POV First Person

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A/N:
ATTENZIONE TW
Questo capitolo mi dovrà far alzare il target, abbiamo tw suicidio e salute mentale. Se pensate che una di queste cose possa essere triggerante per voi, NON leggete. Siamo in una situazione di Dead Dove: Do Not Eat.

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Un sussulto, un respiro
un sospiro e poi il vuoto.

...

Avevo ucciso così tanti, ma alla fine l'unico che doveva morire ero proprio io, vi ho detto addio, nella speranza di non rivedervi mai più. Perché era giusto così.
La mia morte sarebbe stata l'unica che ci avrebbe veramente dato pace. A me e a tutti quelli che si trovano in un corpo che non è veramente il loro.

Avevo sistemato le mie questioni in sospeso, avevo salutato le persone care, e poi, ero salito sulla sedia. Quella nella stanzina, nascosta, quella in cui avevo ucciso così tanti, eppure nessuno aveva mai pensato di distruggerla, o di chiuderla a chiave.

Ogni volta che provavo ad abbassare la maniglia, sperando di trovarla chiusa, questa si apriva senza un cigolio, senza emettere un solo fiato. Così tante persone sarebbero ancora vive se solo l'avessi trovata chiusa.

Sarebbe stato ironico se quella, fosse stata la volta buona.

Questo pensavo il 13 dicembre, mentre percorrevo quel corridoio; avevo chiuso personalmente tutte le porte della casa, nessuno mi avrebbe impedito di fare quello che volevo. Non appena fossi morto, sapevo che si sarebbero riaperte da sole.

Arrivai alla stanzina, quel posticino con la chiave piccola piccola, come quella della storia di Barba-Blù. L'avevo sentita per la prima volta proprio tra queste mura, e da subito avevo capito, che io ero lui. E così, come sempre, poggiai il palmo in modo deciso sulla maniglia (poteva sembrare sciocco, ma qualcuno mi aveva detto che in questo modo, non avrei preso la scossa). Il metallo era freddo al tatto, ma presto si sarebbe riscaldato a contatto con la mia mano. Feci pressione lentamente verso il basso, sperando di trovare della resistenza. Poi spinsi la porta lentamente, pregando che non si aprisse.

Ma anche stavolta nessuno aveva pensato di chiuderla.

Sorrisi, era giusto così, dopo tutto il dolore che avevo inferto, perché il destino avrebbe dovuto salvare proprio me?

La stanza era asfissiante, con il soffitto più basso del resto della casa, e non aveva finestre. Al centro c'era un'unica sedia, con posata sopra, in modo ordinato, una corda arrotolata.

Avevo ucciso sette persone, proprio lì, negli ultimi tre anni e mezzo. Eppure, non c'era una singola traccia di sangue e i loro corpi erano sempre scomparsi, senza che io dovessi fare nulla.
Chissà perché quella stanza si trovava lì. Ma non era quello l'importante al momento. Continuare a pensare non aveva senso, non avrei mai trovato le risposte che stavo cercando. Presi la corda e mentre salivo sulla sedia per annodarla ad una singola trave del soffitto, mi accorsi che sui braccioli c'erano dei graffi, e una volta ancora, forse l'ultima, sorrisi.

Quella era la sedia sulla quale avevo legato ed ucciso il mio primo protettore, era quantomeno ironico che proprio questa avrebbe ucciso anche me. Il suo persecutore.

Annodai la corda alla trave, scuotendo la testa e cercando di non pensare. Chissà quando avevo imparato a fare i cappi, ormai non lo ricordavo più.

Passai delicatamente il nodo attraverso il mio capo, e per un secondo rimasi in silenzio a cercare di percepire i rumori che mi circondavano, guardai la porta, e sussultai cercando di ricordare se l'avevo chiusa io. Ma anche questo era irrilevante al momento, feci un respiro profondo. Questo era il mio ultimo momento, e un sospiro di sollievo lasciò le mie labbra.

E poi il vuoto.

A/N:
Per un pelo.

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