"Linoleum"

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Alvin M.
Meta X Adolescenti Annoiati
Proprietà letteraria riservata
L'opera è frutto dell'ingegno dell'autore
© 2016 AnarkyEditore
Via Marinotti, 40
09039 Villacidro
Seconda Edizione
Copertina B.H. Pinterest-46389832

Era un giorno come tanti altri, di quelli in cui ti senti dire che è sempre il solito

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Era un giorno come tanti altri, di quelli in cui ti senti dire che è sempre il solito. A volte però la routine, la stessa che ti porta a credere che la vita sia noiosa o lunga, viene spezzata da un evento. Fuori dalla suola c'era un prato verde infinito, pieno di alberi secolari, oltre quel prato c'era un campo di papaveri forse pure più grande. Aysea aveva corso tante volte in mezzo al prato e al campo di papaveri, ma non sapeva con certezza quale dei due fosse il più grande. Quella mattina stava studiando nel prato, era aprile, qualche giornata di bel tempo si faceva già vedere, raccontava la primavera. Aysea era contento perché il sole gli metteva il buon umore, come capita a tanti; al contrario le nuvole sembravano schiacciare il suo cervello a terra: aveva brutti ricordi legati alle nuvole. L'autunno precedente aveva sofferto di turbe psichiche, aveva avuto bisogno di uno psichiatra e di un medicinale chiamato Remeron. Il gelo, il cielo plumbeo, lo riportavano a quel periodo, vedere un po' di sole invece lo accompagnava lontano da tutto ciò. I suoi compagni di scuola lo chiamavano Atreyu, o il piccolo Atreyu, come il protagonista del famoso film "La Storia Infinita". Questo perché era il suo film preferito. Aveva dei capelli lunghi biondi, occhi blu ed era gracile e piccoletto. Io lo conobbi proprio l'autunno in cui stava male: aveva tentato di togliersi la vita tagliandosi le vene. Quando la professoressa ci informò dell'accaduto la cosa mi colpì particolarmente, ricordo che andai all'ospedale per diversi giorni. Lo fissavo attraverso un vetro mentre dormiva su un lettino, sopra di me una luce quasi fulminata lampeggiava. Mi sembrò strano non trovare mai nessuno lì, fu così per ognuno dei cinque giorni che mi presentai. Il quinto giorno lui mi guardò, beveva una tazza di latte, io girai lo sguardo e andai via. Non so spiegare perché ero andato a trovarlo tutti quei giorni, sentivo di doverlo fare. Apparentemente non aveva problemi, gli amici non gli mancavano e stava sempre insieme ad una ragazzina di nome Milena, penso che lei fosse innmorata di lui. Almeno all'apparenza tutto sembrava normale. Il giorno prima che tornasse a scuola, la professoressa Carta ordinò a tutti di evitare l'argomento: Tony, il bullo della classe, non fece nemmeno una battuta, anzi sembrava pure lui dispiaciuto dell'accaduto. Milena aveva gli occhi lucidi, era visibilmente scossa. Loro stavano in banco assieme, io ero ripetente, ero stato bocciato quattro anni di fila, cominciavo a credere di essere un ritardato e che ormai era ora di ritirarmi da scuola. Udii Milena dirli: "Nessuna valida motivazione", sicuramente si riferiva al suo tentato suicidio. Fuori c'erano grosse nuvole grigie. Il grazioso ragazzino sembrava giù di corda e ogni tanto si metteva le mani fra i capelli come se fosse disperato. Mi chiese una penna, come gliela porsi toccai la garza che li fasciava un polso, rabbrividii. "Grazie" mi disse.
Era molto tranquillo, sembrava un tipo dotato di grande autocontrollo, aveva con se un quadernino su cui scriveva continuamente. Finita la mattinata mi chiese un passaggio a casa, me lo chiese come se mi conoscesse da una vita.
"Ehi, mi dai un passaggio? Mi sento molto debole". "Certo!" risposi. Lo feci salire sulla mia auto, notai che era molto simpatico , aveva da ridire su tutti.
"Guarda che culo" sbottò facendo riferimento ad un ragazza obesa che correva. "Non la saluto più dal giorno in cui mi ha guardato storto". "Ti ha guardato storto?" Gli chiesi.
"Sì, forse ha immaginato che fossi un panino e voleva addentarmi". Mi fece ridere. "Oh, guarda chi c'è" aggiunse indicando un altra ragazza. "Quella è la figlia del preside, bisognerebbe picchiarla, stuprarla e rutti nella vagina". Scoppiai a ridere come un pazzo, lui rise con me. Fu la cosa più grezza che avessi mai sentito, stentavo a credere che potesse essere così grazioso e stronzo a un tempo.
"E guarda lì" disse indicando un ragazzo col berretto bianco. "Perché i giocatori di calcio si credono i padroni dell'universo? Sono persino coccolati dai professori".
Abbassò il finestrino e li urlò: "Scusa un informazione... Per via le dita dal culo?" Io accellerai, quel ragazzino con i suoi insulti rivolti alle persone mi stava mettendo in difficoltà.
Arrivati a casa sua mi convinse ad entrare. Sua sorella stava su un girello nel salotto, la prese in braccio e la portò con se in cucina. "Ciao mamma, ciao papà" esordì davanti ai suoi. La madre chiaccherava con una vicina di casa su un divano. Lei non gli rispose. Si chiamava Gilla.
Aysea mi spiegò: "Non risponde perché sta rilasciando un intervista, lei è un pilota di formula uno, si chiama Gillenueve". Mi fece ancora ridere: in formula uno all'epoca era molto popolare un pilota chiamato Jacues Villenueve, lui fuse il nome di quel pilota con quello della madre.
Il padre gli domandò: "Com'è andata a scuola?" Lui rispose "Eh, dai! Insomma, a caval donato non si guarda in culo!" Il padre lo osservò sconcertato da tale risposta, capii che era completamente matto.
Passammo per un altro salotto, lì seduta su una sedia c'era sua nonna, guardava la tv. "Ciao nonna!" esordì il piccolo.
Un TG dette la seguente notizia: "Ora parliamo di Melany Wood, un attrice caduta nel porno". La nonna si girò verso il nipote e gli disse: "Hai sentito? Un attrice è caduta nel forno". "Sì, buonanotte nonna!" rispose Aysea. "Ha detto caduta nel porno: intende quei film con le donnine nude". Io non riuscivo a smettere di ridere, quella giornata sembrava un susseguirsi di cazzate. Infine andammo in camera sua. Lì prese la chitarra elettrica e si mise a fare un pezzo dei Sonic Youth. "Abbassa il volume" urlò sua nonna. Lanciò la chitarra per terra e spense l'amplificatore. "Oh, questa non sente mai un cazzo a parte la chitarra, i nonni e i genitori sono creati per non farti ascoltare o suonare la musica ad un livello appropriato". Sorrisi, tirai fuori dal giubbotto una bustina di liquirizia e gli chiesi: "Vuoi?" Lui mi guardò dusgustato.
"Odio la liquirizia, è morte e merda!"
"Ma che cazzo dici?" gli chiesi. "Sì" rispose, "è morte e merda!" Lo disse con un tale sentimento... Il padre scese al piano terra, si affacciò e gli intimò di spegnere la luce. "La bolletta la pago io" sbottò, poi risalì le scale. Io e Aysea cominciammo a ridere di gusto, per il semplice fatto che la luce del lampadario era spenta non accesa, quindi ci chiedemmo quale allucinazione onirica o ancestrale avesse colpito il padre in quell'istante. "Vedi? O sono coglione io o sono pazzi loro" concluse.
...
avevo diciotto anni ed ero un ragazzo obeso. Non trovavo amici della mia età perché... Beh, semplicemente perche loro non erano interessati alla mia compagnia. Quando conobbi Aysea, nonostante fosse più piccolo di me di quattro anni, lo vidi subito come un amico. Quella volta in camera sua mi chiese il numero di telefono, glielo detti, l'avevo dato a tante persone in vita mia, ma nessuno mi aveva mai fatto una sola telefonata. Quella sera a tavola mangiavo come un porco, del resto lo facevo sempre. Ricevetti una telefonata: pensai che come al solito fosse una delle mie zie, quando risposi al telefono invece sentii la sua vocina. Mi disse una
delle sue cazzate: "Un cavallo entra in un bar e il barista li chiede: come mai quel muso lungo?" si mise a ridere da solo anticipandomi.
Aggiunse: "Sto guardando -Hot Shot due-, fa morire!" Sentivo che a lui potevo dire tutto. "Io sono un ciccione di merda, vero?" Rimase zitto per un secondo poi mi rispose: "Ma che cazzo dici? Non sei grasso, sei robusto". Mi misi a ridere, non so se lo pensasse sul serio, ma mi piacque quella risposta, cercò di farmi un complimento. "Grazie" risposi. "Perché me l'hai chiesto?" continuò. "Beh, perché in tanti pensano che sia una buona scusa per non uscire con me" risposi.
"Beh tu ti fai troppe seghe mentali". Sentii la voce di suo padre: "Abbassa la cornetta, la bolletta la pago io". Mi salutò e abbassò il ricevitore.
L'indomani a scuola si mise a litigare con il professor Lixia sull'importanza di un titolo di studio. "Non serve a un cazzo prof., conosco laureati che fanno le pizze, l'unica cosa importante è la pratica. Un mestiere lo impari praticandolo e una cultura te la crei semplicemente leggendo, non serve a nulla che quattro coglioni ti giudichino e ti mettano un brutto voto, perché non sai quante volte Adolf Hitler andava a cagare o si scopava Eva kant". Tutta la classe tuonò: che risata ragazzi! Il cielo plumbeo ne fu testimone... Durò un infinità di tempo.
"Aysea!" tuonò il professore. "Modera il linguaggio! Passando sopra tutte le cazzate che hai detto, se avessi almeno letto, sapresti che Eva Kant è la compagna di Diabolik, non di Hitler". Alla fine della ramanzina rise persino il professore. Aysea si girò verso di me e mi fece l'occhiolino, lo ricordo come se fosse accaduto ieri. All'ultima ora si sedette vicino a me, il posto a fianco a me era sempre stato vuoto, mi spiegò che sarebbe rimasto lì fino alla fine dell'anno. Quella sera andai a casa sua, suo padre mi fece entrare. Mi sedetti nel salotto in cui la nonna guardava la tv, lo stava facendo anche quella volta, risi ripensando alla buffa scenetta del giorno prima, quando secondo l'anziana signora, un attrice era caduta nel forno. Lei rispose al mio sorriso senza capire perché fossi così allegro. Il piccolo Atreyu entrò nella stanza con una maglietta dei Beatles. "Bella!" gli disse sua nonna. "Chi sono?"
"È una band inglese" rispose Aysea.
"Di Iglesias?" chiese l'anziana signora. Io attaccai a ridere nuovamente. Iglesias è un piccolo paese della sardegna, era buffo pensare che i Beatles venissero da lì. Il piccolo scosse la testa in segno di diniego."Sì, di Iglesias nonna, come dici tu" concluse, mi guardò e rise a sua volta. Uscimmo e ci dirigemmo verso il parco del paese, li ci scolammo diverse birre e parlammo di musica. Milena, la sua piccola amica, si unì a noi. Aysea prima di uscire le aveva telefonato e le aveva detto: "Porta dei tovaglioli perchè ho delle merendine". In realtà il suo voleva essere un messaggio in codice. Quando però al parco, vide che Mileva aveva realmente portato dei tovaglioli scoppiò a ridere: "Che cazzo fai?" le chiese.
lei rispose: "Dove sono le merendine?"
"Cazzo!" sbottò il piccolo Atreyu. "Intendevo dire, porta delle cartine perché ho dell'erba da fumare". Quando Milena collegò scoppiò a ridere come una stronza, fu una scenetta davvero divertente.
"Che cazzo ne so io? Non li capisco i messaggi in codice" tuonò. "Al telefono non posso dirti certe cose, gli sbirri potrebbero ascoltare" le spiegò Aysea.
Non avevo mai provato l'erba così decisi di fare qualche tiro. "Qual'è l'effetto?" chiesi loro mentre ridevo come uno stupido. Il piccoletto mi disse: "Chiediti perché ridi come un demente". Mentre me lo disse giocava con il suo accendino: l'aveva modificato in modo da far fuoriuscire da esso una fiamma enorme. Senza accorgersene mise la fiamma davanti agli occhi di Milena, lei gli allontanò il braccio visibilmente spaventata, poi lo rimproverò usando il dialetto latineggiante del Medio Campidano, gli disse: "Ma 'ta gazzu..." e lo ripetè. "Ma 'ta gazzu..." infine concluse. "Ma ta gazzu se fadendu?"
Tradotto gli aveva semplicemente chiesto: "Ma che cazzo stai facendo?" Lo disse in modo molto simpatico, non mi ero mai divertito così tanto in vita mia. Milena era una ragazza molto carina, per certi versi assomigliava ad Avril Lavigne, portava sempre una cravattina nera al collo. Era carina ma al tempo stesso molto mascolina: si comportava più come un ragazzo anziché come una ragazza. Lei adorava il motomondiale e tifava per Valentino Rossi: diventammo subito amici.
...
una sera Aysea litigò con suo padre, quest'ultimo sosteneva che il figlio consumasse troppa corrente. "I soldi mancano, lo sai!" gli disse l'uomo. Aysea lo mandò a fanculo e uscì sbattendo la porta, io rimasi zitto perchè capii il momento critico.
Salì in auto con me e partimmo: avevamo in programma di andare al cimitero, mi aveva detto che li ci abitava un suo amico, il figlio del guardiano. Appena partiti però mi chiese di fermarmi, cominciò a parlare di suo padre: "In fondo è un brav'uomo" disse. "Quando ero piccolo si ammazzava di lavoro alla fabbrica di zinco, ha respirato merda per anni e anni, e quando l'avevano messo in cassa integrazione ha lavorato in nero un po' dappertutto, per non farmi mai mancare niente". Scese dall'auto e gli andò incontro, suo padre stava salendo sulla sua scassata Fiat Uno per recarsi una volta ancora alla fabbrica di zinco, cosa che ormai faceva da trent'anni. Aysea l'abbracciò, l'uomo rimase impietrito: probabilmente era da tantissimo tempo che il figlio non li rivolgeva un abbraccio. Aysea li disse: "Scusa papà, cercherò di risparmiare". L'uomo fece cenno di si con la testa, lo vidi asciugarsi le lacrime, suo figlio tornò da me. Fu una scena che mi intenerì molto, capii che persona fosse il piccolo Atreyu: un piccolo ribelle dall'animo gentile. Quella sera c'erano riflessi delicati di sole un pò su tutti i prati. C'era un leggero vento, si portava dietro la gioventù. All'autoradio c'era una canzone che non apprezzavamo particolarmente, ma risultò attinente alla situazione. È un mio ricordo d'amicizia e ogni tanto mi fa del male: è un po' come una scure d'oro che mi taglia la testa. "November Rain" dei Guns 'N Roses. Aysea odiava quella band ma non mi chiese di cambiare canzone. I prati scorrevano. I bambini giocavano. La chitarra elettrica buttava giù quegli accordi commerciali e allo stesso tempo malinconici. "È una musica carina per gente carina" disse il piccolo Atreyu divertito. Vidi il sole al tramonto, l'aria primaverile investire gli alberi e entrare dai finestrini totalmente abbassati della mia Fiat Tempra. Sentii in quella canzone un po' di vita, sentii quanto poteva essere breve. C'era amore, c'era sintonia. Spinsi sull'accelleratore, Aysea sorrise e mise fuori dal finestrino un braccio, più la velocità saliva e più lui sorrideva. Ci fermammo ad un semaforo, io scesi dall'auto e cominciai a correre attorno ad essa, lo fece pure lui. Le auto dietro la mia suonarono il clacson, non ci interessò, continuammo a girare e a rigirare ridendo. Io in senso orario, Aysea in senso antiorario, ed ogni volta che ci incontravamo ci salutavamo. Al semaforo scattò la luce verde, salimmo sull'auto e partimmo a tutta birra. È un ricordo che ancora oggi mi crea gioia, una pace enorme, nessun rimpianto. Mi da la consapevolezza di non essere stato fregato dalla vita, la consapevolezza di aver vissuto più in quel solo attimo che in tante altre situazioni della mia vita. Furono cinque giri, non di più. Cinque giri attorno ad un auto per permetterci di sorridere, cinque giri per permettere a chi ci osservò di etichettarci come idioti.
Cinque giri per permettere alla canzone di morire, di lasciarci in silenzio in mezzo all'incrocio di uno sperduto paesino della terra, in mezzo al tramonto e all'aria fresca di primavera.
...
un giorno mi presentò due suoi amici. Il primo si chiamava Gabriele, era un ragazzino biondo, molto piccolo e gracile; l'altro si chiamava Oras, quest'ultimo era un po' come me: grasso e grosso. Guardavano la tv insieme ad Aysea e prendevano in giro una serie televisiva: "Settimo Cielo". La serie tv aveva come protagonisti un prete protestante e la sua famiglia. Ogni volta che parlava il prete, Aysea prendeva il telecomando della tv e premeva il tasto muto, tutti ridevano.
"Perchè fai parlare tutti meno che il prete?" gli chiesi. "Così per ridere!" rispose. Infine mise una videocassetta riguardante il nazismo che apparteneva a suo padre, quando appariva Hitler premeva il tasto pause del VHS nella speranza di ottenere un fermo immagine divertente. Per diverse volte Hilter apparve davvero buffo e tutti ridemmo come stupidi. La nostra ilarità era rafforzata dalle cose che il piccolo Atreyu diceva di lui. "Guardatelo!" disse ad un certo punto. "Sembra la mummia di Mammoiada". Tutti scoppiammo a ridere. Fece scorrere il film documentario ed ottenne un altro divertente fermo immagine del Fuhrer. "Guardalo qui! Sembra il tizio della birra moretti". In un altro fermo immagine disse: "Tutti volere pinguino de' longhi?" Questa che vi ho appena citato era una famosa pubblicità anni novanta, Aysea mise in bocca a Hitler questo slogan.
Scritto è poca cosa, me ne rendo conto, ma sul momento, vi giuro, fu la cosa più divertente del mondo. Era la sua voce, il suo modo di parlare, non è possibile spiegarlo. Ci furono molti altri insulti rivolti a Hitler, quando tolse la cassetta e si sedette sul divano, ci fu un coro di: "Noooooo!" Io, Gabri e Oras volevamo che il gioco proseguisse. Avrei voluto abbracciarlo per quanto ci aveva fatto ridere. Lui si alzò e cantò una canzone di Reverendo Jones: un artista divenuto popolare nella nostra regione per il suo modo di rivisitare canzoni rock in chiave comica, storpiandone i testi e riscrivendoli in lingua sarda. Aysea urlò: "Su zingarellu tenendu a pampa". Ci mettemmo tutti ad imitarlo: "SU ZINGARELLU TENENDU A PAMPA". Tradotto stavamo semplicemente dicendo "Il piccolo zingaro sta bruciando". Non odiavamo gli zingari e sono sicuro che non gli odiasse nemmeno il caro reverendo Jones: era solamente una stupida frase buttata giù senza pensare, giusto per dire una scemenza.
Arrivò la nonna del piccolo Atreyu e ci disse: "Mettetevi sul divano, vi faccio una foto". Ci mettemmo tutti e quattro vicini, in quella foto uscimmo tutti con un sorriso grande come una capanna. Aysea disse: "Sono certo che quando la sviluppiamo, appariremo tutti quanti con odore di culo". Io lo abbracciai ridendo. "Ma come con odore di culo?" Lui alzò le spalle, mi rivolse un radioso sorriso. Non conosceva nemmeno lui il significato delle cose che diceva. La nonna ci disse: "Io ho la bellezza di novant'anni e come vedete sono ancora sveglia, non sono rimbambita come qualcuno può pensare". Pochi secondi dopo suonarono alla porta, la stessa donna alzò la cornetta del telefono e disse: "pronto...".
"Buongiorno nonna!" sbottò Aysea. "Hanno suonato alla porta, metti giù il telefono". Era il padre di Aysea, tornava da lavoro. Uscimmo per strada. Aysea anziché portarsi dietro il telefono cellulare che sua madre gli aveva comprato, per poterlo rintracciare sempre, specie dopo il suo tentato suicidio... Si accorse che aveva preso il telecomando della televisione. Anche in quel momento ridemmo fortissimo. E qui un altro fermo immagine, la mia mente va avanti a fermare immagini, quelle che mi piacciono tanto. Eravamo lì, bellissimi, giovani, in un viale alberato serale e primaverile. Era il
millenovecentonovantasette, stavamo lontano dai telefoni, internet esisteva già, ma era ancora in uno stato embrionale. Quei giganteschi computer non interessavano ai ragazzi della nostra età. Ci interessava abbracciarci, parlare faccia a faccia, sentire il profumo dell'aria e ridere l'uno dell'altro. Prendere per il culo le nostre madri nonostante le amassimo con tutto il cuore. Come puoi spiegare ad un ragazzino di oggi cos'era veramente importante, in quel periodo. Se ti piaceva una ragazza,
non potevi certo tastare il terreno inviandole un messaggio su Whatsapp, trovavi le palle e ci andavi a parlare faccia a faccia. E poiché non stavano mai sole ma si muovevano sempre in gruppo, era facilissimo cadere nella figura di merda. Ma quella figura di merda era reale, era tua, eri semplicemente tu. Aysea chiese così a mia sorella di uscire, vi parlerò più avanti di questo aneddoto, ora vi sto solo anticipando qualcosa. Lei e le sue amiche risero, nonostante fosse uno dei ragazzini più belli della scuola, anche lui fece una figura di merda, a volte le ragazze lo facevano solo per romperti un po' le palle.
E lui a quel "No!" Così secco e senza possibilità di replica, di mia sorella, rimase rosso in viso, paonazzo. Guardò le proprie scarpe, poi fece finta di guardare l'ora nel suo orologio, e solo quando non sapeva più dove buttare lo sguardo disse, balbettando: "O-Ok, d-devo proprio andare".
Fu li che Carla, mia sorella, sbottò dicendogli: "O cazzo, sei così carino!" Gli scrisse il numero di telefono, di casa, su un foglietto e glielo dette. Aysea lo prese con mano tremante, girò i tacchi e quasi corse via, ancora imbarazzato.
Vi ho spiegato grossomodo un approcciò anni novanta. Esistevano anche approcci del tipo, mandare a parlare con la ragazza che ti piaceva il tuo migliore amico, o infilare nella borsa della stessa ragazza un foglietto anonimo o firmato. Ma io vi ho voluto raccotare il metodo più carino. Quello che attuavano solo i ragazzi più temerari. E questo viale alberato, fermo nella mia mente, mi fa ricordare queste cose, questi ricordi di tanti anni fa, che giaciono ormai nel profondo e faticano ad emergere.
L'aria fa gli alberi schiavi e tutti noi ridiamo: in strada passano: le Fiat Punto, le Fiat Panda, Le Fiat Uno, le Lancia Dedra, le Renault Clio, vi sto parlando dei primi modelli di tali auto, lo so che molte esistono ancora oggi, ma non sono più belle e squadrate come quelle. E i ragazzi camminano senza guardare display luminosi come fossero strani esseri venuti del futuro. Solo noi, solo noi, solo noi, solo quel nostro sorriso e quel cazzo di vento che profuma l'aria e mi fa disperare.
...
Ci fu un giorno in cui lui e sua madre risero molto intensamente: fu una delle poche volte che li vidi ridere insieme. La signora Liori voleva bene a suo figlio, però mi dava l'impressione che allo stesso tempo si preparasse, vista l'esuberanza del piccolo, la sua propensione alle cazzate e all'irresponsabilità, mi dava l'impressione che si preparasse al peggio, ad una sua morte prematura. La cosa mi spaventò, questo mio pensiero mi spaventò. "Perché ridete?" chiesi. Aysea mi fece vedere un verbale, gliel'avevano fatto quella mattina i carabinieri, perché con il suo motorino, un Sì rosso, aveva fatto il pazzo in una famosa via del paese. Il motorino nel libretto di circolazione risultava a nome di sua nonna, quest'ultima gliel'aveva regalato per il suo quattordicesimo compleanno. Lessi il verbale: i carabinieri scrissero su di esso non il nome di Aysea ma quello di sua nonna. "Marisa Carboni impenna il motorino in via Repubblica".
Scoppiai a ridere pure io, lui mi guardò con i suoi occhietti vispi e mi disse: "Te l'immagini mia nonna in via Republica impennando in motorino?" Gli fermarono il Sì per una trentina di giorni. Lui raccontò l'accaduto anche al parco facendo ridere: me, Gabri, Tony, Milena ed Oras.
Dopo tirò fuori dalla tasca dei jeans un vecchio verbale fatto dai carabinieri a suo padre, una volta che da giovane rimase coinvolto in una rissa. Tutti ci zittimmo, lui lesse la parte migliore: "I giovani sono venuti alle mani con i piedi" e giù risate. Fu un enorme fragorosa risata la nostra. "Cazzo!" sbottò Milena. "Ma si può essere più coglioni?" Io la volli ripetere:
"Sono venuti alle mani con i piedi". Mi sembrava la cosa più divertente del mondo. Il quattordicenne prese la chitarra classica e ci intimò: "Venite! andiamo a fare una serenata a Tzia Leccis". Quest'ultima era un anziana signora che gestiva una gelateria appena fuori dal parco. Entrammo tutti dentro il piccolo negozietto. Tony disse al piccolo Atreyu: "Non fare cazzate!" Lui si mise a cantare una canzonina davvero cogliona in dialetto campidanese: "Su toppi 'e Tzia Leccis", che tradotto voleva
significare -la vagina della signora Leccis-. La donna sbottò: "Che cazzo vuoi?" Tutti noi ridevamo in modo violento, avevamo un sorriso plastico, da idioti, per via delle canne appena fumate. "Cosa vuoi?" tornò a chiedere stizzita la signora. "SU TOPPI 'E TZIA LECCIS" continuò con più enfasi Aysea. Io risi ancora più forte, tutti mi guardarono, mentre ridevo la bava mi colava dalla bocca. Vidi ridere pure Tzia Leccis, inspiegabilmente.
Nella gelateria entrarono delle ragazze fighette, ci guardarono allibite. Aysea concluse la canzone con un: "Da questa voce nasce un fioreeeee".
Poi disse una cosa incomprensibile tipo: "Mingheeeuuuaaaa!" E ordinò un gelato alla fragola e al cioccolato. Come uscimmo dalla gelateria io glielo presi e gli detti una bella leccata, così fecero: Gabri, Tony, Oras e Milena, ad Atreyu restituimmo solo il cono praticamente. "E andate a fanculo!" ci disse. Tony sballato com'era sbattè su una panchina, cadde a terra e rise di se stesso. Aysea ci convinse ad andare al vecchio anfiteatro abbandonato dietro il cimitero. Chiamammo quel posto -Meta Per Adolescenti Annoiati-. Lì ci mettemmo tutti in cerchio, vicini, c'erano un grande materasso matrimoniale e diverse siringhe lasciate li da qualche eroinomane. "Questo posto è così poetico" disse Aysea aprendo una bottiglia di vino da due litri. Tony si mise le cuffie ed urlò: "Sto ascoltando De André, un grande drogato". Ci fece ridere tutti. "A me piace De André" disse Gabri.
"A me fa cagare!" replicò Aysea. Tony intervenne dicendo: "Sto vedendo gli angeli!" era veramente sballato. Aysea prese in mano una siringa, io tuonai: "Che cazzo fai?" Lui la lasciò cadere. "Se divento sieropositivo posso vedere dieci minuti nel futuro" mi spiegò. Cominciò a piovere, ci sedemmo tutti con la schiena adagiata al muretto dell'anfiteatro. Luce debole, pensieri distorti, odore di legna bruciata. Mi ricordava mia nonna quell'odore, il suo camino. Davanti a noi un ponte e la strada per la Spendula, nei miei pensieri Villacidro: un paese che non sono mai riuscito a capire fino in fondo, ma che di sicuro non dimenticherò mai. Ci riparammo dalla pioggia col materasso matrimoniale, lo
attaccammo alla parete di cemento e ci stipammo sotto. "Una canzone da suonare" dissi. "Please Play This Song On The Radio" disse Aysea. La luce andò via del tutto, non vidi più le facce dei miei amici, sentii solo i loro dolci modi di ridere. Le gocce di pioggia sul materasso. Una canzone dei Nirvana che Tony cominciò a fare con la chitarra: -Pen Cap Chew-. Un giorno tutto questo forse passerà, un giorno sarò grande e dovrò affrontare delle responsabilità, ma non sono sicuro di volerlo. Cazzo! Non esiste un modo per evitarlo? Uno schermo da mettere fra me e il mondo per non confrontarmi con la realtà? "Una canzone da suonare" dissi ancora una volta. "Please Play This Song On The Radio" tornò a dire Ay. "Polly vuole un cracker" disse Milena. "Parliamo ancora amici, fuori piove".
...
Una di quelle sare vidi Aysea rompere bottiglie proprio in quel vecchio anfiteatro abbandonato. Lui viveva nel palazzo più alto del paese: chiamato da noi ragazzi il palazzo Clash; stava all'ultimo piano, poteva spiare tutto da li. Mi disse che la notte spesso si affacciava e rubava l'anima al paese, l'anima ribelle e tetra. In quel posto mi raccontò di essere sessualmente confuso, che a volte le piacevano le ragazze e a volte i ragazzi. Aveva un secchio pieno di bottiglie e continuava a romperle con enfasi. Io gli spiegai che non ci vedevo niente di male nell'essere bisessuali o qualsiasi altra cosa fosse. Lui però mi raccontò che aveva paura del giudizio della gente, specie di quello di un paesino piccolo. Poi si fece il segno della croce, Aysea era molto credente e forse anche le idee della chiesa riguardo i gay lo mettevano a disagio. La chiesa ha sempre avuto idee altamente discutibili riguardo i gay o qualsivoglia orientamento sessuale. Lì mi disse che era innamorato di mia sorella, ma anche, e forse me lo confessò perchè era ubriaco, che aveva il desiderio di andare a letto con un ragazzo, ed esser lui la ragazza, cioè fare il passivo. Io risi di gusto, non perchè non rispettassi questa sua idea, solo perchè anch'io ero ubriaco e sbagliando, non riuscii a prendere il tutto seriamente. Lui si offese e infatti stette zitto per un po', comtinuò solo a spaccare bottiglie.
"A me tu piaci! io ti scoperei!" gli dissi. Non ero convinto di quel che stavo dicendo, lo feci per levargli il broncio e dimostrargli comprensione. Lui sgranò gli occhi quasi spaventato, si avvicinò a me con fare lesto e chiese. "Sul serio?" Io all'epoca non sapevo nemmeno cosa fossi, non ci pensavo proprio ad etichettarmi. Certo Aysea lo vedevo come un ragazzino estremamente carino, aveva un fascino molto forte e particolare, ma ero interessato a lui come amico, non in modo sessuale. "Si sei bellissimo! In paese tu e Thomas siete i più carini" gli spiegai. Tirai in ballo pure un altro quattordicenne di paese, di cui parleremo più avanti. "Però sono interessato a te come amico, non voglio davvero scoparti" gli dissi. Lui timido timido annui, poi fece quello che gli veniva meglio, dire cazzate. "Beh, mica ci scoperei con te" mi spiegò. "Sei grasso, stupido e hai una faccia da minchia".
"Vaffanculo!" Gli risposi ridendo.
Poi si accucciò vicino a me, vicino vicino e mi disse: "Procedendo per assurdo... Per gioco, se fossimo in una stanza da soli, che mi faresti?" Io sgranai gli occhi e iniziai seriamente ad essere a corto di risposte. "Beh, ma che cazzo ti prende oggi?" provai.
"Dai, è solo un discorso strano" mi spiegò, incitandomi a dargli corda. "Beh, innanzitutto ti toglierei le All Star e i calzini, perchè sono un feticista dei piedi e li vorrei vedere, mi sembra che tu li hai piccoli, ad occhio e croce direi che calzi trentotto". Aysea scoppiò a ridere come un pazzo. "Cazzo!" tuonò. "Siamo da soli in una stanza, puoi mettermi nudo e scoparmi e tu che fai? Pensi ai piedi? Con i piedi ci cammini e basta. A che cazzo servono i piedi?" Disse tutto ciò con una parlantina così veloce ed una voce così buffa che mi pisciai sotto dalle risate. "Ognuno ha le sue perversioni testa di cazzo!" gli spiegai. Non feci in tempo a finire la frase che mi arrivò in testa, come un razzo, una delle sue All Stars marroni, conseguentemente mi lanciò anche il proprio calzino in testa, e mi porse un piede. "Ma che cazzo fai?" gli dissi spaventato. Aysea era capace di passare dalla timidezza all'azione in un solo fottuto secondo.
"Guardalo e dimmi cosa ne pensi" mi disse.
Lo guardai, lui rise perchè lo guardai per diverso tempo, glielo presi con la mano e lo girai a mio piacimento, poi mi fece un faccino come a dire, beh?
"Allora... È piccolo, hai la pelle molto delicata, il fondo rosso rosso, le unghiette sono ben tagliate, le piccole dita sono dritte e affusolate e l'alluce è carino carino. È un ottimo piedino e immagino che il compagno sia identico" gli spiegai. Mi fece vedere anche l'altro piede ed era come pensavo, valeva la stassa recensione.
Si rimise le scarpe e rimase zitto, io rimasi zitto a mia volta, ci guardammo e scoppiammo a ridere in una maniera incredibile, da veri ubriachi.
"Li vorresti sul cazzo eh?" mi disse. Risi ancora più forte e gli spiegai: "Ti prego! Per oggi abbiamo scoperto abbastanza stranezze l'uno dell'altro, direi che non c'è bisogno di continuare". Lui annui sorridendo radiosamente. Rimanemmo li, in quella meta per adolescenti annoiati a guardare la strada per la spendula. Un po' eccitati, un po' imbarazzati, un po' ubriachi, un po' amici e un po' qualcosa di più. Capisci di aver trovato una persona speciale quando puoi parlare liberamente delle tue stranezze senza sentirti un coglione. Nessuno di noi è perfetto, tutti abbiamo idee strane, perversioni strane, chi non le ha è solo perchè dice di non averle e non ci crede nemmeno lui. E meno male che non siamo esseri perfetti, alla perfezione ci pensa Dio, noi pensiamo a fare altro, a vivere. Quanto mi piaceva il suono della mia risata quando si mischiava alla sua, piccolo Aysea, piccolo Atreyu, piccolo Tamburino Sardo, quest'ultimo, un altro dei suoi già tanti soprannomi... Che li avevamo dato perchè amava il libro -Cuore-.
...
lui era quello che a scuola faceva sempre infuriare i bidelli, i professori, faceva infuriare tutti: era troppo vivace. I bidelli vendevano pacchetti di cracker agli studenti, duecentocinquanta lire il pacchetto, ma non davanti al preside, altrimenti li avrebbe sicuramente redarguiti. Aysea uno di quei giorni incontrò lo sguardo di mia sorella Carla. Molti cercano di dipingere l'amore come qualcosa di difficile da trovare. Molti sostengono che non esista. Io credo che nasca da un momento semplice. L'amore nasce dalla semplicità, non è qualcosa di elaborato. Come un pianoforte e degli archi che s'incontrano, facendo poche note e quelle come sguardi s'incrociano e da li non ne vieni più fuori: abbagliato, assonnato, quasi stanco. Mentre io pagavo il mio pacchetto di cracker al bidello, loro rimasero immobili a guardarsi. Me ne accorsi solo io in mezzo a quell'andito pieno di persone che andavano e venivano. Carla stava in primo liceo, io e Aysea in seconda. Quello stesso giorno, neanche a farlo apposta, la nostra classe e quella di Carla furono portate in sala tv a vedere lo stesso film: -Romeo + Giulietta-, con Leonardo Di Caprio. Il videoregistratore era degli ultimi anni ottanta, per farlo partire il professore doveva sempre fare un casino.
"Che registratore di merda!" sbottò Aysea. Il professore lo rimproverò, tutti ridemmo. Lui era una di quelle persone che sparano i pensieri a voce alta e se ne fottono se sono volgari, come se fra i pensieri e la lingua non vi fosse nulla. Io mi sono sempre immaginato come una rete che divide i pensieri dalle parole. Alcune cose, seppur le pensi, non le puoi dire: è meglio se le tieni per te. Quella rete fa si che alcuni pensieri restino, appunto, solo pensieri. Lui era sprovvisto di quella rete e tutto drenava in quella sua lingua del cazzo, come spesso l'apostrofava lui. "Quel registratore è come una vagina prof., ci metti il pisello e non lo vedi più". Il professor Lixia lo rimproverò nuovamente, ma quella frase era stata così stupida e pronunciata con quella vocina da furbetto, tipica di Aysea, che pure il prof. iniziò a ridere in modo scomposto, come tutta la classe. Lixia constatò che per quanto Aysea continuasse ad essere volgare aveva ragione. Il registratore rovinò la prima parte della videocasetta. "Porca merda puttana" sbottò Lixia. Tutti scoppiammo a ridere ancora più forte.

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