Capitolo 2: Rewind

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LE VICENDE DI QUESTO CAPITOLO SONO AMBIENTATE NEL PRESENTE

EMANUELE

Alzarmi di scatto, facendo spostare rumorosamente la sedia, è stato un riflesso spontaneo che non sono riuscito a trattenere quando l'ho vista. Così come non riesco a trattenere questo tremolio che sento in tutto il corpo.

Senza neanche rendermene conto, avanzo di un passo verso di lei. Mi supera indifferente, come se fossi invisibile, e va a stringere la mano al rettore.

Spero che non mi coinvolgano in questa conversazione, perchè non so se sarò in grado di interloquire tranquillamente. Ho bisogno di qualche minuto per riprendermi dallo shock.

Qui, a due passi da me, c'è Ele, la mia piccoletta. Mi sembra di vivere un sogno.

Non riesco a toglierle gli occhi di dosso. Cazzo, ci sto provando, ma non ci riesco.

Più la guardo, più mi rendo conto di quanto sia meravigliosa. So che sembrerò il solito maniaco, ma i miei occhi non riescono a guardare altrove. Devo provare a darmi un contegno. Ma come faccio? Lei è il mio magnete, e io non riesco a opporre resistenza alla forza di attrazione che esercita su di me.

Se sapesse che ho ancora le sue foto salvate nella galleria del telefono, probabilmente mi riderebbe in faccia. Eppure è vero. Non so quanti cellulari ho cambiato, ma l'album con le sue fotografie l'ho sempre trasferito. Inutile dire che quelle foto le ho guardate più volte in questi anni. Non volevo dimenticarla; volevo ricordare ogni dettaglio di lei: ogni morbida curva, ogni sfumatura della sua pelle chiarissima. E ogni volta che lo facevo, maledicevo me stesso e la mia immaturità di allora. Ero un fottuto burattino delle mani di mio padre, che è riuscito abilmente a manipolarmi.

Al contrario, lei ha distolto immediatamente lo sguardo. Solo per un breve, impercettibile attimo, le sue iridi scure si sono riflesse nelle mie e ciò che ho intravisto in quel buio profondo mi ha fatto rabbrividire.

Nei suoi occhi non c'è più nessuna traccia di quello sguardo triste che solo lei aveva, quella sua strana forma di malinconia che mi faceva desiderare di stringerla a me, per proteggerla da tutte le brutture della vita.

Cristo santo quanto tempo è passato?

Tanto, troppo.

Nove anni? No, ma che dico. Sono esattamente quasi dieci anni.

Dieci lunghi e fottutissimi anni che ci siamo persi di vista.

Beh, persi di vista è un eufemismo. Sarebbe più corretto dire che dieci anni fa lei è sparita nel nulla, dopo che io le ho straziato il cuore, portandosi via una buona parte della mia voglia di vivere.

Dieci anni in cui mi sarò chiesto chissà quante volte dove fosse, cosa stesse facendo e se, per caso, mi stesse pensando anche lei. E invece, il destino ha voluto che oggi arrivassi qui, a Tirana, in Albania, a non so quante migliaia di chilometri dall'Italia, per ritrovarmela davanti così, per caso.

Che coglione sono stato, a quei tempi, a non immaginare che fosse venuta qui. Se non ricordo male, aveva i nonni albanesi. Me ne aveva parlato con disprezzo, perché non avevano voluto prendersi cura di lei dopo la morte della madre. L'avevano abbandonata a se stessa.

Vita sbagliata - L'età della maturitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora