1 settembre 2021
È tendenza naturale dell'uomo interrogarsi sul tempo, chiedersi cosa ne abbia permesso la scansione, se essa possa definirsi tale o se sia solamente il frutto della nostra inclinazione verso il controllo nei confronti di qualsiasi cosa abbiamo di fronte. Infinite sono le teorie a riguardo, una in particolare però ha attirato la mia attenzione. Eh sì, parlo proprio di quel pazzo di Bergson. Secondo Bergson il tempo si presentava in due diverse forme, che lui chiama tempo della scienza e tempo della coscienza(o della vita).
Il tempo della scienza, assimilabile ad una collana di perle tutte uguali, è una successione di istanti e attimi ognuno uguale all'altro che si possono ricondurre ad una certa linearità, omogeneità e ripetitività, un tipo di tempo che secondo Bergson era riconducibile all'utilità.
Ma si sa, l'utilità non risolve il senso delle cose, non è l'unico scenario plausibile, per questo esiste il tempo della vita: un tempo soggettivo e interiore che non può essere scandito in attimi uguali a se stessi, perché per noi ci sono dei momenti di diversa importanza.
Passato, presente e futuro si intersecano nella vita, esiste questo flusso continuo in cui ogni cosa cambia e al tempo stesso permane. Vi chiederete dove. Beh, nella memoria, nei ricordi. Che cos'è infatti la memoria se non conservazione e assimilazione del passato nel presente? La memoria vive nella temporalità della durata.
Tutto questo per dire cosa? Che tutto ciò che viviamo, ogni cosa che suscita in noi una qualsiasi reazione, sia essa positiva o negativa, in qualche modo si imprime nel nostro cervello, nella nostra memoria appunto, in modo più o meno rilevante, in base all'importanza che gli diamo. È inutile cercare di dimenticare, è inutile cercare di capire perché il nostro corpo e la nostra mente reagiscano in una determinata maniera rispetto ad una cosa piuttosto che ad un'altra. L'unico potere in mano nostra è quello di decidere se indugiare nei ricordi, aggrapparsi al futuro o immergersi a capofitto nel presente.
Così mi voglio presentare, mi chiamo Ludovica Ranieri, ho venticinque anni e ho deciso di ricominciare a vivere il mio presente, incominciando proprio da oggi.
In questa splendida giornata di metà settembre, mi trovo seduta sull'aereo che mi porterà verso un luogo che ha lasciato un'impronta speciale nel mio cuore: Torino.
Quella splendida città così aristocratica che, come disse Calvino, "invita al rigore, alla linearità, allo stile, alla logica, e attraverso la logica apre alla follia". Quella città di cui mi ero profondamente innamorata, da cui tutto era partito. Quella città che aveva lasciato in me tantissimi ricordi, sia belli che brutti, amicizie importanti conservatesi nel tempo, altre che invece si sono rivelate inconsistenti, e poi...lui.
L'aereo decolla, e mentre saluto un'ultima volta Montecarlo, la mia mente atterra nel passato, ripercorrendo tutta la strada che esattamente tre anni fa mi aveva portato a lasciare il Bel Paese alla volta del Principato.
Vado con calma, riavvolgo il nastro e premo start.