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11 ANNI PRIMA

Ogni temporale inizia con una goccia.

E quella goccia, per Jack, cadde il primo giorno delle vacanze estive. Era a casa da solo, seduto sul divano, guardava la televisione. Il solo pensiero di non dover andare a scuola lo faceva sentire sollevato.
Si distrasse volgendo lo sguardo fuori.
Dalla finestra entrava una delicata aria calda, un odore fruttato proveniva dall'albero di mele che Jack e sua madre avevano piantato quando lui era ancora piccolissimo.
Suo padre non l'aveva mai conosciuto.
Era immerso nei suoi pensieri, quando sentì il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni. Prese il telefono e vide la chiamata di un numero sconosciuto.
Curioso, rispose: «Pronto?»
«Salve, sei Jack Rokeria?» disse una voce che non riuscì subito a riconoscere.
«Sì, chi parla?»
«Sono un collega di tua madre. C'è stato un problema, è successo qualcosa che devi sapere».
Jack sentì un nodo stringergli la gola. Sua madre lavorava in una libreria e spesso gli parlava dei suoi colleghi, ma in quel momento non riusciva ad associare un volto alla voce che stava sentendo.
«Cos'è successo?» chiese, cercando di mantenere la calma.
«Tua madre è... Ha avuto un malore improvviso, i medici hanno fatto il possibile ma non c'è stato niente da fare, mi dispiace».
Le parole del collega risuonarono nella testa di Jack come un martello. Non riusciva a credere a ciò che aveva appena sentito. Sua madre era sempre stata in buona salute, aveva solo trentadue anni...
«Come... com'è successo?» chiese Jack con voce flebile.
«I medici hanno detto che è stato per un tumore ai polmoni. Non voglio ferirti, tua madre non te l'aveva detto perché non voleva farti preoccupare. Pensava che ci fosse ancora tempo per fare qualcosa, ma invece...».
Jack sentì mancare il respiro. Sua madre era sempre stata la sua migliore amica, la sua insegnante di vita. Non aveva idea di come avrebbe fatto a vivere senza di lei.
«Mi ha detto che voleva tu avessi una cosa» proseguì l'uomo. «Puoi passare in libreria tra un'ora? Ti spiegherò tutto» concluse.
Jack annuì in silenzio, ma poi si ricordò che il collega non poteva vederlo. «Sì, va bene».
«Ti serve qualcosa, ragazzo?»
«No... no, grazie».
«D'accordo. Richiamami se hai bisogno di qualsiasi cosa. A dopo, Jack».
«Ciao» disse il ragazzino, prima di sentire il bip della chiamata interrotta.
Si alzò dal divano. Per un attimo gli sembrò di essersi dimenticato come camminare. La sua mente era vuota, spogliata di ogni pensiero e sentimento.
Era solo e confuso.

Prese le chiavi di casa, e prima di raggiungere la porta notò la foto che ritraeva lui e sua madre, nella cornice sulla mensola. Quella foto era lì da anni ed era impolverata, ma Jack la guardò davvero solo in quel momento. Dunque, decise che l'avrebbe ricordata così: con la lunga gonna verde, la collana di cristalli dai mille colori, la maglietta rosa a fiori e i lunghi capelli biondi, mossi, di cui aveva fieramente ereditato il colore.
Poi uscì per raggiungere la libreria.
Mentre camminava, ripensò a sua madre. Non riusciva a credere che non avrebbe mai più sentito la sua voce o visto il suo sorriso. Lei era stata l'unica persona al mondo che lo aveva sempre capito e sostenuto. Era stata il suo punto di riferimento in ogni momento. E adesso se n'era andata.
Arrivò alla libreria ed entrò, accolto dall'uomo che l'aveva chiamato. Finalmente lo riconobbe: era Arthur.
L'uomo si fece seguire nel retro del negozio e porse al ragazzo un libro. «Più volte tua madre mi ha ribadito cosa avrei dovuto fare nel caso le fosse successo qualcosa. Voleva che tu avessi questo» disse.
Jack lo riconobbe immediatamente. Era un volume vecchio e usurato, che sua madre amava leggere di sera, prima di andare a dormire. Una raccolta di storie con cui era cresciuto anche lui. Jack lo sfogliò, sentendo ancora il profumo di sua madre sulle pagine.
Chiuse gli occhi e sussurrò: «Ti voglio bene, mamma. Sempre e per sempre».
«Non preoccuparti, Jack, penso io a tutto. Ti accompagnerò dai tuoi zii, si prenderanno loro cura di te da adesso in poi». Arthur accarezzò il ragazzo che rabbrividì alla notizia del trasferimento.
Non sapeva nulla dei suoi zii, se non che si erano trasferiti a Chicago insieme ai suoi nonni e a tutto il resto della famiglia. Sapeva anche, però, che questa decisione era stata presa poco prima della sua nascita, proprio per allontanarsi da sua madre. Era rimasta incinta a soli diciannove anni, facendo vergognare l'intera famiglia.
Purtroppo, non aveva scelta. La realtà e la legge lo costringevano a fare i conti con la perdita della madre e a confrontarsi con una vita nuova, sconosciuta e difficile.
Jack e Arthur andarono a casa per prendere le cose del ragazzo e partire l'indomani.
Atterrati a Chicago, dopo un estenuante viaggio in aereo di più di dodici ore, si diressero subito verso casa degli zii di Jack.
Era una semplice casetta americana, con i muri in cartongesso e il giardino dal prato immacolato, ben diversa dallo stile gotico e polacco a cui Jack era abituato. La zia lo accolse in modo freddo e distaccato, quasi infastidita. Non sembrava per niente turbata dalla morte della sorella.
Era una donna alta e magra, teneva i capelli raccolti in un'acconciatura rigorosa e portava una croce al collo. Il suo sguardo severo sembrava giudicare tutto ciò che la circondava. Jack sentì subito che non sarebbe stato facile trovare posto in quella casa e supplicò Arthur di non abbandonarlo, di riportarlo indietro, ma l'uomo dovette rifiutarsi.
La zia gli mostrò la camera in cui avrebbe dormito, una piccola stanza spoglia e per niente accogliente, senza la minima traccia della personalità colorata di Jack.
La casa era vuota e silenziosa, e la presenza del ragazzo sembrava solo peggiorare le cose. La donna non lo guardava nemmeno negli occhi.
In quella casa nessuno mostrava mai alcuna emozione.
Al ragazzo fu subito chiaro che sua madre e la sorella avevano avuto un rapporto difficile, e che lui era stato in parte causa del loro allontanamento. La madre era una hippie, una persona libera e indipendente, mentre sua sorella era una cristiana convinta.

I primi giorni passarono lentamente. Jack tentava di trovare un modo per entrare in contatto con la zia e lo zio, ma i due sembravano essere interessati solo alla propria routine quotidiana: la zia passava gran parte del tempo in chiesa, mentre lo zio era sempre fuori per lavoro.
Ma le cose peggiorarono quando un giorno la donna sorprese Jack a fare degli strani disegni. Disegni da incubo, che erano di fatto l'unica forma che Jack riusciva a dare al suo dolore, alla sua rabbia.
«Cosa stai facendo?» chiese lei, con voce fredda.
«Sto solo disegnando» rispose Jack, cercando di non sembrare nervoso.
«Per l'amor del Cielo, questo non è disegnare, è scrivere la lingua del diavolo!». La zia strappò di mano al ragazzo tutto ciò che aveva: fogli, matite e colori, e li gettò nel bidone. Poi strinse tra le mani la croce che portava al collo e iniziò a sussurrare una preghiera.
Jack si sentì umiliato e offeso dalle parole e dai gesti della zia. «Perché non preghi per mia madre, una buona volta!».

La sera, al ritorno dello zio a casa, i due decisero che Jack sarebbe dovuto stare nella soffitta, un luogo buio e freddo. Come se fosse solo un vecchio baule da dimenticare. Dissero che non volevano che i vicini lo vedessero.
Lì, Jack passava solitario le sue giornate, abbandonato e dimenticato dal mondo intero che a poco a poco iniziava a odiare sempre di più. Si sentiva un carcerato, prigioniero di una vita che non aveva scelto. Lentamente, si dimenticò come sorridere. Sua zia non faceva che ribadire quanto lui fosse affine al demonio. Jack non aveva mai creduto in Dio, ma di una cosa era convinto: inferno e paradiso non erano posti, ma stati dell'anima.
Jack non aveva ancora quattordici anni e tutto ciò che si chiedeva della vita era quando sarebbe finita.

Una sera, mentre fissava il soffitto scrostato dall'umido, la solitudine si fece più invadente del solito.
«Mamma, aiutami» sussurrò tra le lacrime, guardando il cielo dalla finestra mezza rotta. «Ho bisogno di te, mamma».
Un colpo dietro di lui.
Jack si voltò. La porta era chiusa e sua zia non bussava mai. Però, prima di tornare a guardare il cielo, il suo sguardo cadde sul comodino.
Accanto al letto c'era il libro che sua madre gli aveva lasciato: I racconti della giostra del Ritz (1).
Lo sfogliò, anche se ne conosceva a memoria ogni parola. Eppure, scavando tra le pagine, si accorse che c'era un piccolo pezzo di nastro adesivo blu che non aveva mai notato prima. Lo afferrò con le dita per scoprire che scopo avesse e lo ritrovò a segnare l'inizio di una storia. Una storia di cui, stranamente, non ricordava assolutamente nulla.
"Città Al di là del cielo" era il titolo.
Controllò l'indice del libro, ma nessuno dei racconti elencati corrispondeva a quello.
Jack allora tornò indietro, ansioso di cominciare a leggere...



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