La sindrome di Stendhal è un disturbo psico-somatico che si manifesta con una sensazione di malessere psichica e/o fisica di fronte ad opere d'arte di notevole bellezza.
PRESENTE
«Definire i suoi quadri è pressoché impossibile. L'unica parola che si può utilizzare è geniale. Non è magia, perché vorrebbe dire che da qualche parte c'è un trucco. Non è nemmeno solo abilità, perché quella è una cosa che si può imparare. L'artista che ha fatto parlare di sé con le sue tele ipnotiche e che ha tenuto milioni di persone sveglie la notte, ottenendo il primato nella categoria "quadri maledetti". Con trentacinque suicidi e ventitré omicidi collegati alle sue opere, centinaia di testimonianze di persone cadute in depressione solo per aver partecipato a una delle sue mostre, signore e signori, abbiamo con noi questa sera l'artista più controverso degli ultimi tempi: Winston!».
Un caloroso applauso accolse l'artista sul palco. L'uomo si sedette e guardò la presentatrice con un sorriso tranquillo. Sentì la macchina da presa puntata su di sé, i riflettori che gli illuminavano il viso e le calde cuffie che gli circondavano le orecchie. Era abituato a tutto questo da tempo, ma non smetteva mai di provare un senso di disagio per il suo successo. Quando sei così famoso, ovunque vai, in qualunque angolo di internet ti ritrovi, sai che le persone parleranno di te anche, e soprattutto, in tua assenza. Come presenziare al proprio funerale, con la differenza che le persone non sono falsamente – e schifosamente – dolci, bensì aspramente oneste e critiche.
«Winston, è un piacere per noi averti qui stasera» esordì la donna.
«Il piacere è mio» rispose lui con cordialità.
«Se sei d'accordo, direi di partire subito».
«Certo».
La presentatrice prese in mano una serie di schede cartonate con su scritte le domande e cominciò ufficialmente l'intervista.
«Dunque, Winston, è nota la tua riservatezza riguardo il processo creativo e la tecnica da te utilizzata per i tuoi dipinti. Ed è risaputo che, in qualche modo, le tue opere hanno la capacità di far emergere un tormento, una pena interiore. Io però vorrei che ti soffermassi su come fanno sentire te».
«Non credo di essermi mai sentito realmente a mio agio con la tecnica. Tutte le volte mi fa illudere di aver raggiunto un traguardo, di essere arrivato, ma dopo c'è solo il vuoto e questo mi spinge a volere sempre di più» rispose con un sorriso enigmatico. «Così diventa qualcosa di cui non posso fare a meno, qualcosa che cerca sempre di spingermi oltre i miei stessi limiti. Come una vendetta che, anche dopo essersi compiuta, non ti lascia niente».
L'intervistatrice annuì, ma la curiosità nei suoi occhi era più che palpabile. «La reazione delle persone ai tuoi quadri è un qualcosa di mai visto prima. Non tanto per la reazione in sé, che alcuni definirebbero una "sindrome di Stendhal collettiva", quanto per la precisione scientifica con cui il fenomeno sembra ripetersi. Come ti senti al pensiero che molte persone si sono tolte la vita dopo aver assistito a una tua mostra?»
«È il prezzo da pagare per essere un artista maledetto, no?». Sfoggiò un sorriso beffardo. «Non sono responsabile delle scelte delle persone, ognuno è libero di decidere come affrontare la propria vita».
«Quindi non hai alcuna spiegazione?».
Esitò qualche attimo, poi disse: «Vedi... quando sogniamo, le nostre emozioni sono reali, eppure quel mondo non lo consideriamo reale quanto quello della veglia. Penso sia lo stesso per le mie tele. Le emozioni sono reali, ciò che le scaturisce non è altro che un sogno che intercetta la veglia. Un sogno fatto da svegli».
L'intervistatrice sembrò un po' sorpresa dalla risposta enigmatica e, rassegnata al fatto che probabilmente non avrebbe ottenuto alcuna informazione chiara, continuò con un'altra domanda: «E il rifiuto di svelare la tua tecnica è parte di quest'aura di mistero che circonda la tua arte?».
Winston alzò un sopracciglio e assunse una posizione di dominanza. «Forse sì, forse no».
La donna sorrise, ma non sembrò convinta della risposta.
«E come descriveresti te stesso come artista? Come hai scelto il tuo nome d'arte, Winston?»
«Per via della marca di sigarette. Ovviamente è solo un concetto, non è uno sponsor e non voglio incitare nessuno a prendere questo vizio. Però mi piace l'idea di partecipare alla propria morte, l'idea di qualcosa che ti uccide lentamente e in maniera del tutto dichiarata. Come i miei quadri, d'altronde: sono maledetti, l'ha detto lei, eppure la gente continua a volerli, come le sigarette. E poi il nome d'arte è una maschera, ma non per questo una gabbia. Perché alla fine ti senti più legittimato a essere te stesso quando nessuno si rende conto che sei te stesso... Una strana forma di libertà»
«Quindi l'arte è la tua forma di libertà, la tua via di fuga?»
«Diciamo di sì. Sì, credo che l'arte sia una forma di follia controllata. E si sa: nessuno si aspetta niente dai pazzi, per questo sono liberi».
L'intervistatrice, ancora più inquieta, cercò di rimanere professionale nel proseguire la conversazione, tentando di scendere nell'abisso dei pensieri dell'ospite. «Dietro alle tue parole sembra celarsi una lunga e accurata riflessione. Cosa ti ha portato a tale conclusione?».
Winston si voltò verso di lei, con un'espressione più seria. «Beh, quando ero piccolo mia madre morì». Dal pubblico emerse un "ooh" di compassione. «Passai la mia adolescenza prigioniero dei miei zii e quasi sprofondai nella pazzia».
Gesticolò e poi fece una pausa, in modo da formulare i suoi pensieri al meglio. «Ma è anche grazie a essa che ne sono uscito vivo. Grazie a essa non mi sono annullato. La follia mi ha dato una casa, un lavoro, una vita degna di essere vissuta. È stata la mia salvezza. Perché se c'è qualcosa di peggio che essere pazzi, è non essere niente. Se dovessi scrivere una costituzione, l'articolo numero uno sarebbe: "Tutti hanno il diritto di assecondare la propria follia"».
L'intervistatrice sembrò commossa dalla storia di Winston e si rese conto che l'artista era molto più di quanto lei pensasse inizialmente.
«Ancora una domanda. Di recente, sono sorte delle pesanti accuse secondo le quali saresti responsabile della sparizione di un ragazzo. A differenza degli altri casi di suicidio e omicidio legati ai tuoi quadri, di cui non vi sono prove, questo sembrerebbe essere riconducibile unicamente a te». Di colpo, tutta la tranquillità del ragazzo crollò, il suo sorriso sparì, si schiarì la gola e sollevò leggermente la testa. «Non intendo rispondere a questo tipo di domande. Ho già preso vie legali a riguardo e sono in corso accertamenti che sono sicuro proveranno la mia innocenza».
«Rispettiamo la tua riservatezza, Winston. Bene, il tempo a nostra disposizione è scaduto. Ti ringrazio per essere stato con noi a "Quindici minuti con una celebrità"». Winston sorrise e si alzò dalla sedia per stringere la mano alla donna, pronto ad andare via.
«Grazie. È stato un piacere essere qui»
«E ora, pubblicità!».
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The Skunk [su Amazon]
RomanceDISPONIBILE ORA SU AMAZON 🩷 «Una società che rinchiude i suoi artisti non è una società che merita di esistere.» Per Winston l'arte non rappresenta solo una via di fuga, ma una vendetta nei confronti di una vita che prima gli ha portato via la mad...