Sofia non esiste?

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Non trascurò nulla e raccontò perfino i dettagli della vita di Sofia che aveva appreso dal vicino: di come avesse sfidato il padre facoltoso decidendo di provvedere a se stessa, della doppia vita di artista e cameriera a Parigi, del ritorno a Roma e delle difficoltà economiche che la obbligavano a lavorare sia come barista che hostess di terra; dell'auto pirata che l'aveva investita mentre usciva dal locale a fine turno. E non censurò nemmeno i particolari della loro convivenza. Terminò soffermandosi sulla visita di Nadia. Fu una novità non essere mai interrotto o deriso.
– Da come ne parli, sei chiaramente affascinato da lei. L'hai idealizzata.
Serena lo interrogò sulla sua vita attuale: cosa faceva al di fuori del lavoro, com'erano i rapporti con i colleghi e, non considerando Nadia, c'erano state altre donne?
– Tutto chiaro. Ti sei inventato tutto.
– Ma se l'ho vista! – Protestò lui, descrivendole l'apparizione che aveva avuto.
– Ti fai ancora le canne, vero?
Si astenne dal rispondere.
– Eh fratellino, la verità è che sei così solo da arrivare a convincerti della sua presenza.
– E tutti quei segnali allora? La porta chiusa, la sigaretta spenta, l'acqua calda... E i tratti sulla tela!
– Sii sincero, quanto sei stato lucido in quest'ultimo periodo?
In effetti, non poteva escludere che l'alterazione data dall'alcol e dal fumo potesse averlo suggestionato. E poi aveva preso i sonniferi.
– E guarda caso, ti senti in colpa per essere stato con Nadia e Sofia sparisce.
– Mi stai dicendo che sono pazzo?
– No. Che sei umano, e che stai attraversando una fase particolarmente difficile – concesse lei, mettendogli una mano sul braccio.
Scettico, Enzo liquidò la sorella. Certo che, pur non volendo concederle soddisfazione, alcune considerazioni non erano sbagliate: c'erano state occasioni in cui ci aveva dato sotto con tutto quello che aveva a portata di mano e non aveva mai smesso del tutto. Tirò su con il naso. No, non era pronto a rinunciare a Sofia, non poteva accettarlo. Tuttavia se lei fosse stata reale, e buona e gentile come aveva dimostrato di essere, non gli avrebbe forse concesso un segno per pietà? Scoppiò a piangere. Sentendosi abbandonato, tornò ad abbassare la testa sul lavoro, sebbene avesse ormai perso l'abitudine di insultare gli automobilisti e, in generale, qualsiasi altro essere umano gli venisse incontro. Serena, che doveva aver intuito di aver fatto breccia, prese a tartassarlo di chiamate.
– Ti ho sempre detto di farti vedere da uno bravo.
– Quindi ammetti di essere mediocre nel tuo lavoro?
– Che c'entra, io sono la migliore. Non sarebbe professionale, però.
Fu per scacciare quel vuoto opprimente che, trascorse due settimane di tormenti, lui si era deciso a chiedere il numero di uno psicologo.
– E già che ci sei, fatti curare anche gli altri tuoi problemi. Hai visto mai diventi una persona normale.
Dopo aver spedito la sorella a quel paese, prese appuntamento. La prima seduta la sprecò facendo scena muta.
– Appena si sente pronto. – Gli diceva lo specialista.
"Tanto i soldi se li prende lo stesso", pensò Enzo. Al secondo colloquio fu più loquace.
– Ora mi dica pure che sono fuori di melone. Non è che si può fumare qui?
Il dottore scosse il doppio mento.
– Crede di avere una malattia mentale?
– Me lo dica lei, sono venuto apposta.
– Mi parli di Nadia.
– Posso portare un argomento a piacere? Okay. Ci facevamo compagnia, anche se vedendola penserebbe che è troppo per me – esordì lui, delineando quella burrascosa relazione. Scoprì che, parlarne a un estraneo, aveva un che di catartico.
– E poi mi ha messo le corna. Così, da un giorno all'altro.
– Avete mantenuto i contatti?
Quante volte era stato per chiamarla ripensandoci all'ultimo secondo? Troppe.
– Si direbbe che lei soffra di solitudine.
"Si direbbe grazie al cazzo", avrebbe voluto replicare.
– Mi descriva le altre persone che fanno parte della sua vita.
– C'è mia sorella, ma ci parliamo a fasi alterne. Mia madre è quella che è, sempre chiusa nel suo piccolo mondo fatto di soap e nicotina.
"Un po' come me". Quella seconda seduta lo lasciò pensieroso. Rincasato, si guardò intorno come fosse tutto nuovo, benché il quadro di Sofia avesse ancora un certo ascendente su di lui. Al terzo incontro cominciò a ritenere possibile l'ipotesi che lo stress sul lavoro e la sua incapacità di relazionarsi con gli altri gli avessero giocato brutti scherzi. Tornato dal quarto, rovistò alla ricerca del fumo convincendosi a sacrificare quella gratificazione presente in vista di un futuro più roseo; "meno di merda mi basta". Senza che se ne rendesse conto, quell'ometto tarchiato lo stava spingendo ad apportare i cambiamenti che aveva sempre rimandato.
– Avverte ancora una presenza nel suo appartamento?
– Veramente mi sembra di essere stato lasciato. Da un'altra. Il quadro, ma anche lo scaldabagno, mi fa pensare a lei.
– Come la fine di una convivenza.
Sì, era proprio così che si sentiva: scartato, dimenticato. Si figurò come un puntino circondato da altrettanti puntini che avrebbero potuto essere stelle; se alcune appartenevano a una costellazione, lui era solo, 'sfuso'.
– Sta rivivendo il dolore delle separazioni passate.
Lasciò lo studio sconsolato ma ritenne di essere sulla buona strada. Così tolse il quadro di Sofia per nasconderlo nel cassettone insieme alle tele e ai pennelli, gli sarebbe parso irrispettoso gettare tutto, e lo sostituì con un orologio da parete acquistato dagli amici tornati in cima alla classifica delle sue preferenze. "Non ha mai davvero preso possesso di quelle stanze, ma ha utilizzato quel poco che ha trovato senza personalizzare niente", gli aveva detto lo psicologo. Eccolo accontentato. Si sentiva ancora infelice ma, se non altro, poteva dirsi soddisfatto di sé.
– Sofia non esiste! – proclamò.



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