Le storie più interessanti dell'Umbrella Academy non sono quelle sulle missioni. Alcune ci fanno ancora ridere, ma quelle davvero formidabili sono le storie d'amore. Io, Klaus Hargreeves, sto per raccontarvi la più sconvolgente, la più improbabile di tutte.
Era il 2006, avevamo 17 anni. Era ottobre? Sì, era ottobre. Un giorno di ottobre.
L'imponente orologio a dondolo del salone aveva suonato le tre del pomeriggio. Sir Reginald Hargreeves, puntuale come sempre, si alzò dalla sua poltrona per annunciare:
"Dunque, è ora che andiate a studiare. Oggi vi cimenterete nell'apprendimento mnemonico dei canti..." si fermò a sfogliare un volume in lingua originale del paradiso di Dante "...venti, ventuno e ventidue"
"Pochi, tre capitoli da imparare a memoria in mezz'ora" commentò Diego.
"Canti, Numero Due. Si chiamano canti" lo riprese papà "e conviene che nessun tipo di lamentela o sarcasmo giunga alle mie orecchie. Credo che non ci sia bisogno di ripetere le conseguenze che ne comporterebbero. E mezz'ora di tempo è più che sufficiente, un gesto di estrema carità, oserei dire". Perché ridete? Guardate che papà parlava davvero così. Lo imito bene, eh?
Comunque, Diego sbuffò, distogliendo lo sguardo. Sembrava un androide venuto da un altro pianeta in cui nessuno conosce la pietà.
A parte Diego, nessuno se la sentì di protestare. Non era nemmeno così male studiare, in confronto all'allenamento della mattina. Per raggiungere il tavolo da pranzo dovevamo strisciare, tanto eravamo stanchi, e rispettare la regola del silenzio durante i pasti non era poi così difficile. Se avessimo avuto l'energia di parlare, dalla bocca ci sarebbero usciti solo insulti.
Ci diressimo quindi in fila ordinata verso le stanze, sparendo dalla vista di papà, che era rimasto immobile con le braccia lungo i fianchi. Non ricordo di averlo mai visto con le braccia in un'altra posizione. Neanche conserte, o sui fianchi. Sempre lì, sembravano incollate.
Insomma, chiuse le porte, ognuno si sedette alla scrivania, non potendo fare altro. E ragazzi, era in quei momenti che pensavo che qualsiasi cosa sarebbe stata meglio che rimanere confinati a studiare. Era una noia mortale. Sdraiato sul letto, pensavo a che razza di vita facevamo, scandita da una tabella oraria di cose che odiavo fare. Non poteva fregarmi di meno di papà, come a papà non fregava niente di me. E poi, mancava solo un anno al nostro diciottesimo compleanno e avremmo potuto finalmente andare via. Me ne andai quindi a dar fastidio ai miei fratelli.
Passai prima da Ben, che faceva finta di non sentirmi e continuava a studiare. Poi andai da Allison, dove c'era anche Luther.
"Lasciaci in pace! E chiudi la porta, stiamo cercando di studiare!" e me ne andai. Non volevo assistere ai loro momenti romantici, immagino capirete.
Non erano passati neanche dieci minuti che piombai di nuovo da loro. C'era Viktor con me, o meglio, dietro di me, tutto pallido e spaurito.
"Cinque non è in camera sua" gli dissi.
"E quindi? Sarà in bagno" rispose secco Luther che, poveretto, era stato evidentemente interrotto in un momento no.
"Non c'è nessuno in bagno"
"E allora sarà da papà"
"Non c'è nessuno con papà. Non è da nessuna parte"
Qualche istante di silenzio e riflessione dopo, ad Allison venne in mente di dire solamente: "Strano"
"E quindi, che facciamo? Lo diciamo a papà?" disse Viktor con un filo di voce.
"Se non è suonato l'allarme, sarà sicuramente in casa. Tornate a studiare" concluse Luther autoritario. No, non era tanto credibile.
"Ma..."
"Andatevene!"
Insomma, si erano stufati. Avevano da fare loro, mica c'era tempo per preoccuparsi per Cinque.
Ce ne andammo, ma Viktor non la finiva di blaterare cose tipo "E se è stato rapito? Se è scappato? Se ha viaggiato nel tempo? Se è morto? Se..."
"Se lo hanno rapito, buona fortuna a loro" commentai io, giustamente.Prima di cena, c'era l'interrogazione. Quella sera io non la superai, insieme a Diego e Viktor.
"Sono molto deluso da te, numero Sette. Inutile come sei, perlomeno potevo definirti uno studente costante e diligente. A quanto pare, non posso più ritenerti tale, dopo questa catastrofica interrogazione" l'aveva sgridato papà, perché aveva dimenticato gli ultimi dieci versi del canto ventidue. Potete crederci? Io non ne sapevo neanche uno.
Non era riuscito a studiare, con tutti quei pensieri spaventosi su cosa potesse essere successo al nostro povero fratellino. Quello aveva già provato a scappare, testone com'era, per dimostrare a papà che avrebbe potuto viaggiare nel tempo senza morire. E se l'avesse fatto di nascosto? E se fosse sparito per sempre? Proprio niente da ridere.
Alla fine lo stronzetto si era presentato come tutti all'interrogazione e aveva fatto la sua solita figura. Sembrava che quella roba ce l'avesse incisa nei neuroni. Viktor trasse un sospiro di sollievo molto rumoroso quando lo vide in fila davanti a lei e a Ben.
Dunque lo osservai per tutta la cena. Sembrava normale, non una traccia di colpevolezza sulla sua faccia. Mangiava composto, senza sporcarsi, usando le posate impeccabilmente, come papà ci aveva insegnato a due anni. Sembrava tutto come al solito, niente di strano, fino a quando Cinque non incrociò i suoi occhi con i miei per uno solo istante. In quel momento, capì che c'era qualcosa di diverso. Stava forse... sognando ad occhi aperti? Davvero era un luccichio, uno sprazzo di luce, quello che aveva negli occhi? Cinque, dal cuore più freddo dell'antartide, sembrava... felice. Felice? Cinque felice?
No, non sto esagerando. Uno scintillio così nei suoi apatici occhi verdi? Non l'avevo mai visto così.
Decisi che nella quasi mezz'ora d'aria avrei investigato. Ah, forse dovrei spiegarvi. La quasi mezz'ora d'aria andava dalle 20:30 alle 20:56 e in quel tempo ci era concesso fare quello che volevamo. Quando gli raccontai della cena, Viktor decise di sacrificare la sua quasi mezz'ora per scoprire con me cosa aveva portato la luce negli occhi di suo fratello.
Lo trovammo sulla terrazza, appoggiato al cornicione a fissare qualcosa in mezzo ai palazzi. Forse... la luna. Dai, la luna?
"Che fai?" gli chiese a bassa voce Viktor, col timore di disturbarlo.
"Le stelle si vedono bene stasera" rispose lui assente.
Non aveva il telescopio, o il suo quaderno. Era vero che era appassionato di astronomia, ma non l'aveva mai visto guardare il cielo senza prendere appunti. Stava solo osservando. Perché?
Attesi un po' prima di chiedere: "Ti senti bene?"
"Perché me lo chiedi?"
"Dov'eri oggi?"
"Oggi quando?"
"Durante l'ora studio. Non eri in camera tua"
Cinque sgranò gli occhi, ma cercò di mantenere un contegno. "Ero venuto qui a studiare"
"Non eri qui. Io e Klaus ti abbiamo cercato ovunque"
"Tu e Klaus?" disse sorpreso.
"Sei scappato? Non hai provato a viaggiare nel tempo, vero?" intervenne Viktor.
"No"
"E dov'eri allora?"
Cinque rimase in silenzio.
"Non ti è successo niente, vero?"
"No Viktor, tranquillo" gli rivolse un piccolo sorriso, così piccolo da vedersi a malapena, e tornò a guardare in alto.
Non aveva voglia di parlare, si era capito. Anche guardando il cielo, però, aveva quella luce strana negli occhi.
"Non preoccuparti di quello che ha detto papà. Recupererai" gli disse prima che si allontanasse.
Era stato gentile con Viktor. Ora che ci penso, forse davvero lo avevano rapito e sostituito con un clone fatto male.
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Le 7 fasi secondo Klaus | cinque hargreeves
Fanfiction2006. I diciassettenni membri dell'Umbrella Academy scoprono che Cinque fugge di casa tutti i giorni per andare chissà dove. Fra varie ipotesi, nessuno immaginava che Cinque andasse tutti i giorni in una caffetteria per una ragazza di cui non sapeva...