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Non sembravano quasi braccia. Mi sfregavano la pelle come se fossero delle funi, lasciando scie su ogni parte del mio corpo con cui entrassero in contatto. Mi si strapparono i vestiti, e la mia spada fu lanciata parecchio lontano da me. Appena cercai di gridare aiuto, un'altro "braccio" premette sulla mia bocca, impedendomi di pronunciare qualunque parola. Un'altro si avvolse attorno alla mia gola. Sentivo la pelle andarmi a fuoco, ma per quanto cercassi di ribellarmi le funi non sembravano avere alcuna intenzione di lasciarmi andare, anzi. Si stringevano sempre di più, soffocandomi e impedendo al sangue di scorrermi nelle vene. Per un istante, pensai che lasciarmi uccidere non fosse poi una così cattiva idea. Scendere negli Inferi, rincontrare Bianca, poter essere finalmente felice. Ma non era quello che volevo. Io volevo vivere, volevo vivere la mia vita di comune adolescente, e volevo farlo insieme a Bianca. Realizzai quanto poco fossi alla sua altezza. Non sarei mai stato abbastanza per la ragazza che aveva sacrificato la sua vita per altre tre.
L'aria iniziava a mancarmi. Stavo soffocando, sentivo gli occhi uscirmi fuori dalle orbite, il volto in fiamme. Altro che morte eroica, morte da vero semidio. Sarei stato ucciso nel sonno da delle funi.
Avevo appena formulato uno squallido pensiero sul mio funerale, quando la stretta delle strane braccia sembrò allentarsi. Nel giro di qualche istante, mi ritrovai carponi sulla strada, boccheggiante e con ogni singolo centimetro quadrato di pelle che bruciava. Appena riuscii a riprendermi di quel che serviva per cominciare a respirare normalmente, mi misi seduto con gli occhi chiusi, concentrandomi solo sull'alzarsi e abbassarsi del mio petto.
"Connor, stai bene?" mi chiese qualcuno con voce preoccupata. Sembrava così lontana, quasi surreale, e così poco familiare.
Formulai a malapena un pensiero nella mia testa. Secondo te, posso stare bene? Avrei voluto quasi urlare, ma le parole mi sembravano bloccate in gola. Scossi semplicemente la testa.
"Almeno sei vivo" continuò la stessa voce. Lentamente, riuscii a riconoscerla, anche se era sempre lontana anni luce rispetto a me. Nico. Il figlio di Ade si stava preoccupando per me. Dovevo sentirmi onorato.
Socchiusi gli occhi. Persino un'attività semplice e naturale come tenere le palpebre sollevate mi costava fatica. "Ti sembro vivo, Di Angelo?" sussurrai, poi iniziai a tossire convulsamente.
Il figlio di Ade fece una smorfia. "Non molto" rispose. Lo vidi sparire dalla mia visuale, e all'improvviso mi sentii trascinare via per le braccia. Furono degli istanti a dir poco agonizzanti. Dopo che delle funi mi avevano scorticato la pelle, quel ragazzino aveva anche deciso di strofinarmi sull'asfalto. "Perdonami, ma eri in mezzo alla strada" si scusò mentre mi faceva appoggiare la schiena contro una superficie fredda e dura.
"Dammi dell'ambrosia e potrei scusarti" replicai schiacciandomi contro il muro. Il fresco dei mattoni arrecava piacere alla mia pelle bruciata.
Nico non disse nulla, né si mosse. "Io non ho ambrosia."
Non avevo la forza necessaria per arrabbiarmi con lui, così mi limitai ad una scrollata di spalle. "Hai visto chi mi ha attaccato?" gli chiesi invece.
"Sì" rispose. "Ti ho liberato io. Era una strana donna. Sembrava stesse dormendo. Sembravano rami, quelli che ha usato per ridurti in questo stato. E continuava a ripetere sempre la stessa frase."
Sapevo che me ne sarei pentito subito, ma glielo chiesi comunque: "Cosa ripeteva?"
"Non era molto chiaro, ma sembrava qualcosa come 'Non puoi scapparmi' o roba del genere. Era tutto molto confuso."
Bene, la donna che spuntava dalla terra mi aveva trovato, di nuovo. "Tornerà?" domandai a Nico, guardandolo con la coda dell'occhio.
"Non ne ho idea" rispose lui alzando le spalle. "Ma, conoscendo gli altri mostri, lo farà." Il figlio di Ade si alzò e infoderò la sua spada nera. "Se non vuoi che ti raggiunga, però, credo proprio che dovremmo muoverci. Non possiamo permetterci di raggiungere l'ingresso con te in queste condizioni patetiche, quindi..." Fece una pausa, guardandosi intorno. "Forza, Stoll. Penso che sia ora per noi di farci un viaggetto." Mi porse la mano per aiutarmi a tirarmi su, anche se un istante dopo ero appoggiato al muro cercando di tenermi in piedi. "Mai fatto un viaggio nell'ombra?" mi chiese.
"Tutti i giorni, proprio" risposi.
Nico alzò gli occhi al cielo e mi prese per un braccio. "Cerca di non perdere la presa. Non sarà piacevole se dovesse accadere."
Da come l'aveva descritto Nico, il viaggio nell'ombra sarebbe stato qualcosa di devastante, di davvero terribile, che mi avrebbe distrutto psicologicamente e fisicamente. Invece, all'inizio lo trovai quasi divertente. Sembrava di stare sulle montagne russe, con l'unica differenza che il figlio di Ade mi stringeva la mano talmente forte da farmi quasi male. Il tutto divenne tremendo nel momento in cui iniziai a vedere il terreno degli Inferi avvicinarsi pericolosamente alla mia faccia. Iniziai ad avere difficoltà a respirare, e non sapevo se stesse accadendo a causa del panico o dell'aria pesante che aleggiava nel luogo dove stavo per atterrare. Avevo fitte pungenti in ogni parte del corpo, sia per il dolore che già sentivo, sia per il fatto che l'Ade non fosse esattamente il posto migliore per un figlio di Ermes. Mi stava rendendo debole solo la vicinanza, non potevo pensare alle condizioni in cui mi sarei trovato al momento dell'impatto. Impatto che certamente mi avrebbe lasciato come un uovo lanciato sul pavimento.
L'atterraggio, invece, si rivelò la parte più piacevole. Non solo perchè potei finalmente lasciare la fredda e rigida mano del figlio di Ade, ma anche perchè realizzai di non essermi sfracellato sul terreno.
"Eccoci qui" fece Nico, come se mi avesse appena accompagnato dentro casa sua. Che poi quella, a tutti gli effetti, era casa sua.
Mi guardai intorno smarrito, mentre seguivo il ragazzino dentro un palazzo di ferro nero. Il giardino era decisamente il meno colorato e nel quale fossi entrato. Il giardino di Persefone. Era buio. Molto buio. Fu la prima cosa di cui mi resi conto. Poi arrivò il resto, e devo ammettere che quel piccolo spazio di natura poteva far invidia alla stessa Demetra. C'erano piante di tutti i tipi, melagrani in particolare e altri alberi da frutto. File su file di fiori d'argento rilucevano di una pallida luce argentea, come se la Luna stessa avesse donato un po' della sua polvere luminosa a quei fiori, permettendo loro di riflettersi nelle gemme che delimitavano le aiuole. La cosa che più mi colpì fu il fatto che qualunque punto libero del giardino fosse disseminato di denti di leone. Erano ovunque.
Quando si accorse che stavo guardando quei fiori, Nico alzò gli occhi al cielo sbuffando. "La mia matrigna ha una passione, che è più un'ossessione, per i denti di leone. Una volta, abbiamo discusso e lei ha deciso bene di trasformarmi in quell'insulso fiorellino."
"Tu? Un dente di leone?" chiesi ridacchiando.
Il figlio di Ade mi fulminò con lo sguardo. "Non è una cosa di cui parlo molto volentieri" ringhiò.
Alzai le mani. "Come vuoi. Non sia mai che tu chieda alla cara Persefone di trasformare anche me in un dente di leone."
Nico fece un sorrisetto, cosa che fece sentire felice anche me. Mi piaceva vederlo felice, che lui ci credesse o no. Se lui fosse stato triste, io mi sarei sentito in colpa. "Siamo arrivati" annunciò fermandosi davanti ad un portone nero. "Ti farò parlare con la mia matrigna. Per quanto io stenti a crederci, è certamente più ragionevole di mio padre, soprattutto se ci sono in ballo dei..." Mi squadrò dalla testa ai piedi. "...sentimenti." Detto questo, spalancò la porta che dava su un enorme ingresso dai colori sbiaditi. Sembrava che dei barattoli di vernice fossero stati lanciati contro le pareti lasciando strisce di colori vivi, che col tempo stavano diventando biancastri.
Una donna ci accolse all'ingresso. Il suo vestito era nello stesso "stile" della stanza, così come i suoi occhi. Era come se gli Inferi avessero indebolito la sua forza vitale. "Salve, mezzosangue, io sono Persefone" disse. "Nico" aggiunse con tono altezzoso. "Pensavo avessi deciso di piantarla con il portare semidei nella dimora di tuo padre."
"Non l'ho portato nella dimora di mio padre" replicò lui. "L'ho portato qui per parlare con te."
Persefone sembrò spiazzata da quel commento. Non c'era molta comunicazione madre-figlio tra loro, evidentemente, e trovarsi Nico davanti che le chiedeva di parlare era come una sorta di miracolo. "Penso che... che non ci sia alcun problema a parlare" balbettò, poi ci fece cenno di seguirla. Ci portò in una veranda che dava direttamente sul giardino, dove potemmo sederci e riposarci. "Allora, cosa vi serve?" chiese la dea, sorseggiando del tè che le sue ancelle avevano portato.
"Abbiamo bisogno di parlare con una morta" rispose prontamente il figlio di Ade.
Persefone posò la tazza sul tavolo e scosse la testa. "Non credo sia possibile. Ade è molto restrittivo su questo, e ha dettato delle regole precise."
"La prego" intervenni. "E' molto importante."
La dea sospirò. "Io vi aiuterei, ragazzi, non fraintendetemi, ma Ade non ha esattamente buon cuore..." mormorò.
"Ma lei ce l'ha" replicai. "Ci serve il suo aiuto."
Persefone scrollò le spalle con aria indifferente, ma era rimasta certamente compiaciuta dal complimento. "Di chi si tratta?" chiese.
"Bianca Di Angelo" risposi nello stesso istante in cui Nico diceva: "Silena Beauregard." Il figlio di Ade mi tirò un calcio sotto il tavolo.
La dea sorrise con un po' di crudeltà. "Due persone diverse, eh?" fece. Si stava divertendo moltissimo a vedere il suo figliastro entrare completamente nel panico.
"No, madre" disse Nico a denti stretti. Chissà quanto gli costava chiamare Persefone "madre". Non doveva essere affatto facile. "Bianca. Dobbiamo vedere Bianca."
"Non penso di poter fare nulla, figliolo" replicò la dea. "Tua sorella è stta piuttosto chiara su ciò che voleva."
Nico borbottò qualcosa di incomprensibile, poi proseguì. "Per questo ho portato lui con me." Mi indicò. "Sono certo che lui la convincerà." Annuii come per confermare la sua teoria.
Persefone schioccò la lingua. "Cosa avete in mente? Lo scambio di anime è a dir poco fuori discussione. Potete solo sperare che Bianca voglia rinascere in un'altra forma."
Un'altra forma. Quelle parole continuarono a rimbombarmi nelle orecchie, tanto che non ascoltai più una frase di quello che Nico e Persefone si stavano dicendo. Non avrei più potuto specchiarmi nei suoi occhi color della pece, così neri e intensi da darmi la sensazione di poterci affogare. Non avrei più potuto sentire la sua risata, quel suono che amavo tanto, che sognavo ogni notte, che speravo di poter ascoltare ogni qual volta facessi qualcosa di stupido.
"Abbiamo scelta?" stava dicendo Nico quando ripresi a prestare attenzione.
Persefone si rigirò la tazza tra le mani. "No, non credo proprio" rispose. Continuò a giocare con la sua tazza fino a quando non cadde infrangendosi sul pavimento. Quella era stata l'esatta descrizione della mia esistenza. A forza di giocarci, gli dei avrebbero finito per distruggerla e renderla totalmente inutile, più di quanto già non fosse.
"E allora faremo così" concluse il figlio di Ade guardandomi, come aspettando che obbiettassi.
Alzai le sopracciglia. "Mi ero distratto" mi scusai.
Persefone si passò una mano sul volto e si rivolse a Nico. "Tua sorella si era davvero presa una cotta per un tipo come questo?" chiese. Il ragazzino scrollò le spalle. "Deve essere stato proprio un abbaglio."
"Non ho fatto tutta questa strada per ritrovarmi ad essere preso in giro da una dea minore" dissi a voce bassa.
La dea minore tese le orecchie. "Come scusa?" fece allungandosi sul tavolo.
"Nulla. Andiamo." Mi alzai in piedi e Nico fece lo stesso. "Ai Campi Elisi." Nico annuì e si avviò fuori dal palazzo di Persefone. Io lo seguii dopo aver rivolto un sorriso e un cenno alla dea della primavera, e mi portai al suo fianco. "Sai come facciamo ad arrivarci?" gli chiesi.
"Ovviamente" rispose lui in tono superbo. Oh, giusto, mi ero scordato che Nico fosse totalmente perfetto e sapesse sempre cosa fare. "Ci aspetta solo una piccola passeggiata per i Campi della Pena, niente di che."
Il colore abbandonò il mio viso. I Campi della Pena? No, grazie. "Piccola passeggiatina?" ripetei.
"Sono solo due passi" mi tranquillizzò Nico. Sì, due passi. In mezzo ai fantasmi. Proprio una bella camminata.
Si rivelarono, invece, davvero due passi. I fantasmi evitavano Nico, e fecero quasi tutti lo stesso con me. Tutti guardavono terrorizzati la spada del figlio di Ade e scappavano. Giungemmo ai Campi Elisi nel giro di una decina di minuti. Tempo record, direi. Lì l'umore delle anime era decisamente migliore.
Non appena ci videro, alcune di loro si avvicinarono a noi. "Cosa vi serve?" chiese una di loro. Il suo tono non era scortese o seccato, ma si intuiva che avrebbe preferito lavare la biancheria di Ade stesso più che parlare con noi sbandati semidei.
"Cerchiamo una ragazza..." rispose cautamente Nico.
"Ci sono molte ragazze qui" replicò un'altra.
Decisi di fare la mia mossa idiota: intervenni. "Una Cacciatrice."
"Ci sono anche molte Cacciatrici di Artemide."Le anime si stavano arrabbiando. La tensione nell'aria era palpabile.
Nico provò a raddrizzare la situazione. "Ha circa quattordici anni. Una figlia di Ade. Mi somiglia, è mia sorella."
I fantasmi presero a mormorare tra loro, poi ci indicarono un'anima in disparte. "Lei. Potete riconoscerla facilmente. Sta sempre sola" disse il primo fantasma, poi tutti si dissolsero come erano arrivati.
Ci avvicinammo lentamente. Nico aveva sfoderato la spada per ragioni a me ignote e che neanche volevo sforzarmi di capire. Io avevo solo il terrore che fuggisse. Quando ci trovammo ad una decina di metri da lei, cominciai a distinguere meglio i dettagli della sua figura. I capelli neri legati in una treccia, una coroncina d'argento intrecciata tra essi, la maglia del Campo e l'arco con la faretra. Si voltò. Teneva le mani sul viso, e sembrava stesse piangendo. Eravamo a un paio di metri dall'anima, quando quella scostò finalmente le mani, mostrandoci il suo volto. Un paio di occhi neri che non avrei mai potuto dimenticare mi fissavano.
Ero davanti a lei, incapace di muovermi o pronunciare una sola parola.
Quegli occhi sembravano così smarriti che pensai non mi riconoscesse. Poi l'anima si avvicinò di appena qualche centimetro, volteggiando. Mi scorse con lo sguardo dalla testa ai piedi. Avevo tutti i vestiti strappati, e un aspetto decisamente penoso. Lei tornò a guardarmi fisso. E scoppiò a ridere.
Non c'erano più dubbi. Avevo ritrovao Bianca Di Angelo.

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