Posate

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La mattina in spiaggia persi tutte le partite di ping-pong.
Eppure ero forte, ma Vincenzo di più.

《Hai fatto alcune schiacciate mica male》, mi disse.
《Si ma tu le hai parate tutte! Inoltre hai fatto alcuni punti in modo disonesto...》
《Coosa?》
《Sì. Due volte hai fatto rimbalzare la pallina sul bordo del tavolo, al limite. Erano impossibili da salvare》
《Ahahah! Ma senti questa! Ti ho fatto rifare 'per la palla' ben 3 volte perché rimbalzava fuori!》
《Ma in quel caso c'era vento》
《Certo, il vento di Roma. Clarinetta ricordati che il campione non si batte》
Lo guardai con aria di sfida:《Hai vinto la battaglia ma non la guerra》.
C'è ancora tempo per stracciarlo.

《Apparecchiate la tavola》, urlò Lara dalla cucina, che consisteva in un piano cottura con il lavandino nella zona centrale del bungalow.
《Che mangiamo?》chiesi.
《Riso》, rispose mia mamma ai fornelli, 《ma è finita la birra》.
《Oggi niente birra per la mamma》disse Lara con l'espressione furba di chi  si aspetta una reazione. Non tardò ad arrivare.
《Lara non mi farai rinunciare al mio bicchiere di birra e gassosa. Anzi, qualcuno mi fa il favore di prendere la Poretti 5 luppoli al minimarket?》
《Mami, ci vado io! Ma non ho soldi, da quando studio a Roma sono povera.》
《Grazie Clara. Me lo aspettavo fossi povera》, disse mamma.
Aprii le mani con un'espressione da "che ce posso fà".
《Se li spendi tutti per uscire la sera》. Vì mi guardò con aria di disapprovazione, il suo solito tentativo di fare il bimbo dispettoso gli era uscito meglio del solito.
《Meglio che spenderli per comprare infinite scarpe, come fai tu Vì》
《Le scarpe restano nel tempo, l'alcool no Clari》
《Dai raga... basta, vado io. Vincenzo vieni con me, Cla tu apparecchia la tavola》, concluse mia sorella e condusse il ragazzo con sé fuori dalla casetta.
Vincenzo stava con mia sorella da ormai dieci anni e mi aveva visto in tutte le fasi della mia vita.
Aveva tutte le caratteristiche di un fratello: protettivo, rompi scatole e dispettoso.
Però con lui mi divertivo da morire.

《Vì, devi comprà la Poretti, non le Puma》gli urlai facendo una corsa verso l'esterno, affinché la mia voce li raggiungesse.
《Sei proprio diventata 'na romanaccia》rispose, lo sentii in lontananza e feci, invano, lo sforzo di ribattere 《Che ce posso fà》, marcando la cadenza romana.
La mia voce non fu sufficientemente alta da raggiungerli, ma richiamò l'attenzione della casetta 5356.
L'imbarazzo di essere osservata dai quattro ragazzi mi sopraffece e rientrai rapidamente.
Andai a una finestra e li osservai seduti al tavolo, mentre riprendevano l'attività del gioco da tavolo a cui si stavano dedicando.

Lui era seduto dal lato del tavolo lontano dalla strada, rivolto verso di me. Al suo fianco c'era un ragazzo moro che agitava un dado dentro un bicchiere, gli altri due amici erano seduti di spalle. Il rumore secco dei dadi contro la plastica era molto forte. Lo riuscivo a sentire attraverso il vetro della finestra, le loro voci invece non mi giungevano.
Scostai maggiormente la tenda per avere una prospettiva migliore sui loro visi, e compresi che non stavano proprio parlando.

Il ragazzo accanto a lui si massaggiava il pizzetto nero e teneva gli occhi fissi sul tavolo da gioco.
Lui aveva le mani conserte al petto, i gomiti appoggiati sul tavolo e le solite gote arrossate. I suoi occhi sorvolavano le teste degli amici e osservavano qualcosa oltre. Compresi che la direzione verso cui rivolgeva lo sguardo era la mia veranda, ma cosa guardava?
Mi avvicinai al vetro ancora di un poco.
《Clara la tavola!》, sobbalzai.
《Arrivo》
《Dai! I ragazzi staranno già tornando con la birra, e il riso è pronto. Apparecchia.》
《Fuori?》
《Sì, c'è più fresco》
Ok, si mangia fuori.
E' un'idea piacevole, se non fosse per il tamburellare che il mio cuore ha iniziato a fare.
Prepariamoci a entrare nel suo campo visivo, a entrare in scena.
Presi forchette, coltelli e piatti. Aggiustai due ciuffi che scendevano sulla fronte. La chioma bionda era ribelle, non restava al suo posto, ma con un dito mi curai di acconciare i due boccoli davanti.
Presi un sospiro e uscì sulla veranda.
Mi sentivo su un palcoscenico.
I ragazzi probabilmente non mi stavano nemmeno guardando, concentrati nel loro gioco, ma la sensazione era quella di essere osservata. E questo mi eccitava.
Appoggiai il servito al centro del tavolo, e iniziai a distribuirlo nelle quattro postazioni.
Tenevo gli occhi bassi, e mi muovevo con una misteriosa calma.
Ero agitata, il cuore mi batteva nel petto, e per non permettere ai miei nervi di prendere il sopravvento agivo con la massima lentezza. Pensai che finché avessi fatto attenzione a ogni gesto non mi sarebbe caduto nulla a terra, evitando figuracce.
Ogni mossa era misurata, come se mi stessi esibendo al Bolshoi nel Lago dei Cigni.

Posizionai il primo piatto, poi passai al secondo. Gli occhi scorrevano tra le posate. Presi una forchetta e la misi delicatamente alla sinistra del piatto. Un'azione che facevo da almeno quindici anni di vita, ma che ora rivelava tutta la sua sensualità. Approfittai della sicurezza che mi trasmettevano i miei movimenti e lo feci. Alzai lo sguardo. Con mia sorpresa scoprì i suoi occhi su di me. Abbassai lo sguardo. Avevo visto male?

Rifeci l'azione con il coltello. Lo avvicinai al piatto e alzai lo sguardo. I suoi occhi su di me. Guardai velocemente verso il basso. Se era vero quello che vedevo, allora le mie sensazioni non erano immaginarie. Mi stava scrutando.

Mi spostai con una tranquillità verso il fondo del tavolo, per apparecchiare gli ultimi posti. Il cambiamento di posizione mi diede più coraggio di guardarlo.
Al terzo piatto i nostri occhi si incrociarono nuovamente e al quarto bramavo il suo sguardo su di me.

Il suo viso era contornato dal rossore delle gote, le sue labbra compivano un arco perfetto e le pupille brillavano tra alcuni ciuffi biondi. Notai le fossette attorno alle palpebre, i suoi occhi mi sorridevano. Aveva l'espressione gentile, la più incantevole che avessi mai visto. Non era un ragazzo di particolare bellezza, ma il suo sguardo ero disperatamente, inevitabilmente atrraente.

Abbassai gli occhi, mi era sembrato di aver fatto l'amore. Lo guardai ancora una volta, con un colpo del capo scostò un ciuffo ribelle dal suo viso. Osservai il suo petto respirare. Aggiustai le ultime cose sulla tavola, lo vedevo studiarmi con lo sguardo. Mi sentivo sensuale nei movimenti, nel modo di ondeggiare, di toccare i piatti e raddrizzare le posate. Il mio pensiero si domandò quale parte del mio corpo stava osservando. Ebbi l'impressione di estraniarmi da me e guardarmi da fuori. Mi vidi bella, i confini del mio corpo rigidi, la pelle morbida. Mi specchiai nei suoi occhi come non avevo mai fatto con nessuno.

 Mi specchiai nei suoi occhi come non avevo mai fatto con nessuno

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