𝟓𝟐. Come ho potuto?

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"Creo un mostro dentro la mia testa."

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SOOYUN

Sabato 17 Aprile 2021, ore 23:45

Non esisteva cosa più angosciante del silenzio. Il vuoto assoluto, dentro e fuori, era divenuto il compagno più morboso e doloroso che potessi avere. Suonava assordante all'interno delle mie orecchie, mi permetteva di sentire il battito cardiaco che rimbombava tra quelle fragili pareti del mio corpo tremante; il battito di un cuore che, sinceramente, non capivo come potesse ancora essere funzionante.

Restavo immobile, inerme e vittima del silenzio, seduta su una sedia fredda tanto quanto quell'aria pesante che mi stava opprimendo con forza contro di essa da chissà quanto tempo. Il mio respiro era leggero, debole, quasi inesistente. Fissavo un punto indefinito davanti a me, guardavo il nulla assoluto; non avevo nemmeno la forza di voltarmi per rendermi effettivamente conto di trovarmi all'interno di una stanza degli interrogatori.

Le mie braccia erano abbandonate sul grembo e la pelle delle mie mani sembrava bollire al contatto con il tessuto fradicio del camice. Ero bagnata dalla testa ai piedi, i capelli erano appiccicati alla pelle del mio viso e le lacrime erano ormai seccate lungo le mie guance. Neanche la coperta di pile in cui ero stata avvolta riusciva a donarmi quel minimo di calore che cercavo, che speravo di rinvenire.

Non provai a voltarmi nemmeno nell'istante in cui sentii la porta alle mie spalle venire aperta dalla persona che mi aveva personalmente trascinata e portata fino a lì. Non volevo voltarmi, non ci riuscivo; come avrei potuto farlo?

Ancora non capivo dove trovassi la forza per pensare, dato che , arrivata a quel punto, non esisteva più niente che potesse darmela. Non più.

La mia visuale venne occupata dall'uomo che, con un grosso e stanco sospiro, prese posto sulla sedia di fronte a me, dall'altra parte del tavolo metallico. Rimasi tuttavia impassibile a tutto ciò che mi circondava, ignorando la sua presenza e lasciando che le mie liquide e lucide pupille rimanessero fisse nel vuoto.

L'uomo davanti a me, che riconobbi come l'agente che si era preso la briga di lasciarmi dentro quella stanza da sola per minuti che sembravano non finire più, unì le mani sul tavolo incrociando le dita tra loro e richiamò il mio nome in un sussurro familiare, irriconoscibile e quasi ripresi a piangere quando mi parve di sentire la sua di voce.

«Sooyun»

Mugolai debolmente, emettendo un debole e basso suono, quasi del tutto impercettibile persino alle mie orecchie.

Ma al secondo richiamo, purtroppo, constatai che quella non era affatto la sua voce.

«Sooyun»

Mi ritrovai costretta a sollevare il mio sguardo assente sul volto della persona davanti a me, dipinto da un'espressione preoccupata, dispiaciuta e tutt'altro che rassicurante. Riuscivo a vederla nei suoi occhi, quella sfumatura di pena e pietà che provava nei miei confronti solo guardandomi. Non era niente di nuovo che non avessi già visto.

INFINITY | J.Jk ✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora