Capitolo 2

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Julian

Per tutta la notte non ho chiuso occhio un solo minuto. Ieri sera Blake mi ha mandato un messaggio, avvisandomi che lui e sua sorella sarebbero arrivati proprio oggi.
Il sonno si è volatilizzato in un battito di ciglia, nonostante avessi preso una camomilla. Seguita da due bicchieri di vino.
Alla fine ho scostato le tende dalla finestra, mi sono messo a letto e ho fissato la notte oltre il vetro della mia camera. Ho assaporato il silenzio, la pace, la solitudine. Conscio che tutto questo sarebbe finito entro una manciata di ore.
Stamattina ho preparato la stanza destinata ai miei ospiti, rifornito il bagno con altri asciugamani che tenevo di scorta e risposto ad alcune mail di lavoro.
Sono da poco passate le due e sto sistemando delle bottiglie nel frigo quando dei colpi alla porta mi fanno sobbalzare.
Non è spavento. È la consapevolezza che è giunto il momento di affrontare qualcosa che non volevo affrontare affatto.
Persone. Condivisione. Discorsi più o meno profondi. Chiacchiere inutili. Intimità. Voci.
Inspiro profondamente e mi rassegno ad aprire la porta. Sulla soglia, Blake mi sorride come se fosse davvero entusiasta di rivedermi. Mi squadra per un paio di secondi, e infine mi attira in un abbraccio che mi coglie di sorpresa. E impreparato.
Quanto tempo è che non abbraccio qualcuno? Sono anni.
«Non credevo che ci saremmo mai rivisti, soprattutto quando ho saputo che avevi cambiato vita e ti eri rintanato in un paesino sperduto del Wyoming. Ma, Cristo se mi sei mancato, fratello».
Il tono di voce tremolante mi suggerisce che è sincero. In fin dei conti, perché non dovrebbe esserlo? Ci siamo voluti bene sul serio, noi due. E anche se da un sacco di tempo io e le emozioni non andiamo più d'accordo, mi rendo conto di non poter negare a me stesso che Blake è mancato anche a me. Mi è mancato il suo sorriso storto, ribelle e pericoloso. Una spalla su cui appoggiarmi. Un compagno con cui uscire a fare follie. Mi sono mancati persino i suoi colpi di testa e le nostre discussioni ogni volta che si metteva in pericolo. E il fatto che cercasse sempre di contagiarmi col suo buonumore.
Blake si scosta e io mi prendo un altro istante per osservarlo, proprio come lui ha fatto con me. È cambiato molto nell'aspetto: ha un taglio di capelli ancora più selvaggio, gli occhi azzurri più duri e stanchi, le spalle più possenti, ma l'espressione del viso è la stessa. Vigile e insidiosa quanto giocosa e affabile.
«Ciao, Blake».
«Non ti ringrazierò mai abbastanza per l'aiuto che mi stai dando» afferma austero.
A tal proposito, mi ricordo che lui non è certo il tipo di persona a cui piace chiedere aiuto. Se stavolta ha ceduto e ha messo da parte l'orgoglio, mi domando quanto sia grave la situazione.
«Non mi hai lasciato scelta, no?» gli faccio notare.
«Hai ragione. Ma ti giuro che non avevo alternative. E poi non si trattava tanto di me quanto di mia sorella. Sto proteggendo lei, perché se si fosse trattato soltanto della mia sicurezza non ti avrei mai disturbato».
Ma certo. Ora tutto ha perfettamente senso. Sua sorella, l'unica persona per cui sia mai stato disposto a chiudere l'orgoglio in cassaforte. A chiuderci molte cose, in verità.
Blake si fa avanti e richiude la porta alle sue spalle. Lo osservo perplesso.
«Dov'è lei?» indago.
«Halsey non è molto felice di trovarsi qui. Si è seduta da qualche parte, là fuori. Quando si stancherà di fare i capricci, allora entrerà» mi spiega, sfilandosi il cappotto e alzando gli occhi al cielo.
Di riflesso alle sue parole, indurisco la mascella e stringo i pugni.
Ciò che più temevo non era neanche tanto avere Blake per casa, quanto avere una donna -una ragazza- tra i piedi. Le donne erano un problema.
Con due frasi in croce, lui me lo stava già confermando.
Sua sorella era una bambina capricciosa, forse ingestibile, che piuttosto che essere grata dell'ospitalità che le stavo offrendo sbatteva i piedi.
Già non mi piaceva per niente.
Devo mordermi una guancia per non azzardare alcun commento. Invece vado verso la finestra e la cerco con lo sguardo.
In fondo alla strada c'è effettivamente qualcuno, ma tutto ciò che si intravede sono un giubbotto giallo e una chioma di capelli biondi.
«Fa freddo fuori» osservo, nonostante tutto.
Mi disturba che se ne stia seduta lì, incurante delle temperature a cui non è abituata, solo per dimostrare Dio solo sa cosa.
Quanta immaturità.
«Se la caverà. Halsey è impulsiva e testarda, quando si mette in testa qualcosa è inutile convincerla di fare il contrario. Si stancherà e verrà dentro».
Impulsiva e testarda. Sempre peggio, cazzo.
Posso già immaginare tutti i problemi che ci darà. Che mi darà.
Ad ogni modo, volto le spalle alla finestra e torno a concentrarmi su Blake. La sorella non è un mio problema, e se lui dice che entrerà quando si stancherà, allora entrerà quando si stancherà.
Ma il cielo comincia a farsi buio, e la porta non si apre ancora.
Io mostro a Blake la loro stanza, il resto della casa, lo aiuto a sistemare il bagaglio e poi gli lascio fare la doccia. Mentre lui è in bagno, torno alla finestra. Halsey è ancora lì. Non si è mossa di un millimetro, mi sembra quasi di vederla tremare. So che non posso davvero vederla tremare da qui però.
Dio quanto è infantile. Ormai le temperature saranno poco al di sopra dello zero. Non è freddo come i giorni scorsi, ma è freddo abbastanza per ammalarsi, soprattutto per chi è abituato a un clima molto più mite.
Non sono affari tuoi, Julian. Torna in cucina, se ne occuperà suo fratello.
Peccato che il pensiero di quella ragazzina cocciuta là fuori continui a disturbarmi all'inverosimile.
Sbuffo, irritato, infilo un'altra felpa pesante sopra a quella che già indosso e mi precipito fuori.
Quando la raggiungo, mi accovaccio dietro di lei, le poso una mano sulla spalla e attendo che si volti.
Quasi mi aspetto che mi incenerisca con lo sguardo o mi sbrani con le parole, ma la sua espressione è dimessa e afflitta. Spaventata, rassegnata.
Ho giusto il tempo di analizzare tutte quelle emozioni prima che aggrotti le sopracciglia e innalzi un muro di diffidenza. Diffidenza che è reciproca.
Però, diamine... Non mi aspettavo neppure di provare curiosità per il suo viso, se devo essere sincero. È così diverso da tutti i volti che sono abituato a vedere a Jackson. Pallidi, affilati, riservati.
Halsey somiglia proprio alle ragazze californiane, quelle che mi piacevano una volta. La sua pelle sembra molto abbronzata, gli occhi sono espressivi e grandi, e chiari. È un tipo di bellezza che si contraddistingue.
Che non mi lascia indifferente. Consapevolezza che mi disturba più di tutto il resto.
Lei si scrolla la mia mano di dosso, affila lo sguardo e io mi schiarisco la voce.
«Farai meglio a entrare in casa se non vuoi passare il tuo soggiorno qui con l'influenza».
«Dì a Blake che può venirmi a parlare di persona. Non mi lascerò intimorire da te solo perché non ti conosco e non ti darò ascolto soltanto per non contrariarti» ribatte sfacciata.
Ho l'impressione che definirla testarda sia riduttivo. Lei è molto più di questo, e una vena sulla mia fronte sta già pulsando, stizzita quanto me.
«Non mi ha mandato lui. Tuo fratello è sotto la doccia. Sono venuto a farti notare che è da stupidi restare al freddo quando hai un luogo caldo in cui rifugiarti proprio alle tue spalle».
«Hai notato questo, ma non hai mai notato che è da maleducati dare della stupida a qualcuno che non conosci nemmeno?»
Non ci siamo. Non ci siamo per niente. Ho già voglia di rimetterla al suo posto, lasciarla davvero all'aria aperta e sbarrare la porta di casa mia. Spedirla in un hotel, di nuovo in California, ovunque tranne che sotto il mio tetto.
Che razza di insolente.
«Non so con chi credi di parlare, ma modera i toni con me. Sono un adulto, tanto per cominciare».
«Dai il buon esempio e moderali tu per primo, allora» ringhia in risposta.
Quindi è anche una di quelle ragazze che hanno sempre la risposta pronta. E che quindi non stanno mai zitte. Di bene in meglio, davvero.
Mi alzo di nuovo in piedi e la guardo con ostilità.
«Sai che c'è? Fa' come ti pare. Dormi pure sull'erba bagnata, se vuoi. Svieni dalla fame, lascia che ti si congelino la faccia, le braccia, le gambe. Oh, e se per caso dovessi sentirti urlare perché una volta scesa completamente la notte verrai attaccata da un lupo o da un orso che ti ha scambiata per il suo spuntino, non correrò a salvarti».
L'ho detto solo per spaventarla. Non ci sono orsi o lupi nelle vicinanze, ma so che così la convincerò ad alzarsi. A meno che non sia solo stupida, ma davvero davvero stupida, e decida di rimanere comunque lì.
«Questa è una zona abitata, non ci sono animali del genere qui» urla.
Non le rispondo e rido sommessamente.
Entro in casa, mi tolgo la felpa, fisso la soglia. Meno di un minuto dopo, Halsey fa il suo ingresso con una valigia rosa al seguito, sbattendosi la porta alle spalle.
Quanti colori sgargianti. Mi danno quasi fastidio agli occhi. È tutta una macchia di colore questa ragazza. La borsa, la valigia, il giubbotto, le unghie fluorescenti.
Grazie alla luce della cucina, mi accorgo che è fin troppo carina. Che non è solo carina, è proprio bella.
È quel tipo di bellezza che fa voltare tutti, che resteresti a guardare per ore senza mai stancarti. Quel tipo di bellezza che ti farebbe fare follie per poterla stringere tra le mani e sentirla gemere proprio il tuo nome. Quella bellezza che si vede di rado, e ti resta impressa.
E ti distrae. E ti inganna.
Ti illude che possa bastare, e ti deconcentra dalla vera essenza di una persona. E io ne so qualcosa.
Un bel corpo, un'anima andata a male.
È vero, non la conosco quasi per niente, ma subito mi ritrovo a pensare che quelle come lei di solito non mi piacciono proprio per i motivi elencati sopra.
«Hai ragione, non ci sono animali feroci in zona. Ma sei stata abbastanza ingenua da essere caduta nella trappola» le faccio presente, scoccandole un sorriso di superiorità.
Mi fulmina all'istante con quegli occhi azzurri che si ritrova e che in tutta probabilità non merita. Apre la bocca per dire qualcosa, ma Blake scende le scale e ci interrompe.
Grazie al cielo. Occupatene tu, è roba tua.
«Ah, finalmente ci degni della tua presenza. Hai conosciuto Julian?» le domanda lui, entusiasta.
È chiaro che vorrebbe che ci piacessimo. Peccato che non sia affatto così.
«Non proprio. Il tuo caro amico non conosce le buone maniere e non si è neanche presentato».
Blake ride e intuisco che sia abituato alla lingua lunga della sorella. Io non ci trovo nulla di divertente. Ho voglia di rimetterla al suo posto a forza di sculacciate.
«D'accordo, rimediamo subito. Halsey, questo è Julian. Visto che ci ha offerto un posto in cui stare, ti chiedo di essere gentile con lui. Julian, questa è la mia sorellina. Abbaia, ma ti assicuro che non morde».
«Idiota» borbotta lei.
Poi ci volta le spalle e si sfila il giubbotto.
Blake mi guarda e scrolla le spalle, suggerendomi di non farci caso.
Sai quanto me ne frega. O meglio, non mi importa di lei ma mi importa che, finché è sotto il mio tetto, rispetti le regole di base.
«Avete fame? È ora di cena» cambio discorso.
Senza aspettare una risposta, mentre i miei due nuovi coinquilini salgono in camera per sistemare la valigia di Halsey, dispongo i piatti in tavola e distribuisco la pasta.
L'unico che ha voglia di chiacchierare mentre mangiamo è Blake. Lo ascolto e mi sforzo di rispondere anche se dentro mi sento provato e scombussolato.
Halsey si estranea e spilucca a stento la pasta. È tornata ad avere un'espressione distante.
«Sai che Julian ti ha già conosciuta, quando eri piccola? Ti teneva spesso in braccio e giocava con te. Hai visto com'è cresciuta bene?» aggiunge poi, rivolto a me.
È fin troppo orgoglioso di lei. Da un lato non ne capisco il motivo, dall'altro so che lei è come una figlia per lui, che l'ha cresciuta e protetta sin da quando è nata.
Me lo ricordo ancora il periodo in cui è entrata a far parte della sua vita, ricordo l'euforia di Blake e come qualcosa dentro di lui è cambiato. È diventato più responsabile, a modo suo.
E ricordo anche delle volte che l'ho presa tra le braccia, era una bambina buona e adorabile. Non mi dispiaceva, quando io e Blake ci vedevamo, che la portasse con sé e me la facesse tenere.
L'ho vista crescere fino a poco prima che compisse tre anni. Credevo che avrei provato un moto di affetto nel rivederla ma ora... Troppo adulta, troppo diversa, troppo distante dalle qualità che apprezzo in una persona e troppo simile a quelle che detesto.
«Avresti potuto fare un lavoro migliore per quanto riguarda il suo carattere, ma dopotutto è simile a te, per certi versi».
Halsey fa cadere la forchetta sul piatto, causando un fastidioso frastuono.
«Avevi detto che il tuo amico era simpatico. E ospitale. E un sacco di altre qualità di cui non vedo neanche l'ombra» decreta , incrociando le braccia al petto.
Non ci credo che lo abbia detto davvero.
«Halsey, per la miseria! Magari dagli il tempo di farsi conoscere, no?»
«Sai cosa racconta di te, invece? Che sei sveglia e adorabile. Ma guarda un po', sembri più che altro una dannata spina nel fianco» intervengo.
Halsey mi ignora, si alza da tavola e si rivolge a suo fratello.
«Spero che andremo via presto, perché il tuo amico mi sta già sul cazzo!» esplode, prima di marciare su per le scale.
Sì, ho decisamente una gran voglia di educarla a modo mio.
Incenerisco Blake con lo sguardo, ma lui si nasconde dietro una mano per non mostrarmi quanto sia divertito.
«Lo so cosa sembra, ma ti assicuro che è adorabile davvero. A breve vi piacerete un sacco, ne sono certo. Ti abituerai alla sua indole».
Abituarmi? Sì, come no.
Quando Blake si offre di lavare i piatti, lo lascio fare.
Salgo al piano superiore con l'intenzione di aggiornare la signorina sulle regole da rispettare, ma non la trovo nella sua stanza. Sto per bussare alla porta del bagno, ma poi mi blocco con il braccio sospeso a mezz'aria perché sento dei gemiti provenire dall'altra parte.
Sta piangendo. La voglia di inveirle contro scema, fino a svanire.
Non oggi. Lo farò domani.
Ricordo la sua espressione sofferente quando l'ho sorpresa fuori, e mi rendo conto solo ora di quanto possa essere difficile per lei cambiare vita da un giorno all'altro.
Mi chiedo come si senta, ma in fondo conosco la risposta: si sente persa.
Nonostante mi abbia fatto imbestialire più lei in cinque minuti di chiunque altro negli ultimi anni, avverto una fitta al petto. Domattina, appena la rivedrò e aprirà bocca, tutta questa compassione svanirà, ma al momento la capisco.
Sono stato anch'io un ragazzo spaventato, sbalzato via dalla sua terra e finito dall'altra parte del mondo con il cuore in subbuglio e la paura di non sapere come affrontare i giorni a venire.
Non la conosco, l'ho già etichettata nel peggiore dei modi, ma non merita questo.
Lascio che si sfoghi, e vado a rintanarmi nella mia camera. Per qualche ragione, anche se tutti sono rimasti fuori, sento che anche la pace della mia stanza ormai è contaminata.

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