CAPITOLO OTTAVO - MARCIRE

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10 settembre 2021

Era finalmente arrivato il giorno in cui avrei rivisto Charles e mi trovavo in macchina per andarlo a prendere a Caselle, dove il suo jet sarebbe atterrato a breve. Alla radio passarono "Be Alright" di Dean Lewis, canzone che io conoscevo alla perfezione, compreso il testo.

Strinsi la mano sinistra sul volante e tenni gli occhi fissi sulla strada, mentre la mia mente ritornò a due giorni prima...


Mi chiusi la porta alle spalle e scivolai a terra lentamente, con le ginocchia piegate al petto e gli occhi fissi nel vuoto. Poggiai la mano destra sul mio cuore, che aveva iniziato a battere all'impazzata, e cercai di prendere un minimo consapevolezza ciò che stava succedendo dentro e fuori di me.

Compresi la grande confusione che stava regnando nella mia testa e nel mio cuore nel momento in cui cercai di capire come mi stessi effettivamente sentendo dopo quello strano incontro con Paulo e la sua ragazza. Ero convinta che, dopo essermi imbattuta in lui nel momento in cui meno me lo sarei aspettata, niente più potesse sorprendermi e soprattutto che rivederlo non mi avrebbe fatto reagire in quel modo.

Il mio sentimento nei suoi confronti era per forza di cose diverso da prima, non lo amavo più, ma il mio cuore si era riempito di tristezza nel momento in cui ho incrociato il suo sguardo su quella porta. Vedevo i suoi occhi pieni di rabbia nei miei confronti, ma non c'era solo quello. Non riuscivo ancora a capire cosa fosse, ma l'avrei scoperto di lì a poco...

E poi c'era la sua ragazza. Cosa avevo provato quando avevo capito che Oriana non era né la nuova portinaia, né le nuova inquilina dell'appartamento numero dieci? Tante cose. Da una parte ero contenta che lui avesse ritrovato la felicità, dall'altro non potevo negare che vederlo con un'altra persona mi aveva creato un certo nodo alla gola.

La mia mente è sempre stata molto veloce, elastica, improntata all'immaginazione, e se questa viene spesso considerata una caratteristica positiva, che mi dona quel tocco un po' creativo solitamente non appartenente ad un ingegnere, dall'altra a volte purtroppo si rivela essere un'arma a doppio taglio. In quel momento, infatti, seduta sul pavimento a pensare a Paulo e la sua ragazza, la mia mente era corsa molto velocemente e aveva impresso nella mia testa immagini di loro due a fare le stesse cose che faceva con me, a scherzare come faceva con me, a guardarsi come ci guardavamo noi e subito il mio stomaco si era contratto, provocandomi una fitta che mi lasciò leggermente interdetta.

Era gelosia? No, era malinconia. Il problema non era la sua ragazza o il fatto che ne avesse una, il problema era che non avevamo mai chiarito nulla, era tutto rimasto lì appeso, come quando ti scordi di togliere il bucato dalla lavatrice e quello finisce per marcire. Io e Paulo eravamo marciti, il mio cuore lo era e il suo probabilmente ancora di più. Le avevo viste nei suoi occhi, tutte le parole che aveva dentro e che non aveva mai avuto modo di dirmi. Le avevo viste e di nuovo, per un secondo, sarei voluta scappare. Ma questa volta l'aveva fatto lui, togliendo lo sguardo dal mio e portando la sua ragazza dentro, come a dire "guarda, guarda cosa vuol dire scappare e come ci si sente a rimanere lì, fermi, senza poter fare nulla", e lo avevo capito.


...strizzai velocemente gli occhi, cercando in quel gesto un modo per far uscire dalla mia mente quelle immagini che negli ultimi giorni non mi avevano lasciato tregua, occupando più spazio e tempo di quello che avrei voluto avessero.

Mi capitava spesso mentre guidavo di perdermi nei miei pensieri e non essere totalmente presente, infatti mi accorsi solo dopo di essere arrivata all'ingresso dell'aeroporto, così parcheggiai la macchina e scesi per recarmi nel punto in cui Charles mi aveva detto di farsi trovare, un'uscita laterale che gli avevano consigliato di prendere per evitare di essere assalito dalle persone.

Abbassai lo sguardo sul telefono per assicurarmi che il posto fosse giusto e per controllare l'orario. Quando rialzai il capo vidi in lontananza qualcuno venire verso la mia direzione, così tolsi gli occhiali da sole per vedere meglio e notai il mio ragazzo, la cui camminata era per me inconfondibile. D'istinto sorrisi e cominciai a camminare più velocemente per arrivare a lui, che mi notò poco dopo e corse verso di me, prendendomi di peso e facendomi aggrappare a lui mentre lo abbracciavo.

"Ma diablesse, mi sei mancata da morire" proferì Charles stringendomi ancora di più sui fianchi e affondando la testa tra i miei capelli e la mia spalla.

"Tu ne m'as pas manqué du tout bel pilota" gli dissi io ironicamente, scoppiando a ridere.

"Ah no?" Mi rispose dopo avermi fatto scendere dalle sue braccia.

Io scossi la testa ridendo e lui assunse un'espressione molto furba, prima di iniziare a farmi il solletico nei fianchi, cosa che io soffrivo più di ogni altra.

"Basta, basta, ti prego, tregua" urlai cercando di divincolarmi, con il fiato ormai corto.

Lui finalmente smise di torturarmi e mi lasciò andare. Così, mi allontanai un attimo per guardarlo meglio e solo allora mi accorsi che quello era stato il primo momento davvero spensierato da quando ero tornata a Torino e di quanto effettivamente mi fosse mancato.

Di slancio gli presi il viso tra le mani e unii le mie labbra alle sue, in un bacio che sembrava quasi disperato. Probabilmente lui si accorse di questo strano impeto, così si staccò da me e incatenò gli occhi nei miei, accarezzandomi la spalla con la mano destra.

"Hey, hey, che succede?" Mi chiese con uno sguardo preoccupato.

Io cercai in tutti i modi di fingere che fosse tutto a posto, pur sapendo che, conoscendomi, non avrebbe bevuto alcuna scusa.

"Niente, ma mi sei mancato molto in questi giorni" gli sorrisi, sperando che bastasse a convincerlo. Lui annuì e così lo presi per mano, portandolo verso la macchina.

Durante il tragitto in macchina le nostre conversazioni oscillavano tra il discutere delle sue performance e degli sviluppi in cantiere tra gli ingegneri e i meccanici della rossa e io che gli facevo da guida turistica improvvisata.

Ovviamente avevo intenzione nei due giorni successivi, gli ultimi a disposizione prima di mettersi a preparare il GP di Monza, di fargli fare un bel tour di Torino, ma quella sera avremmo avuto la cena di gala organizzata dal presidente della Ferrari John Elkann e da suo cugino Andrea Agnelli, per cui avevamo davvero poco tempo.

Cercai di ignorare il buco nello stomaco che si era creato nel momento in cui mi era venuta in mente la cena e il fatto che, inevitabilmente, avrei incontrato nuovamente Paulo, e mi focalizzai sul qualcos'altro.

"Amore, scusa ma noi come ci andiamo alla cena? Ci vengono a prendere?" Mi venne in mente di chiedere, dal momento che l'unica macchina a disposizione era la 500 che mi era stata gentilmente prestata da Francesca per andare a prendere Charles.

"Nono, ho comunicato il nome dell'hotel alla mia segretaria e mi ha detto che ci portano qua la SF90, mentre Carlos e Isa verranno con la Purosangue. Non vedo l'ora di vederla"

Al sentire queste parole, i miei occhi si trasformarono in due cuoricini. La SF90 era una delle Ferrari che più preferivo, oltre all'iconica 488 di Charles. 

AD MAIORA || Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora