...e poi tutto nero.

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                                           CIRO
-10 minuti prima-
Lei dovrebbe essere già qui, non credo di resistere ancora per molto.
Ho un fottuto mal di testa che non mi da pace.
Gli occhi minacciano di chiudersi, non posso assecondarli, potrei non svegliarmi più.
La stanza comincia a girare, porto le mani alla testa, alla ricerca di un po' di sollievo, ma non funziona.
Ieri è successo un casino, il mio intento era di soddisfare mio padre, dovevo semplicemente far capire a dei traditori, che non si scherza con la famiglia ricci e invece sono finito qui, in un cazzo d'ospedale.
Ricordo che andai in mensa, pronto per vederli inginocchiati chiedendo il mio perdono, o meglio ancora, il perdono di Don Salvatore, nonché mio padre.

Tutto andava secondo i miei piani, le guardie di turno erano tutte corrotte, quindi non sarebbero intervenute

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Tutto andava secondo i miei piani, le guardie di turno erano tutte corrotte, quindi non sarebbero intervenute. Alla mia destra c'era Edoardo, pronto ad aiutarmi, come sempre.
Tutto si complicò quando, dopo averli minacciati, uno di loro tirò fuori un coltello, d'istinto tirai fuori il mio. Iniziammo una rissa, il primo che mi aggredì, lo uccisi con un colpo secco alla giugulare; il secondo, già mezzo stordito dai calci del mio amico, lo spinsi facendolo sbattere contro uno spigolo. Il terzo, l'unico in possesso di un arma, mi venne in contro incazzato nero, io indietreggiai di alcuni passi, sbattendo contro una persona. Il traditore alzò la mano con l'intento di infilzarmi, e ci sarebbe anche riuscito, se non mi fossi spostato. La coltellata ricadde su Silvia, dietro di me e fu la fine, la mia fine.
Ebbene sì, ieri ho ucciso due persone e ferito anche alcune guardie (che alla fine sono intervenute), l'unico mio rimpianto però, è essermi distratto: per una frazione di secondo, mi sono girato verso colei che si trovava nel posto giusto, ma nel momento sbagliato, eppure era lì, agonizzante, trafitta al petto da un coltello; lo stesso, che dopo pochi secondi, mi riservò la stessa sorte.
Non fece tanto male, eppure caddi a terra, perdendo i sensi.
...
I miei pensieri vengono interrotti da un rumore, è la porta.
Qualcuno entra nella stanza, suppongo sia arrivata.
Non ho quasi il coraggio di girarmi, odio farmi vedere in queste condizioni, però lo faccio, con molta fatica, ma mi giro.
Lei è li, proprio a un passo da me, però quasi non la riconosco: i suoi lunghi capelli biondi, adesso, sono legati in una coda spettinata; gli occhi azzurri sembrano più spenti, quasi grigi.
<Ciro?> La sua voce è flebile, un sussurro.
<Ciao piccrè> Le dico abbozzando un mezzo sorriso.
Non mi risponde, con lo sguardo inizia a vagare per tutta la stanza, finché non si sofferma su una sedia poco distante dal mio lettino. La raggiunge e si siede.
<Che ti è successo?> Mi chiede, abbassando la testa verso quello che sembra un elastico. Se lo rigira tra le mani, tirandolo e intrecciandolo, probabilmente presa dal nervoso.
<guardm>
Devo spiegarle cosa sia successo a Silvia, per colpa mia. Ha il diritto di saperlo, ma non posso farlo se non mi guarda.
<T agg ritt guardm> Ripeto alzando un po' troppo la voce.
Dopo una breve esitazione, finalmente, alza la
testa.
La guardo intensamente, sono a conoscenza che quello che le dirò, la distruggerà: ho notato il bel rapporto che si era creato tra lei e Silvia, ed al solo pensiero che possa essere terminato, per colpa mia, quasi mi fa sentire in colpa. Non so se sia ancora viva, non so se sia in coma, non so un cazzo e sinceramente non me ne frega molto, però Chiara ha il diritto di sapere e colui che glielo dirà, devo essere io.
Faccio un bel respiro, cercando di ignorare la forte fitta che si espande per tutto il petto e mi decido a parlare. Ma nel momento in cui schiudo le labbra, pronto a raccontarle la straziante verità, ecco che vengo interrotto da delle grida al di fuori della stanza:
<AGGIA VEDERLO>
<signore, suo figlio deve riposare>
Io e Chiara d'istinto ci giriamo verso la porta, la
stessa che dopo 5 secondi si spalanca violentemente.
Alla vista di mio padre, mi irrigidisco all'istante, mentre lei scatta in piedi, terrorizzata.
< chest chi è?> domanda mentre richiude la porta.
Non rispondo, mi limito a guardare Chiara facendole segno di andarsene. Però l'unico che capisce al volo le mie intenzioni, è l'uomo in piedi dinanzi a me, perché con la mano le fa segno di riaccomodarsi.
Abbasso gli occhi, sottomesso per l'ennesima volta al volere di mio padre.
Chiara si risiede, un po' timorosa.
L'uomo fa un bel respiro, probabilmente per calmarsi e con un'improvvisa e inquietante tranquillità, si avvicina alla finestra accendendosi una sigaretta.
Sistemo meglio il cuscino, consapevole che non se ne andrà senza una valida spiegazione, del mio fallimento.
Dopo qualche minuto di silenzio, decido di rompere il ghiaccio, iniziando a raccontare l'accaduto. 
....
<T si fatt piglia ra e emozioni> ghigna mio padre, ancora affacciato alla finestra.
Io per tutto il racconto ho cercato di tener duro, il dolore fisico che provo è straziante, ma non posso svenire di nuovo, o almeno, non sotto il suo sguardo.
Chiara è rannicchiata sulla sedia, con alcune lacrime che le solcano il viso, ma non dice nulla.
A un tratto l'espressione di mio padre cambia radicalmente: con passi veloci si avvicina al mio lettino, puntandomi il dito, forse per dirmi qualcosa, ma non lo fa.  Si limita a fissarmi intensamente, facendomi intendere tutto il disprezzo che nutre nei miei confronti.
Io seppur con tanta fatica, alzo il busto sostenendo il suo sguardo.
Sento di non reggere più, ormai vedo tutto sfuocato.
<nun si degn ro cugnom che tien, SI DEBL> urla prima di allontanarsi e andarsene.
Mi giro verso di lei, pronto ad incassare anche tutto il suo odio, ma colto da un'improvvisa stanchezza, mi accascio sul cuscino.
<me dispiace> riesco a dire, prima di vederla correre verso di me piangendo e poi tutto nero.

 Me so 'mbriacat e'te Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora