La reggia.

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Non ero mai stata in Oriente. L'avevo, però, immaginato mediante i numerosi racconti. Ed era esattamente come credevo: il caldo era soffocante, tutte le case erano bianche di tufo e addossate tra di loro, a volte ci s'imbatteva in capanne di paglia, muretti candidi e arsi dal sole, mercanti di spezie vestiti con tuniche e turbanti, gli abitanti indossavano abiti freschi, ornati con pietre preziose e oro, i loro capelli erano raccolti in acconciature stravaganti o in turbanti. Parlavano tutti il greco antico, solo qualche eccezione il latino. Il mio mantello nero attirava molta attenzione, ero la diversa tra questa gente. Non avevo il coraggio di abbassare il cappuccio e farmi scrutare, nonostante il caldo insopportabile. E, ovviamente, capivo ben poco del loro parlato: non potevo neanche chiedere indicazioni. Non sapevo dove cercare, così vagai un po' per memoria. Nei libri si diceva che la reggia fosse splendida e che si ergesse sul mare. Nel primo paesino che incontrai appena arrivata in Oriente non c'era il mare: potevo ammirare solo un deserto interminabile attorno alle mura. Non ricordavo le coordinate della Capitale, non sapevo come raggiungerla, né quanto distasse dal luogo in cui mi trovavo. Vagai tra le vie di quel luogo, cercando di pensare ad una soluzione, quando m'imbattei in un mercante in grado di comprendere la mia stessa lingua. "Sire?", mi chiamò. Mi voltai verso di lui. "Giunge dall'Occidente?". Annuii. Egli m'invitò ad entrare nella sua tenda, io scesi da cavallo, lo legai e lo seguii. La tenda era variopinta, ma i colori prevalenti erano il rosso e l'oro. Per terra c'erano dei tappeti e dei cuscini in seta. Mi fece accomodare. Lì dentro, l'aria era più fresca. M'abbassai il cappuccio ed egli fu sorpreso di trovarsi di fronte una ragazza. "Come ti chiami?", mi chiese. "Elda", gli risposi. Mi chiese notizie sulla situazione italiana ed io iniziai il mio racconto. Mi stette a sentire sorseggiando del tè, in silenzio. Si accarezzava la barba scura, sembrava pensieroso. Quando giunsi al termine del mio racconto, mi sorrise e mi ringraziò, spiegandomi che aveva ricevuto brutte notizie da altri mercanti e voleva essere informato meglio. In cambio decisi di chiedergli informazioni sulla reggia di Carlo. Lui mi disse di attraversare il deserto uscendo dalla porta Ovest e di seguire sempre quel punto cardinale. "E, mi raccomando, sulla strada incontrerai diverse oasi. Fai sosta lì. Se non ne vedi, vuol dire che sei sulla strada sbagliata." Mi diede una bussola in oro - iniziai a sospettare che in Oriente non esistesse la povertà - e una borraccia, augurandomi la buona fortuna. Lo ringraziai e proseguii per la strada da lui indicata. Uscii dalla porta Ovest che era ormai il tramonto e mi preparai psicologicamente alla strada da percorrere. Non ero mai stata in un deserto e ne avevo terribilmente paura. Sembrava infinito, sconfinato... Ero spaventata dall'idea di perdermi in quella immensità. Continuai per tutta la notte, rendendomi presto conto dello sbalzo di temperatura: ringraziai nella mente Tito per quel mantello così pesante. Avevo terribilmente sonno, non mi ero fermata neanche un po' e non avevo intenzione di farlo fino a quando giunsi all'oasi. Lì, decisi di sostare per riprendere il cammino all'alba.
Dopo tre giorni, quando ormai avevo abbandonato del tutto la speranza e iniziavo a pensare di tornare indietro, intravidi delle mura altissime e imponenti all'orizzonte. Me ne rallegrai: la potenza di quella città e il mare - quelle scaglie brillanti che comparivano in lontananza - mi infondevano speranza e sicurezza, dopo tutta quella fatica e quella preoccupazione. Incoraggiai il mio cavallo e proseguimmo al galoppo. Arrivai in fretta alle porte, decorate con bassorilievi e spalancate, pronte ad accogliere chiunque. Accanto alle porte della città c'erano due torri con vedette e arcieri. Entrai insieme al viavai di mercanti, cittadini e carovane. Entrata, potei ammirare tutto lo splendore descritto con tanta meraviglia nei libri. Sorrisi tra me e me: s'ergeva, al centro della città, la reggia. Era bellissima. Brillava al sole, era decorata con diverse colonne marmoree ed era situata sopra un'immenso numero di scale. Intorno, era circondata da un cancello in cui c'era un grande giardino, con fontane e statue, fiori e piante. Mi diressi là, temendo che non mi avrebbero lasciato entrare, ma allo stesso tempo con il cuore che mi martellava in petto. Il cancello era aperto: mi fecero entrare, facendomi lasciare il mio cavallo nel cortile, accudito da dei servi - che non avevano l'aspetto di servi - appositi. Attraversai il giardino nascondendomi nel mio cappuccio nero, passando tra gli sguardi curiosi di alcune dame che passeggiavano tra le rose e di alcuni servi che s'occupavano del giardino. Salii la scalinata sudando per il caldo e per l'ansia. Stavo per essere condotta al cospetto di Carlo, il mio Re. Erano mille scalini, li contai uno per uno. E, arrivata sopra, mi voltai a guardare la città sotto di me. Da una parte il deserto, dall'altra il mare. Le persone sembravano puntini che si riversavano per le strade della città e le case bianche erano così belle alla vista. Poi, dopo aver contemplato quel paesaggio, mi decisi ad entrare.
La prima sala che incontrai aveva un pavimento in marmo bordeaux, decorato, mentre le pareti erano decorate da quadri e arazzi raffiguranti imprese di Re Carlo, ma anche di altri eroi e momenti di vita nella reggia. Non ero l'unica lì dentro, c'erano anche alcuni signori nobili poco più in là che chiacchieravano tra loro noncuranti della mia presenza. Quella stanza era gigantesca: la percorsi tutta fermandomi dinanzi ad ogni singolo quadro. Quando arrivai alla fine trovai una porta in legno, anch'essa spalancata. Mi chiesi inevitabilmente se Carlo non temesse i nemici: nessuno mi faceva domande, le porte erano tutte aperte. Oltre a quella porta c'era un'altra scalinata, percorsa da un tappeto rosso, con la ringhiera dorata. Le pareti non erano cosparse di quadri, ma di finestre colorate. Salii quegli scalini, non più stanca, ma estasiata dalla bellezza del luogo, e infine giunsi in una sala più piccola con diverse porte, in questa sala c'erano diversi tavolini con dame e nobildonne sedute intente a chiacchierare e a mangiare dolcetti. C'erano anche dei dondoli. Avrei voluto chiedere indicazioni, ma udivo solo greco, e non capivo. Mi bloccai pensando a cosa fare e decisi di proseguire a caso, anche se era una mossa un po' azzardata: quella reggia era immensa. Ma non importava, lì mi sentivo al sicuro. Vagai per altre stanze, per altre rampe di scale, per sale da museo e altre da banchetto, per i dormitori, per le terrazze, quando finalmente arrivai nella stanza situata più in alto rispetto a tutte le altre. La prima stanza ad avere la porta chiusa. Da lì, riuscivo a sentire delle voci provenire dall'interno e mi sorpresi nel constatare che non parlavano in greco, ma in latino. Ero come immobilizzata: sapevo di trovarmi di fronte alla Sala del trono. Tremavo, mi vergognavo di entrare, ma alla fine decisi di bussare comunque.

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