8. tequila... (parte 1)

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«Famo na festa in discoteca pe l'addio a Simone!» Matteo l'aveva annunciata ai colleghi così, sventolando il mestolo che teneva in mano in quel suo fare da spaccone che sembrava coinvolgere tutti - ed era l'idea più scontata che potesse saltare in mente a qualcuno, Manuel aveva ribattuto che «è la cosa meno originale de sto mondo, se potemo sforzà n po' de più» ma, prima ancora che finisse di lamentarsi, l'intera brigata aveva già accettato e lui era stato costretto a unirsi con un sonoro e fastidioso «la maggioranza vince, Manuè!».

E ora, completamente controvoglia e totalmente imbarazzato da quella situazione che lo vedeva fuori dalla sua solita comfort zone, Manuel se ne stava seduto su uno dei tanti divanetti di quel locale, un drink in mano e gli occhi a vagare mentre guardava i colleghi già spogli della loro dignità, chi scatenandosi in pista, chi con gare di shottini e chi, ancora, appartandosi con qualcun altro - non voleva nemmeno sapere per cosa.
Si sentiva come uno spettatore al cinema, a vedere un film che gli faceva schifo e costretto davanti allo schermo con la forza.
Per il resto, almeno, il cibo sul tavolo - patatine e pistacchi, pizzette e stuzzichini vari - era buono e aveva pure tre drink gratis a sua disposizione... il minimo indispensabile per render sopportabile quella serata o, in caso di necessità, sbronzarsi.

Al momento il suo punto d'interesse preferito era un ragazzo in pista, a ballare insieme alla migliore amica e ridere di qualcosa che, a quella distanza, sarebbe stato inutile anche solo provare a intuire.
Indossava una camicia bianca e un paio di pantaloni neri. La camicia era ormai sbottonata per metà e lasciava intravedere due collane color oro a scendergli sul petto, ogni tanto l'amica s'avvicinava e con un sorrisetto apriva un altro bottone e gli passava le dita tra i capelli per scombinarglieli.
Ed era bello, così bello che gli veniva voglia di andare da lui, catturarlo dalla nuca e premere la bocca sulla sua, sentire il sapore del suo palato e lasciar scontrare le loro lingue senza delicatezza alcuna mentre la mano libera correva per la sua pelle sudata. Aveva voglia di trascinarlo nei bagni di quel locale e di chiudersi nel primo disponibile con lui, spogliarsi e farsi sbattere al muro dal peso del suo corpo a cercarlo e concedersi con la stessa foga che stava immaginando nella sua mente. Aveva voglia di non staccarsi più da lui, di dire il suo nome fino allo sfinimento, fino all'orgasmo, e se possibile anche oltre.
E aveva anche voglia di ridere vicino alle sue labbra e calmarsi, poi, col suo profumo accanto al viso. Probabilmente aveva voglia di fare l'amore con lui, anche se non riconosceva la differenza tra quello e il semplice sesso ormai da anni.

Gli occhi del ragazzo avevano incontrato i suoi, accorgendosi del suo sguardo da lontano e bloccando il suo corpo a smettere di ballare per un istante, forse sorpreso dalle iridi di Manuel a non scappare dalle sue. Un sorriso ampio e gli occhi a puntare nei suoi. «Vieni qua», le labbra l'avevano mimato, seguite dal capo a muoversi in uno scatto leggero, e non era stato difficile capire.
«No», Manuel aveva scosso la testa e Simone aveva risposto con uno sbuffo, forse teatrale ma utile a farsi notare da quella distanza.
Quindi s'era voltato verso l'amica, dicendole qualcosa prima d'allontanarsi da lei per raggiungerlo.

«Perché te ne stai qua da solo?» Dio, lo odiava. E ancor di più odiava il fatto che i suoi occhi non riuscissero a staccarsi dalla figura del ragazzo ora in piedi di fronte a lui. «Vieni a ballare!»
«No, grazie.»
«Sei noioso, lo sai?»
«E tu hai rotto il cazzo, semo pari?»
«Eddai!» Gli aveva preso una mano nella propria senza permesso e Manuel gliel'aveva lasciato fare perché... be', era Manuel e lui era Simone - l'unica spiegazione logica che sarebbe riuscito a darsi, mentre s'alzava in piedi controvoglia e sospirava esasperato alla sua insistenza. «Puoi non fare lo stronzo, almeno per una sera?»
«Simò...»
«Una soltanto», aveva lamentato, posando la mano libera sul suo viso e carezzandogli una guancia mentre i loro occhi s'incontravano. «È la mia festa d'addio... fallo per me.»
E «Va bene, come te pare!» Manuel aveva ceduto, con uno sbuffo e gli occhi a raggiungere il soffitto, mentre il ragazzo davanti a lui sorrideva come un bambino. «Però nun ballo.»

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