Cornelia Street

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9. Cornelia Street






Era la notte più calda di fine primavera, quella. Certo, giugno era entrato quasi nella sua piena ma, le temperature, potevano essere paragonate agli sgoccioli del mese, quando luglio picchiettava alla finestra e, con un bacio, giugno si dissolveva nel cielo azzurro e bollente, limpido e privo di nuvole, tramutando l'estate nella sua piena.

Non smettevo di contemplare quanto fosse bello, su di me, con quel suo torace nudo. Ma non era nemmeno il suo essere privo d'indumenti, ad eccitarmi; bensì il modo in cui la peluria si sposava con la sua pelle, le caratteristiche dei suoi pori, i tatuaggi, il modo in cui il suo collo si piegava e accentuava le vene, quando si chinava per baciarmi. Il sorriso così bello, il suo mento definito e contornato da accenni di barba, simile alle guance sottili e definite, così mascoline. Per me erano le rughe espressive sul suo volto, le zampette di gallina ai lati degli occhi, le sue ciglia lunghe e chiare, la fronte imperlata di sudore, i capelli appiccicosi ma al contempo dalla consistenza morbidi.

Li spazzai via dalla sua fronte, tenendo le mani dietro il suo capo, solleticando la cute, giocando con le ciocche morbide dei suoi capelli. Profumavano tantissimo. In alcune zone cominciavano a divenire bianchi, soprattutto ai lati dell'orecchio, ed io lo trovavo così eccitante e particolare, che mi piaceva tanto. In realtà, a me piaceva tutto di lui. Le sue guance, la parte degli zigomi che riempivo sempre di baci, designata apposta per le mie labbra. Lì orbitavano le rughette espressive, quelle che spuntavano quando gli angoli della bocca si sollevavano. Spesso erano ruvide ma, quando radeva la barba, erano così lisce e umide, che mi piaceva appoggiarci la guancia contro.

Le sue labbra sottili erano belle, a discapito di ciò che gli stereotipi dicevano; io le trovavo delicate. Mi piaceva il modo in cui le piegava quando era serio e ascoltava un discorso, o come assumevano la forma di un muso da gattino, quando tirava un sorrisetto o una faccia simpatica. Aveva il brutto vizio di coprirsi la bocca quando rideva, ed io gli scostavo sempre la mano, perché me ne privava la vista. Non parliamo del modo in cui rideva; piegava la testa all'indietro come un bambino.

Gli sfiorai il petto, il punto in cui aveva tatuato la scritta, ascoltando il rumore della sua peluria sotto il mio palmo. La consistenza della sua pelle era morbida, compatta e soda, che suscitava in me voglia di mangiarlo. A piccoli, dolci morsi, gustando il suo sapore. La maggior parte del tempo profumava di sigarette e caffè. Ma, la fragranza che indossava, era difficile da decifrare; a volte talco, a volte lavanda, a volte vaniglia.

E quando il mare fu così agitato, che le onde andarono a sbattere contro le staccionate, abbattendole, inoltrando la siepe. Salici stravolti, erba bagnata, innalzamento dell'acqua. Le rocce si graffiarono, il suo bacino si unì al mio, gli scoiattoli scapparono via dall'inondazione, così blu era il suo oceano. Le sue pupille dilatate, occhi negli occhi, la città che gridava il suo nome.

Nessuno dei due, stava parlando. Non serviva comunicare con un linguaggio sonoro, se i nostri occhi strillavano e i nostri corpi davano sfarzo ad uno spettacolo di fuochi d'artificio sul cielo americano. Avevamo abbandonato i vestiti, le lenzuola e la vergogna, ostili come le parole di chi non ha mai provato l'amore addosso.

Gli toccai il volto, strusciando il pollice sul suo zigomo. Tremava il suo fiato, tremavano i suoi muscoli, tremava il suo corpo. Si reggeva a me e alla testiera del letto, attento a non fare alcun rumore. Scappavano gemiti e non molti ansimi dalla mia bocca, intimi come l'emozione dopo il primo bacio dato senza vergogna. Lui li ascoltava e ne imprimeva il suono nella memoria, ricordandone ogni nota, ogni corda, ogni coro. Io potevo avere solo il suo fiato pesante e i sospiri fragili, in preda ad uno scosso ripido, vicino all'orgasmo.

Lover [Larry Stylinson]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora