<<Non ti annoi ad ascoltare sempre la stessa musica?>>
<<Questa non è musica è il canto degli angeli.>>
La Turandot scivolava via, netta e pulita nell'abitacolo, anche se sputata con un ringhio da autoparlanti di almeno vent'anni. Nella memoria tutto sembra succedere in musica. Questa è la musica. La voce della Callas toccava il ventre di Fieno, quasi una masturbazione di note.
Il respiro di Slavo, in bilico fra la veglia e il sonno, si accordava al cielo che virava sempre di più sul rosso.
Erano parecchie ore che Fieno era al volante.
Gli piaceva guidare.
Comunque, all'appuntamento con la morte (citazione sfilacciata) mancava poco, mezz'ora e sarebbero arrivati, poi sarebbe iniziato il lavoro per cui si erano messi in marcia.
Un lavoro preciso, pulito e veloce. Fieno, nell'ambiente aveva una nomina da rispettare, era considerato un professionista in azioni del genere, venti lavori e mai una sbavatura, mai un problema, tutto era sempre filato liscio, veloce e indolore come una supposta nel culo di un malato (malgrado le improvvisazioni di Slavo).
Slavo era il suo portafortuna, senza di lui e senza il suo estro da jazzista, Fieno si sentiva perso, spiazzato e, e.. non lo so, tipo: un aggettivo da inventare, una parola da costruire, forse un esclamazione o un insulto, non lo so, qualcosa del genere, un tutto che declinava dall'incazzatura all'amicizia, dalla fratellanza alla comunione, stesso destino, stessi problemi e stesso futuro.
Le cazzate di Slavo aiutavano Fieno, sembra un paradosso, ma avere un casinista al suo fianco permetteva a Fieno di dare il massimo.
LA MATEMATICA HA LE SUE INCOGNITE; sviluppa la tua equazione ed ecco il risultato, e le X di Slavo, le potevi interpretare solo nell'istante dell'azione, non seguiva la scaletta, variava una sequenza e in un nanosecondo tutto veniva rivisto, vagliato e ricondensato in decisioni che in un minuto potevano cambiare il destito della tua vita, e il risultato finale poteva essere... Fine.
Fieno, ben conscio di questo, valutava ogni cosa, ogni minimo particolare, guardava dentro il microscopio elettronico dell'operazione, vagliava il tutto per giorni e giorni, dissezionava tutto per poi ricomporlo, creava il mostro, un mostro perfetto, lasciando al caso solo qualche briciola, un pasto per quel picccione di Slavo.
Fieno si voltò.
Slavo, la testa abbandonata al finestrino come una medusa spiaggiata.
Un filo di bava usciva dalla sua bocca carnosa.
La penna d'oro, lucida e brillante era una presenza categorica sull'assenza di neuroni di Slavo.
Per un nano secondo fu assalito dal desiderio di gettarla dal finestrino, ma non lo fece.
Controllò lo specchietto, la strada dietro di lui era deserta e davanti lo stesso.
Prima di partire aveva controllato che non vi fossero sistemi di controllo elettronici inseriti sull'auto con un piccolo aggeggio comprato in Ungheria.
La macchina era pulita.
Cellulari scollegati dalla batteria, niente elettronica, niente di niente che potesse far rilevare la loro posizione.
Gli venne un'idea, un'idea stupida come a volte capita e non bisogna frenare, allenta la tensione e decontestualizza il tutto (forse); abbandoniamoci alle cazzate, si disse mentre lo pensava.
Sorrise in anticipo assaporando la reazione.
Si mise ad urlare come un forsennato e inchiodò l'auto.
Fieno, spinto da un enorme forza cinetica, si sollevò come in assenza di gravità finendo contro il tettuccio dell'auto, urtando con la fronte il montante del tettuccio, poi ricadde sul sedile come un gatto morto, intontito balbettò qualcosa e impugnando il revolver urlò:
<<Ahhhhh! Chi è, che cazzo! Merda!>>
Guardò Fieno che stava ridendo come un forsennato.
Inutilmente gli puntò l'arma. Quella merda continuava a ridere come una vecchia puttana.
Premette di un micron il dito indice sul grilletto. Tremava.
Fieno rideva.
L'arma aveva il colpo in canna.
Un altro micron e sarebbe partito il colpo. Preciso come un righello avrebbe perforato la tempia e attraversando il cranio di Fieno, sarebbe rimbalzato sul montante della portiera e, rimbalzando, l'avrebbe colpito allo zigomo. Ci poteva stare.
La strada nera scivolava via come un anguilla nel fango.
I fari erano coni di luce perfetti, gialli come gli occhi di un gatto.
La Callas rompeva i coglioni con i suoi acuti.
L'incazzatura era paragonabile a quella volta con il trans.
Pensava fosse una donna, tutto era come una donna, tranne che quando si avvicinò ai fianchi per baciarla, vide spuntare dalle mutandine un ospite indesiderato.
Non ci pensò due volte, afferrò quel coso con la mano, mentre lei o lui gemeva e tirò. Tirò forte, talmente forte e con l'intenzione di strapparlo da quel corpo sinuoso, ricorperto di pelle d'orata e con seni perfetti, come fosse un inutile radice nata su una bellissima pianta tropicale.
La trans si mise a urlare. Una Callas, come una Callas, ma stonata.
Slavo continuò imperterrito a tirare come un forsennato quel coso che ora, nel palmo della sua mano, si era ridotto al solo involucro di pelle, un povero prepuzio pronto per la circoncisione a strappo. La povera trans, nel frattempo, sentitasi perduta, gli morsicò con la sua bellissima dentatura da Afro, l'orecchio. Riuscì a staccarne un bel pezzo ma Slavo ormai era preso dal compito e nulla l'avrebbe fermato se non una spranga di ferro, e quella la ricevette direttamente sul capo. Si scoprì poi, che era stata la figlia della trans, una ragazzina di dieci anni che dormiva nella stanza accanto, già diplomata a pieni voti nella scuola delle favelas, dove fino a qualche anno prima viveva con la nonna alcoolizzata.
Slavo non fece nulla. Slavo aveva un codice: i bambini sono sacri.
Per questo, a Fieno piaceva Slavo. Era raro, trovare nel loro ambiente, persone con dei sani principi.
Slavo aveva sempre l'arma puntata alla tempia di Fieno.
Ancora un micron e poi...
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SINFONIA PER ANGELI
Short StoryDue Killer alle prese con il caso e l'imprevedibile. La banalità del male si scontra con la realtà. Diavoli o angeli questo lo deciderà il racconto, per metà scritto dall'autore e per il resto, per il resto ci penserà il lettore.