Sette: E non c'è mai una fine.

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Per noi non valgono i discorsi
Che il tempo aiuta a non pensarci
Perché noi siamo diversi
E tutti e due sappiamo bene che
Che non c'è mai una fine e che mi fai morire
Stringimi forte, amore, stringimi forte e non sentirò
Più niente ma solo il tuo cuore, e dimmi che hai capito pure te
Che non c'è mai una fine
La sensazione di sentirsi
Un corpo solo e di toccarsi
Solo scambiandoci sguardi

Per noi non valgono i discorsiChe il tempo aiuta a non pensarciPerché noi siamo diversiE tutti e due sappiamo bene cheChe non c'è mai una fine e che mi fai morireStringimi forte, amore, stringimi forte e non sentiròPiù niente ma solo il tuo cuore,...

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Atto settimo:
"La prima volta che abbiamo litigato"

La prima litigata fra Giulia e Carlos, e non una di quelle sciocche per la stanchezza, ma una di quelle pesanti, quelle con tante urla e tante lacrime, è stata sabato dieci ottobre duemilaquindici nella stanza numero 455 dell'ospedale di Sochi, con mezzo team Toro Rosso e due infermieri al di là della porta chiusa.

Le gare su monoposto, di terreno e di umano, avevano solo le immense paure, talvolta volutamente malcelate, altre racchiuse nella rabbia incontrollata che prendeva d'improvviso, mostrando al mondo e soprattutto a te stesso una parte di te che non volevi che venisse a galla. Poi c'era la rassegnazione, quella che si leggeva nello sguardo quando si abbassava la visiera del cappellino per nascondere gli occhi lucidi e stanchi. Gli istinti, quelli primordiali. Gli impulsi, quelli che spingevano oltre il limite del possibile. Le lacrime, quelle maledette lacrime che, in un modo o nell'altro, si versavano comunque. Giulia le aveva sempre odiate le lacrime, le odiava con tutta sé stessa, perché scendevano copiose per gioia, ma anche per dolore, quello che scavava dentro, quello di una gara fatta alla perfezione ma rovinata e nemmeno sapevi come, ed è peggio, peggio perché non c'era qualcuno con cui prendersela. Lacrime per bene, ma anche lacrime per male.

Le gare su monoposto, di etereo e spirituale, avevano l'assoluta bellezza della velocità, capace di far toccare il picco dell'adrenalina. Le forme delle vetture, studiate per essere sicure e agevoli, ma anche belle da far impazzire chi e non le guidava. Le curve e i rettilinei, un destra-sinistra-destra pieno di impegno e sforzo. I Pugni innalzati al cielo per la gloria della vittoria, perché per i piloti la perfezione era sempre il traguardo, la bandiera a scacchi che sventolava mentre sfrecciavano sotto di lei.

Quello dei piloti era un lavoro psicologico assai fine, studiato sotto certi aspetti. Allenavano la mente come se fosse il loro secondo corpo, tanto che sembravano abituati all'idea del rischio, mettendo a tacere, quando potevano, voci che gli ricordavano del pericolo e del male che portava guidare una vettura del genere. Ma era anche per quello che scendere in pista, per loro, era adrenalina incontrollata, pura eccitazione per le sinapsi. La vittoria fra le curve suicida ai 200km/h la volevano a tutti i costi. Lo dimostravano correndo, aggrappandosi alla vita, ridendone quasi, perché se facevano quello sport qualche rotella fuori ce l'avevano per forza, e magari piegandosi anche alle delicatissime e maledettissime carezze della morte, proprio come quelle a cui era andato incontro Carlos solo qualche ora prima.

Her for the First and Last time. ~Carlos Sainz~ [SOSPESA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora