La Guerra, Capitolo diciannove. Per il ragazzo di Doncaster.

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A qualche chilometro di distanza, nella fumosa e gelata Londra, Regulus si chiudeva anch'esso in bagno, mentre l'acqua iniziava a riempire la vasca.
Si tolse la camicia, gettandola lontano sul pavimento in marmo, e abbassò lo sguardo sul proprio corpo: una fitta costellazione di cicatrici, quali più grandi, quali più piccole, attorno ai suoi fianchi, sul suo petto, nascoste tra le costole.
Le sfiorò con la punta delle dita, le mani pallide che tremavano.
Si soffermò poi su quella che aveva sul braccio, gonfia di inchiostro; si muoveva piano sulla superficie della sua pelle, come fosse viva: pulsava di morte, di orrore.
Regulus si disgustava.
Il suo occhio venne attirato dalla lama che usava per radersi, che sembrava quasi brillare di luce propria, sopra il lavabo.
Un oggetto tanto comune quanto affascinante.
Regulus sapeva che sarebbe bastato allungare la mano, un taglio deciso, per togliersi dalla pelle il ricordo costante delle vite che aveva preso, maledetto, distrutto.
E di quelle che aveva perso.
Forse era semplicemente la sua punizione per non aver seguito Sirius, anni prima. Per aver invece seguito il sentiero che la madre aveva con tanta cura segnato per lui anziché avere il coraggio di gettarsi a capofitto nella foresta come aveva fatto il fratello.
Più pensava ad Evan e più il senso di colpa che portava nel petto sembrava farsi più pesante. Invadeva il suo petto, lo affondava e immaginava ci fosse solo un modo per alleggerire il carino, per trovare un po' di pace.
E se fosse stato coraggioso lo avrebbe già fatto, lo sapeva.
Il Marchio sembrò sorridergli, beffardo. Se fosse stato meno codardo, meno spaventato, meno piccolo, stupido, atterrito...
"Signorino Regulus?" La voce stridula di Kreacher arrivò dall'altra parte della porta, attuita dal legno che li separava. "Il Signorino Barty Crouch è qui, ha mandato Kreacher a chiamare Padron Regulus."
"Fallo aspettare nella mia camera. Venti minuti e arrivo, grazie Kreacher."
Si immaginò l'elfo prostrarsi sul pavimento, prima di Materializzarsi da Barty.
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Il funerale di Evan Rosier si tenne il pomeriggio seguente, a casa dei suoi genitori, in una Glasgow grigia e piovosa: una cerimonia organizzata in tutta fretta, con il corpo recuperato in segreto dal vicolo in cui si era consumato l'attacco, cercando di non attirare l'attenzione del Ministero.
Abitava in periferia, in una villa circondata da campi: il giardino sul retro, costellato di erbacce e fiori spontanei, sembrava esser stato trasformato in un piccolo campo da Quidditch, e accanto al capanno degli attrezzi stava a prendere l'acqua una vecchia scopa con il manico consumato. Probabilmente Evan l'ultima volta che l'aveva usata si era scordato di metterla nuovamente a posto.
Magari era uscito di fretta, pensando di tornare quella sera stessa.
Regulus si ricordava come ad Hogwarts era solito scendere prima di colazione giù al campo per fare un giro di campo con la scopa, forse aveva mantenuto la stessa abitudine anche a casa.
La bara era chiusa, circondata da qualche mazzo di fiori di campo. Una piccola foto poggiata su essa con Evan che sorrideva alla fotocamera e al fianco una sciarpa dei Puddlemore United.
Poche persone, Barty, Regulus e una manciata di parenti stretti: nessuno voleva andare ai funerali dei Mangiamorte.
La madre venne ad abbracciarli, con il volto gonfio di lacrime e il rossetto indossato in malo modo, spreciso sulle sue labbra piene di rughe. Dall'ultima volta che Regulus l'aveva vista, a casa sua, sembrava invecchiata di una decina d'anni. "Grazie per essere venuti." Barty si lasciò andare ad un singhiozzo, affondando il volto nei capelli della donna, che lo cullò come se fosse stato suo figlio.
"Vi amava, vi amava così tanto."
"Noi amavamo lui." La voce di Barty era uscita con un soffio, insieme ad un altro singhiozzo.
"Lo so tesoro mio."
C'era qualcosa di così intimo, nel loro abbraccio, che fece sentire Regulus un estraneo. La mano che aveva sollevato precedentemente, per posarla sulla spalla di Barty, ricadde al suo fianco, immobile.
Il cumolo di ghiaccio posato nel suo petto si fece un po' più pesante.
Il padre di Evan, invece, era una maschera di dolore.
Regulus si vergognò quasi, di essere ancora vivo. Avrebbe dovuto esserci lui, al suo posto, perché se fosse toccato a lui venir ucciso suo padre non avrebbe mai sofferto così tanto, ne era sicuro.
Il corpo venne sepolto poco lontano da casa, sotto un grosso castagno.
Di nuovo, nessuno voleva saperne dei Mangiamorte. Il custode dell'unico cimitero magico della Scozia, che si trovava a qualche chilometro da Glasgow, non aveva permesso la sepoltura all'interno dei confini di esso. Non c'era pietà per loro, nemmeno se il Mangiamorte era a malapena maggiorenne, nemmeno se il suo sogno era stato quello di giocare a Quidditch in modo professionistico, e non certamente di combattere.
Dopo la funzione, la mamma di Evan li invitò entrambi in casa, aprendo loro le porte della camera del figlio: "Prendete pure qualcosa, se volete, a lui non servirà più sicuramente..." Aveva quasi bisbigliato, come se avesse potuto disturbare quel poco che rimaneva di Evan se avesse parlato un poco più ad alta voce. Regulus si guardò intorno, entrando con circospezione: il letto era ancora sfatto, come se si fosse alzato quella mattina stessa, con il pigiama gettato in un angolo della camera, le scarpe da ginnastica che spuntavano da sotto la cassettiera.
"A Evan piaceva la musica babbana, buffo vero? Un controsenso che i suoi gli facessero tenere questa roba." Disse Barty, sfiorando con la punta delle dita un mobile alto contenente un sacco di vinili, simili a quelli magici.
"Che tipo di musica è?"
Regulus non aveva mai avuto quella conversazione con lui. Adesso che se n'era andato sembrava non avessero parlato quasi di nulla. Che musica ascoltava? Qual era stata la sua materia preferita? Le domande più banali e scontate che si era scordato di chiedere.
E di cui non avrebbe mai più potuto ascoltare la risposta.
"Oh, qui abbiamo Mina, Gino Paoli, uhm, Romina Power..." Barty continua a snocciolare nomi di babbani che non significavano assolutamente nulla per Regulus.
Ma lo conformatava sentirlo parlare.
Si sedette sul letto, e il profumo di Evan lo colpì come un pugno allo stomaco. Lo seguì anche Barty, lasciando cadere la testa sulla spalla di Regulus.
Timide, in attesa di lasciarsi andare al minimo rumore, le loro mani si intrecciarono, trovando forza l'una nell'altra.
"Se ne è andato davvero, Reg."
Se ne era andato davvero.

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