CAPITOLO 9: LA FESTA DI NATALE: PARTE 2

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Dopo averci messo quasi un'eternità ad addormentarmi, venni svegliato alla 7 di mattina da Alessandro.
- Hey, grandissimo genio del male, di vuoi svegliare? È quasi mezz'ora che ti sto a chiamà- urlò quel rincoglionito mentale, senza svegliare Angelo.
- Si può sapere che cazzo vuoi alle 7 e 20 di mattina?- gli urlai, con il risultato di farlo svegliare io, il ragazzo ci lanciò un cuscino mandandoci a fanculo.
- Te ne sei già dimenticato intelligente, oggi dovevi aiutarmi a preparare la partita di basket- e alzò gli occhi al cielo.
Lo guardai con aria interrogativa.. quand'è che gli avevo promesso una cosa del genere?
-Allora, ti vuoi muovere o no?- e mi levò le coperte.
- Ve ne andata a fanculo da questa stanza che vorrei dormire?!- disse nervoso Angelo.
Detto sinceramente non mi andava proprio di stare tutta la giornata dietro a quel criceto in coma etilico. Dopo che mi fui cambiato e sistemato, andai da Alessandro, il quale mi stava aspettando nell'ingresso. Da lì ci dirigemmo nella palestra del college, dove ci stava attendendo l'intera squadra di basket. Alessandro mi spiegò molto semplicemente quale sarebbe stato il mio compito: fare da raccatta palle e portare le borraccie a destra e a manca. Iniziai ad odiare la festa di Natale. Mentre quelle teste vuote correvano per il campo, io diedi una gonfiatina a tutti i palloni da basket della scuola. Fu allora che la vidi, la ragazza più stupenda del mondo. Qualche centimetro più bassa di me, capelli neri lunghi fin sotto le spalle, occhi molto più azzurri del cielo, labbra piccole e la pelle pallida. Indossava una canotta a righe nere e bianche con sopra un felpone nero con cappuccio. Sotto aveva un paio di jeans neri e delle All Stars tutte sgangherate e piene si scritte. Il tutto era accompaganto da un paio di bracciali in cuoio, alcuni borchiati, da una serie di anelli e collane. Era semplicemente la ragazza più meravigliosa che avessi mai visto. Sapete quando si parla di amore a prima vista? Ecco, quello accadde a me, con la sola differenza che invece di essere colpito da un "fulmine" (per così dire) venni colpito da una palla in pieno viso. Caddi a terra, con del sangue che colava dal naso. Avevo la vista leggermente appannata, ma quando riuscì a mettere a fuoco, non vidi più la ragazza di prima, ma solo i giocatori che ridevano e Alessandro che mi porgeva la mano per rialzarmi.
-Grazie, ma non ne ho bisogno, sto bene.- e allontanai la sua mano, rialzandomi e dirigendomi nel bagno per sciacquarmi il viso.
Alessandro mi seguì.
-Senti mi dispiace, non volevo tirarti la palla sul naso...-
- Ho detto che sto bene, non ho bisogno delle tue scuse.- gli risposi con tono freddo.
A tal risposta, si girò e se ne andò, mandandomi a quel paese. Entrai nel bagno e andai verso uno dei sei lavandini per bloccare la fuoriuscita di sangue dal naso, che aveva sporcato la mia maglietta. Guardai l'orario sul cellulare.. Erano le 10:49. Fra dieci minuti mi sarei dovuto vedere con Martina per dare una mano ad Anna con le scenografie del musical. Uscì dal bagno e mi incamminai verso il corridoio che conduceva al pian terreno della scuola. Camminando, provai un sensazione molto inquietante, quella di essere seguito da qualcuno, ma quando mi girai notai che non c'era nessuno, eppure ero sicurissimo che qualcuno o qualcosa mi stesse seguento. Accellerai il passo. Mi voltai di nuovo, ma nulla. Inizia a correre. Trovai un'aula, aprì la porta e mi rifuggiai dentro. Guardando dal vetro della porta, vidi che una figura nera passò davanti all'aula. Allora era vero, qualcuno mi stava spiando e mi stava seguendo. 10:56. Dovevo muovermi. Feci un'unica tirata a passo veloce verso il teatro, e non mi fermai fin quando non lo ebbi raggiunto. Fortunatamente non ero da solo.. C'era Anna e una dozzina di ragazzi, ma di Martina nemmeno l'ombra. Tutti erano già all'opera nella realizzazione dello spettacolo. Chi si occupava di dipingere la scenografia, chi si stava occupando dei costumi, chi si occupava delle luci, del sipario e dell'impianto stereofonico, chi stava provando le battute ed Anna dirigeva il tutto. In quel preciso istante arrivò Martina. Mi lanciò un'occhiata del tipo "dopo io e te dobbiamo parlare", prima di essere chiamati da Anna.
- Eccovi arrivati ragazzi! - ci disse accogliendoci con un sorriso luminoso a trentaquattro denti - venite così adesso vi illustro cosa fare... -
-Dimmi che non devo portare dell'acqua a destra e sinistra e faccio tutto - dissi ironicamente
Lei rise -certo che no. Non siamo mica in un campo sportivo! No. Questo è il teatro; qui è il tempio delle idee e dei personaggi, delle traggedie e dei divertimenti, delle sofferenze delle gioie, dell'amore e del dolore!- disse con aria lunatica.
- Sicuro.. -disse Martina alzando un sopraciglio - .. quindi cosa dobbiamo fare?-
- Darete una mano ai ragazzi della scenografia e a i ragazzi dei costumi- rispose serenamente Anna.
Senza troppe discussioni, iniziammo i nostri incarichi.
☆ ☆ ☆
- Okay ragazzi - disse Anna - per oggi basta così, continueremo il lavoro domani e dopodomani ci saranno le prove generali. Continuate a provare le vostre parti a casa. Complimenti a tutti- e iniziò ad applaudire.
Partì un applauso colletivo. Che poi che c'era da applaudire? Guardai l'orario sul cellulare.. le 19:22.
A un tratto, intravidi tra le tendine della fistra una sagoma scura che mi osservava. Guardai fuori e trovai la ragazza di stamattina che mi fissava. I suoi occhi azzurri brillavano sotto la luna argentea.
- Antonio - mi chiamò Martina mettendomi una mano sulla spalla - i Sibuna ci stanno aspettando fuori dalla scuola.-
Riguardai fuori ma non la vidi più, era sparita.
-Arrivo subito- le risposi.
Una volta spente le luci del palco scenico, salutammo il preside Sweet nel suo ufficio, il quale era impegnato a riordinare non so quali scartoffie. Davanti all'ingresso della scuola c'erano i Sibuna ad aspettarci. Dovevamo parlare di quello che era accaduto la scorsa notte, ma adesso non era né l'ora adatta né il luogo adatto.
- Dobbiamo riunirci in soffitta - disse Marika.
-Siamo sicuri che Victor non ci scopra? - chiese Valeria un po' preoccupata.
- No, ma fin'ora è l'unico posto "sicuro" dove possiamo riunirci - le rispose Marika.
- Va bene a tutti a mezzanotte in soffitta?- domandai e tutti mi risposero con un cenno della testa.
Perfetto la riunione Sibuna era stata fissata. Visto che era ancora presto per la cena e che a nessuno di noi cinque tocasse apparecchiare o roba simile, andammo a fare una passeggita nei giardini intorno alla scuola. Ci sedemmo su una panchina non poco distanti da casa Anubis. L'erba era ricoperta da brina, da alcuni alberi scendevano dolcemente dei piccoli conetti d'acqua congelata, e quando i fanali di una macchina illuminavano in quella direzione, si creavano tantissimi arcobaleni. di tanto in tanto cadeva qualche fiocco, mentre all'avanzare delle ore faceva sempre più freddo.
-Allora, dove trascorrerete le vacanze?- domandai.
- Io torno in Sicilia ai miei genitori - disse Martina.
- Anche io torno a casa per le vacanze - rispose Angelo.
-Idem- aggiunse Valeria.
- Anche tu tornerai a casa Marika?- domandò il biondo.
- No, quest'anno rimango qui ... neanche Antonio tornerà a casa per questo Natale.
- Ahh... ma vi ho raccontato il recente scherzo che ho fatto a Mr.Sweet? - domandò Angelo con aria divertita e compiaciuto allo stesso tempo.
-Nooo - rispose Martina con un sorriso a trentadue denti - dai forza raccontacii!-
- Allora ... in pratica come sapete, il vecchio Sweet adoro prendere il tè con molto zucchero, soprattutto durante l'ora di chimica ... cosa ho fatto, mentre era distratto, ho scambiato lo zucchero con il sale e, quando è andato a berlo, ha gettato a terra la tazza facendo una faccia disgustata - e scoppiò in una grossa risata.
Anche noi scoppiammo a ridere, in una risata di quelle coinvolgenti. Ridendo, scherzando e parlando del più e del meno, si erano fatto quasi le nove di sera; così decidemmo di rientrare in casa. L'odore di casa Anubis era inconfondibile: era così caldo, antico e allo stesso tempo moderno, misterioso e frizzante ... insomma, un'aria molto rasserenante sotto alcuni punti di vista e, lo so, potrà sembrare strano, ma anche la presenza di Victor era rassicurante. Quando entrammo, stavano già cenando tutti, così ci levammo i cappotti, ci lavammo le mani e prendemmo anche noi posto alla tavolata, che ormai iniziava ad essere troppo piccola per tutti noi. Una volta finito di cenare, Daniel e Anna sparecchiarono e lavarono i piatti, mentre io presi un libro e mi misi a leggerlo tranquillamente sul comodo divano in pelle nel salotto. Alessandra, Cristiana e Marika uscirono fuori per fare un pupazzo di neve davanti la casa. Martina si sedetta accanto a me e si mise ad ascoltare la musica con le cuffiette, invece Alessandro continuò la sua partita sulla PSP. Stavo leggendo uno dei miei libri preferiti, "Beautiful Creatures" ( tradotto in italiano "La Sedicesima Luna" ), amo troppo questo libro, a dire il vero la saga completa, ma il primo è praticamente meraviglioso.
"I capelli di Lena si stavano ancora arricciando.
Sono delle idiote. Lasciale stare. Non contano niente.
Sentii di nuovo la voce del fotografo. -I prossimi!
Presi Lena per mano e la trascinai nella neve finta. Lei mi guardò, con gli occhi rabbuiati. Ma poi la nube passò e lei era di nuovo con me. Sentivo che la tempesta si allontanava.
-Neve!- udii in sottofondo.
Hai ragione. Non contano niente.
Mi chinai per baciarla.
Tu invece conti.
E mentre ci baciavamo, scattò il flash della macchina fotografica. Per un secondo, un secondo perfetto, sembrò che non ci fosse nessun altro al mondo e che null'altro contasse."
Oppure c'è quest'altra parte che è stupenda.
"All'ora di pranzo non ce la facevo più. L'aspettai alla fine dell'ora di Trigonometria e la tirai da parte, nel corridoio. Mollai per terra lo zaino, le presi la faccia tra le mani e l'attirai a me.
Ethan cosa stai facendo?
Questo.
Avvicinai il suo viso al mio con entrambe le mani. Quando le nostre labbra si sfiorarono, sentì il calore del mio corpo defluire nel gelo del suo. Sentii il suo corpo sciogliersi nel mio, quell'attrazione inspiegabile che ci aveva legati fin dall'inizio e che ora ci riportava di nuovo insieme. Lena lasciò cadere i libri e mi strinse le braccia intorno al collo, rispondendo al mio abbraccio. Cominciò a girarmi la testa.
Suonò la campanella. Lei mi spinse via, senza fiato. Mi chinai a raccogliere il suo volume consumato di poesie di Charles Bukowski e il suo notes sgangherato. Ormai cadeva a pezzi. Del resto, aveva avuto molto da scrivere, ultimamente.
Non avresti dovuto farlo.
Perché no? Sei la mia ragazza e mi manchi.
Cinquantaquattro giorni, Ethan. È tutto quello che ho. È ora di finirla di fingere che noi due possiamo cambiare le cose. Sarà più facile, se lo accettiamo entrambi.
Lo disse come se stesse parlando non solo del suo compleanno, ma anche di altre cose che noi non potevamo cambiare.
Fece per voltarmi le spalle ma la presi per un braccio e la bloccai. Se stava dicendo ciò che pensavo, doveva farlo guardandomi in faccia.
- Cosa stai cercando di dirmi, L? - Quasi non riuscii a formulare la domanda.
Lei distolse lo sguardo. - Ethan, so che secondo te questa storia potrebbe avere un lieto fine, e forse per un po' ci ho creduto anch'io. Ma noi due non viviamo nello stesso mondo. E nel mio, desiderare intensamente a qualcosa non serve a farla succedere. - Non voleva guardarmi. - Siamo troppo diversi.
-Adesso siamo troppo diversi? Dopo tutto quello che abbiamo passato? - Cominciai ad alzare la voce. Un paio di persone si girarono e mi fissarono. Ignorando completamente Lena.
Noi siamo diversi. Tu sei un Mortale e io sono una Maga. I nostri mondi potrebbero anche intersecarsi, ma non coincideranno mai. E noi non siamo fatti per vivere in entrambi.
Quello che stava dicendo era che lei non era fatta per vivere in entrambi i mondi. Emily e Savannah, la squadra di basket, la mamma di Link, Harper, i Jackson Angels, alla fine stavano ottenendo ciò che volevano.
È per via dell'assemblea disciplinare, vero? Non permetere ...
Non è solo per via dell'assemblea. È tutto. Io non appartengo a questo posto, Ethan. E tu invece sì.
Allora adesso sono uno di loro. È questo che stai dicendo?
Lena chiuse gli occhi e quasi riuscivo a vedere i suoi pensieri, aggrovigliati nella sua mente.
Non sto dicendo che sei come loro, ma sei uno di loro. Hai vissuto qui tutta la vita. E quando tutto sarà finito, dopo la Reclamazione, sarai ancora qui. Continuerai a percorrere questi corridoi e queste strade. Io probabilmente non ci sarò più. Ma tu invece sì e chissà per quanto tempo. L'hai detto tu stesso:la gente di Gatlin non dimentica mai nulla.
Due anni.
Cosa?
È quanto ancora resterò qui.
Due anni è un sacco di tempo per essere invisibili. Credimi, io lo so.
Per un minuto nessuno di noi due parlò. Lei era lì davanti a me e strappava i fili di carta dalla spirale del notes.
- Sono stanca di combattere. Sono stanca di cercare di fingere di essere normale.
- Non puoi arrenderti. Non ora, non dopo tutto questo. Non puoi lasciarli vincere.
- Hanno già vinto. Hanno vinto il giorno in cui ho rotto la finestra.
Qualcosa nella sua voce mi diceva che si stava arrendendo non solo sul verante scolastico. - Mi stai lasciando? - Trattenni il fiato.
- Ti prego, non rendere le cose più difficili. Nemmeno io le vorrei.
Allora non farlo.
Non riuscivo a respirare. Non riuscivo a pensare. Era come se il tempo si fosse fermato di nuovo, come alla cena del Ringraziamento. Solo che questa volta non era più Magia. Era l'esatto contraio.
-Sarà solo più semplice. Non cambia nulla di ciò che provo per te. - Lena mi guardò, con gli occhi verdi luccicanti di lacrime. Poi si voltò e scappò via, in un corridoio così silenzioso che si sarebbe sentita cadere una matita.
Buon Natale, Lena.
Ma non c'era più niente da sentire. Se n'era andata, e non ero pronto a una cosa del genre, non lo sarei stato fra cinquantaquattro giorni, né fra cinquantaquattro anni, né fra cinquantaquattro secoli."
Dio quanto adoro questo libro!
Mentre leggevo il libro, non mi accorsi che ero rimasto solo io in salotto. Vidi che si erano fatto le 21:56 e che fra quattro minuti Victor ci avrebbe dato la buonanotte, così chiusi il mio libro e salì su in camera. Una volta messo il pigiama, presi spazzolino e dentifricio e andai a lavarmi i denti.
- SONO LE DIECI IN PUNTO! E sapete bene cosa significa. Avete giusto cinque minuti, DOPO DI CHE NON VOGLIO SENITRE NULLA OLTRE IL RUMORE DI QUESTO SPILLO CHE CADE. - e fece cadere il suo dannato spillo.
Sarei dovuto rimabere sveglio fino a mezzanotte, ma la stanchezza prese il sopravvento e mi addormentai.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 12, 2015 ⏰

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