PROLOGO

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"Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Oriente e il mio Occidente,

La mia settimana di lavoro e la mia domenica a far niente,

Il mio mezzogiorno, la mia mezzanotte, il mio discorso, il mio canto,

Credevo che l'amore fosse eterno: mi sbagliavo tanto."

W.H. Auden

La luce che filtrava dalle persiane mi costrinse ad aprire gli occhi, anche se una parte di me sapeva perfettamente che, facendolo, avrei perso per sempre qualcosa. Avrei perso tutto.

Ogni muscolo era pronto a flettersi per trovare l'altra parte del letto vuota ma, ogni volta che mi muovevo, potevo ancora sentire il suo profumo. Lei non se n'era ancora andata. Era ancora nel mio letto. Sotto, sopra, addosso a me. Era ancora dappertutto.

Allungai una mano, perfettamente consapevole che non avrei trovato niente. Nessun corpo caldo, nessun bacio ad aspettarmi, nessuna carezza a sfiorarmi il petto.

Recuperai fiato e nel tragitto silenzioso che le dita fecero tra le lenzuola, sfiorai qualcosa e il cuore cominciò a fare subito un rumore assordante. Sentivo quello stronzo fare un casino enorme nella cassa toracica, ancora un po' e lo avrebbero sentito anche fino a Timbuctu.

Voltai la faccia in quella direzione e la realtà mi perforò i polmoni un istante di troppo, perché non si è mai preparati a perdere qualcuno. Ripeto, mai.

Il mio cazzo di letto era vuoto. Io mi sentivo allo stesso identico modo. Lei se n'era andata davvero, ora dovevo farci i conti.

Mi aggrappai a quel pezzo di carta sul cuscino come se fosse ossigeno puro, come si fa con le cose a cui tieni di più. Tentennai, temporeggiai a lungo, poi alla fine mi costrinsi a leggere quelle parole che, in un modo o nell'altro, sapevo che avrebbero scavato dei solchi dentro di me.

Profondissimi.

Indelebili.

Incolmabili.

La mia stella polare si era decisamente mossa perché, contrariamente a quello che banalmente pensiamo, le stelle si muovono eccome e tra un millennio cambierà anche il nome di quella stessa stella, sostituita da un'altra e un'altra ancora. E così via all'infinito.

Me l'aveva insegnato Lei, per questo odiava che io la chiamassi così. Non voleva essere immobile e decisamente non aveva quel millennio a disposizione. Non aveva tempo, era questo il suo problema. Perciò, fin da quella prima volta lei per me era diventata la mia stella incostante, sempre pronta a spostarsi, a mutare, a cambiare direzione. Io invece, per tutta la vita, mi ero sentito esattamente il contrario. Dannatamente immobile. Era chiaro fin dall'inizio che non saremmo potuti durare insieme. Un po' tragico, lo so. Eppure, anche così epicamente poetico, per quel poco che era durato. Perché quel poco ci aveva insegnato a vivere tutto, fino in fondo, fino all'ultimo stupido battito di cuore.

Niente avrebbe potuto cambiare questa cosa, lo avevo accettato, ormai. Nemmeno quello che mi aveva lasciato scritto; non mi illudevo, perché semplicemente noi due non eravamo destinati a rimanere nello stesso posto. O almeno era quello che credevo.

Poi lei mi aveva scritto quelle parole e io avevo ricominciato pericolosamente a sperare. Perché quando ami qualcuno come io amavo lei, la speranza era la tua peggior nemica. Perciò sì, da qualche parte dentro il mio petto, c'era ancora speranza. Anche se non avevo la minima idea se questo, alla fine, mi avrebbe distrutto.

"Se mai un giornodovessi sentirmi persa e avessi bisogno di un posto in cui mettere dellebellissime radici... sappi che quel posto per me saresti sempre tu. Perché tu,West, tu sei il mio Nord."


** Oddio, il PROLOGO! *_* Fatemi assolutamente sapere cosa ne pensate! ;)**

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