti parlarono in silenzio e, sempre in silenzio, le loro anime si capirono.
<<Satoru, non sarebbe bello vivere così ogni alba e tramonto? Iniziare a viverli per davvero intendo, perché a me sembra di vedere e vivere un tramonto per la prima volta. Viverlo davvero, viverlo nel verso giusto dopo tanto tempo->>
<<Ma io non posso, Suguru!>> proruppe il ragazzo con fin troppa tensione nella voce <<Io non posso, ho delle cose che devo fare... delle responsabilità! Mi capisci vero?! Su-guru...!>>
Il corvino sorrise debolmente, cercando di rassicurare quel corpo tremante.
<<Certo che ti capisco Satoru, scusa, non avrei dovuto chiedertelo>>
Ed era vero: certo che lo capiva. Loro due non erano fatti per stare insieme, non finché maledizioni, stregoni e scimmie avrebbere continuato ad esistere. Uno o l'altro sarebbe dovuto sparire, farsi da parte e, se era per Satoru, lui sarebbe stato volentieri quel qualcuno. Un guizzo di tristezza balenò per un attimo nei suoi occhi. Io- io non voglio morire, non sono pronto e temo non lo sarò mai. Il suo sguardo ricadde sul giovane che aveva affianco e quel dolore parve affievolirsi. Ma se è per Satoru...
All'improvviso, preso da un'euforia abbastanza ingiustificata, si inchinò e gli tese la mano: << Almeno concedimi questo ballo>>
Satoru alzò lo sguardo e titubante incontrò le sue dita.
Come ombre si muovevano sotto le stelle. Il sole applaudì da sotto il mare e sorse la luna. Danzavano sotto il satellite luminoso anime in simbiosi, così unite e strette da trovare strano il fatto di averlo riconosciuto solo allora. Occhi negli occhi, sorrisero entrambi, per davvero.
Suguru, però, lo sapeva che se avessero continuato così lui non sarebbe riuscito a fare ciò che doveva. Dolcemente si allontanò. Nonostante tutto, però, quella separazione risultò ugualmente troppo amara. Con delicatezza baciò il dorso della mano dell'altro.
Una voce raggiunse Satoru con quel distacco improvviso. Una voce che conosceva fin troppo bene. Sentì quel che disse in bocca, sulla pelle e lo vide e udì come si vede e ode il vento.
"Vivrai tanto tempo ancora, un'eternità senza di me. Guarderai in faccia i passanti sperando in qualcosa che, per un istante, mi riporti indietro da te. Troverai notti come questa stranamente vuote perché quando chiamerai il mio nome per le stelle non riceverai risposta. Il tuo cuore sempre sarà in pena per me, mentre la tua mente ti darà l'incerta consolazione di aver fatto la cosa giusta"
Il fantasma sparì e lui ritornò a respirare.
<<Ti amo così tanto...>> sussurrò Satoru con un filo di voce.
Suguru lo strinse a sé. Lo circondò con le braccia forti così che nessuno gli avrebbe potuto più far del male.
<<Non è colpa tua>>
Satoru sobbalzò: <<Lo so>>
<<No, Satoru, non è colpa tua>>
<<L-lo so>>
<<No, no Satoru, non è colpa tua>>
Il ragazzo nascose la testa nell'incavo del collo dell'altro.
<<Per favore Suguru, non farmi questo>>
Il corvino sorrise dolcemente.
<<Satoru... puoi piangere, questo non ti rende meno forte, questo ti rende semplicemente umano. E non sei solo ad esserlo: forse sei unico su questa terra ad essere qualcosa di più, ma ad essere umano non sei solo>>
Il ragazzo si lasciò accogliere tra le sue braccia e da occhi incapaci di piangere nacquero lacrime salate. Il corvino lo strinse più forte al suo petto mentre le urla dell'altro inghiottivano l'aria.
<<Va tutto bene, Satoru va tutto bene>>
Sapevano entrambi che non era così ma in quel momento volevano crederci, aggrapparsi a quella speranza con tutte le loro forze.

Suguru si sedette a terra facendo accomodare Satoru tra le sue gambe, cingendogli la vita da dietro. Un leggero vento gli scompigliò i capelli. Geto disegnava arabeschi indistinti sulla pelle del ragazzo mentre canticchiava una melodia che aveva sentito una volta per strada.
<<Ho fatto tutto giusto; l'ho voluto più di chiunque altro e ho pensato- ho pensato che se l'avessi voluto abbastanza, avrei potuto dimostrare a tutti che Suguru Geto fosse un qualcuno di speciale; ma la verità è che io semplicemente... non lo sono>> cercò di ricacciare le lacrime indietro mentre finiva di parlare <<Poi sei arrivato tu, Satoru>>
<<Satoru>> iniziò cautamente <<Tu sei luce e al tuo passaggio rischiari l'esistenza di chi ti circonda. Non ti scordare mai chi sei, perché io non scorderò mai il modo in cui tu hai illuminato me, non scorderò mai quando il tuo sorriso mi ha sollevato dalle tenebre della solitudine, non scorderò mai di come i giorni trascorsi al tuo fianco siano stati i più fulgidi e belli della mia vita. Non importa quanti anni, quanti secoli o millenni passino, perché io non mi dimenticherò mai di te>>
Lo fece voltare e gli prese il viso tra le mani. Occhi negli occhi, si sussurrarono il segreto di una vita.
<<Satoru non importa quanto tempo passi, tu rimarrai sempre l'amore della mia vita e anche quando lascerò questo mondo nessuno potrà strapparmi via questo sentimento. Finché avrò modo di esistere, in una qualsiasi dimensione, continuerò ad amarti con tutto il mio spirito>>
Gojo lo prese per il colletto della divisa e con veemenza unì le loro labbra. D'altra parte per lui sarebbero state sempre così le cose: lo avrebbe amato in ogni modo possibile. Lo avrebbe amato anche se fosse stato un mostro, anche se lo avesse voluto morto, lo avrebbe amato nel bene e nel male, lo avrebbe amato sopra ogni altra cosa sempre e per sempre.
Le guance di Suguru si spolverarono di rosa e Satoru non poté che ridere.
<<Sei diventato tutto rosso>>
Geto distolse lo sguardo mugugnando qualcosa molto simile ad una protesta. Gojo lo spinse sull'erba verde e si rotolarono come ai vecchi tempi, ritornando bambini per pochi minuti. Le loro risate sbarazzine si levarono in aria come per magia mentre il sangue correva ancora sulle loro membra. L'armonia di quell'amore colorava già quella piccola terra mentre Suguru riempiva il corpo di Satoru di morbidi baci in ogni angolo di pelle libero.

Improvvisamente ritornarono seri come se la mezzanotte fosse scoccata e quell'incantesimo spezzato come nelle fiabe.
<<Cosa dovrei fare?>>
<<Continua a prenderti cura dei tuoi studenti: sono solo ragazzi, non meritano di vivere tutta questa sofferenza>>
Il ragazzo annuì: <<Sì, hai ragione, sono solo ragazzi>>
Forse si dimenticarono di essere ragazzi anche loro o forse semplicemente lo sapevano fin troppo bene.
Satoru si alzò, cercando di rimettersi insieme: <<Ti amerò con tutto ciò che mi rimane>>
Lentamente si incamminò per la sua strada -la stessa di Suguru, pensava una volta- mentre il corvino sedeva accanto al muro.
<<Sei rimasto lo stesso di dieci anni fa, Satoru>>
Gojo si fermò senza guardarsi indietro.
<<Forse non sono l'unico, Suguru>>
A quelle parole  il ragazzo sobbalzò e non poté che stirare un sorriso tra le lacrime. Prese quelle parole come una benedizione, un passo più vicino per lui per fare ammenda, il simbolo che la persona più importante in quel suo piccolo mondo lo avesse perdonato. Improvvisamente non aveva più paura di morire ed espiare i suoi peccati. Sentiva di poter andare in pace, di poter morire sereno.
Satoru spariva avvolto nella notte mentre la vita scivolava via dal corpo di Suguru. Un ultimo pensiero attraversò la mente del corvino mentre la sua anima si librava in cielo. I ricordi riaffiorarono a galla: il loro primo incontro, i loro sorrisi ad Okinawa, la prima fioritura dei ciliegi che videro insieme, la loro primavera blu, Satoru a Shibuya l'anno prima che gli confessava qualcosa che anche ai tempi del liceo si erano detti solo in silenzio.
"Ti amo anche io, Satoru, ti amo tanto"

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