Klaus torna narratore
Sono certo di esservi mancato. La coscienza di Cinque deve essere veramente pesante, ma per fortuna avete me.
Quindi, tornando a noi, il giorno dopo eravamo tutti riuniti nella stanza di Luther. Tutti eccetto Cinque, ovviamente, che se n'era andato al bar.
"In effetti, Cinque è strano ultimamente" commentò Diego, seduto a terra ad affilare due coltelli "ma avete indetto una riunione solo per questo?"
"Guarda che è una cosa seria" lo sgridò Luther "se Cinque non sta bene, dobbiamo aiutarlo"
"Non è che non sta bene..." intervenne Viktor.
"Ma se oggi stava per farsi uccidere? Non l'avevo mai visto così. E poi hai detto che non vuole parlare e che l'hai visto piangere. Secondo te sta bene?"
"Non ha pianto, aveva solo gli occhi lucidi"
"Idiota," gli diedi una pacca sulla spalla "Cinque è affetto da sindrome di cuore dolorante acuta"
"Ha problemi al cuore?"
"Problemi di cuore" sorrisi "Cinque è innamorato perso"
"Ah" alzò le sopracciglia "Aspetta, di chi? Ma stiamo davvero parlando di Cinque?"
"Cinque è cosa?" Allison spalancò la bocca.
"Ha una cotta per una ragazza con cui neanche parla"
"Ma sei sicuro? Cioè, da quando prova delle emozioni?"
"Dai poverino, è umano anche lui"
"Sì, ma..."
"Ragazzi" interruppe Allison, con un sorrisone che andava da un orecchio all'altro "dobbiamo aiutarlo"
"Brava Allison, sono d'accordo con te. Dobbiamo fargliela passare così che possa rimanere concentrato durante le missioni. Non possiamo rischiare di fallire e deludere papà e..."
"No, idiota. Dobbiamo fare felice il nostro povero fratellino tormentato. Sta soffrendo, più di quanto soffrirebbe a deludere il vecchio" commentai intelligentemente io.
"Non spiegarglielo neanche. A lui tormenta solo l'idea che papà possa strappargli via il distintivo di numero uno" fece notare Diego. Lo so, era un po' monotematico.
"Ma Klaus, innamorarsi non è un tormento" intervenne Allison.
"Dipende da come la prendi. Non penso che Cinque l'abbia presa tanto bene. O almeno, non bene come te e Luther"
I due fidanzatini rimasero immobili, come se così sarebbero riusciti a mimetizzarsi con la carta da parati e sparire, senza far vedere quanto fossero diventati rossi. Una protesta morì in gola a Luther, interrotto dal mio entusiasmo: "Forza, servono idee!"
"Penso che sia necessario che si apra con noi" disse Viktor.
"Forse dovremmo lasciarlo stare" mormorò Ben.
"Mmh, non è uno che si lascia aiutare" riflettei con una mano sul mento, fino all'illuminazione: "Allison, ci servi te"
Narra la Coscienza di CinqueCome aveva fatto a non notare che quei due idioti dei suoi fratelli l'avevano seguito? Stupido, stupido, stupido e ancora stupido, era uno stupido incapace senza un minimo di senno. E il fatto che l'avessero vista? Tremendo, intollerabile, insostenibile, terribile e un'altra ventina di aggettivi poteva descrivere la gravità della cosa. Non era nemmeno peggio del fatto che l'avessero visto correre come uno stupido fino ad un coffee shop. No, era esageratamente insopportabile. L'avevano vista? E ancora peggio del peggio, avevano capito che era andato lì solo per lei. Come cazzo avevano fatto? Ora pensavano che lei gli piacesse. Era una tragedia.
Era messo talmente male che non si era accorto che lo stavano pedinando. Diciassette anni di addestramento, e non si accorgeva di due idioti che lo seguono. Questo lo pensò e ripensò, anche il giorno dopo, mentre camminava a passo spedito verso la caffetteria. Continuava a voltarsi per stanare eventuali pedinatori di continuo, ma c'era comunque abbastanza spazio nel cervello per pensieri intrusivi di ogni sorta, tra cui quello di sentirsi un coglione.
Sentiva però quella solita adrenalina, una scintilla direi, che si presentava più potente man mano che lo spazio fra lui e la 47a strada diminuiva. Era diventata un'abitudine ormai, anche se io la considererei più una dipendenza. Ma si sa, le cotte danno gli stessi effetti della cocaina, o qualcosa del genere. Era per quello che riusciva più a passare un giorno senza vederla? Klaus si sentiva così quando prendeva quella roba?
Nessuno lo stava seguendo, ne era abbastanza sicuro stavolta. Almeno oggi avevano deciso di lasciarlo in pace.
Poi, un problema enorme. Il suo tavolo era vuoto. Lei non c'era.
Strano. Veniva sempre alla stessa ora, tutti i giorni tranne la domenica, che, detto tra noi, era il suo giorno sfavorito in assoluto. Comunque, stava già per fare dietro-front, quando la vide seduta ad un altro tavolo. Il suo tavolo. Quello dove si sedeva lui, tutti i giorni da due mesi. Per un attimo pensò di arrabbiarsi, perché quello era il suo posto. Come osava mettersi lì come se niente fosse? In un momento poco prossimo a quello, si rese conto che la coincidenza l'aveva appena trasformato in un sasso. Immobile e apparentemente impassibile. Dentro, tuttavia, stava per esplodere. Non si aspettava che lei avrebbe cambiato tavolo così, di punto in bianco, dopo mesi di abitudini fisse.
Non appena riuscì a sciogliersi dal blocco di ghiaccio in cui era incastrato, si girò verso il tavolo di lei e vi si sedette. Così avrebbe capito come ci si sente quando ti rubano il posto. (Che razza di idiota, lasciatemelo dire)
Si affrettò a ficcare il naso nel Simposio di Platone, in greco antico e ovviamente in versione tascabile. Pensate, suo padre glielo aveva assegnato descrivendolo come "uno dei testi più semplici mai concepiti dell'uomo", ma avrebbero dovuto leggerlo solo per capire da cosa stare lontani, ovvero dagli stolti che perdono tempo a conversare su temi tanto futili.
Effettivamente Platone aveva dato dell'idiota a tutti tranne che a Socrate, quindi suo padre non doveva avere troppo torto. Il discorso di Socrate era comunque strano, diceva...
"Questo è il mio posto"
Quella voce.
Cinque alzò lo sguardo e lo incrociò con quello di lei. Era in piedi davanti a lui come se stando là, senza sapere che avrebbe potuto causare un preoccupante aumento della pressione sanguigna, infarto, o morte immediata. Ma veramente si sentiva così? Quanto doveva essere andato?
I suoi occhi si erano piantati nei suoi e lui era così rintontito che non riusciva a distinguerne il colore. E neanche a risponderle.
"Allora? Che ci fai al mio tavolo?" ripeté lei. Stava forse sorridendo? Sì, sorrideva. Perché sorrideva?
"Non c'è scritto il tuo nome sul tavolo"
"Ma io mi siedo sempre qui. E tu là" indicò il suo solito tavolo.
"Ti segni tutti i posti in cui la gente si siede di solito?" si stava davvero sforzando di restare serio, o addirittura sembrare irritato.
"E tu, stai sempre a fissare la gente?"
"Quindi anche tu fissi la gente, o non sapresti che fisso la gente"
"Vabbé dai, ho capito" si accomodò di fronte a lui, appoggiando il suo zaino accanto alla sedia. "se ti fisso, so anche che sei sempre a leggere. Cosa leggi oggi?"
Cinque la osservò per qualche secondo. "Ma che vuoi da me?"
"Solo sapere cosa leggi" rispose lei, per niente scalfita dall'ostilità.
Lui le mostrò la copertina, restando zitto.
"Il Simposio. Sei un filosofo, quindi?"
"Mi rende un filosofo pensare che sembri concepito da un bambino di sette anni?"
"Un filosofo criticone, sì. Io non penso che sia così stupido"
"L'hai letto?"
Lei annuì. "Partendo dal presupposto che Platone non mi fa impazzire, mi è anche piaciuto. Il mito delle due metà di Aristofane era carina"
"Quella in cui si spiega che gli esseri umani rotolavano troppo veloci e quel gelosone di Zeus li divise in due per fargli torto, ma poi gli ha concesso di potersi riunire con la propria metà attraverso il sesso?"
"Detta così però..."
"Il concetto è quello"
"Sì, ma spiegherebbe come mai alcune persone si completano l'uno con l'altra. Tu non ci credi alle anime gemelle?"
Era finita. Sarebbe morto nel giro di trenta secondi se avesse continuato a fare domande così.
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Le 7 fasi secondo Klaus | cinque hargreeves
Fanfiction2006. I diciassettenni membri dell'Umbrella Academy scoprono che Cinque fugge di casa tutti i giorni per andare chissà dove. Fra varie ipotesi, nessuno immaginava che Cinque andasse tutti i giorni in una caffetteria per una ragazza di cui non sapeva...