22 settembre 2016
Dopo aver ottenuto la laurea triennale in Ingegneria meccanica all'Università di Modena e Reggio Emilia, avevo deciso di "cambiare aria". Modena aveva cominciato a starmi stretta, oltre al fatto che avevo appena passato un periodo turbolento della mia vita: crisi in famiglia, rottura con il fidanzato, litigi con le amiche. Roba da tutti i giorni direte. In effetti si, proprio per questo sin dall'inizio ero convinta di voler andar via. Com'è che si dice, città nuova vita nuova? Ad maiora allora!
Nonostante Modena rappresentasse il trampolino di lancio perfetto per quello che era il mio sogno, ovvero lavorare per una scuderia Formula Uno, convinsi i miei genitori a farmi frequentare la magistrale da qualche altra parte. Cercavo un bel posto, una città grande ma non troppo, caotica ma non troppo, ma soprattutto lontana. Quando ho trovato Torino tra le varie opzioni non mi sembrava vero. Sarebbe stato perfetto.Così in men che non si dicesse mio padre, da buono e apprensivo medico quale fosse, si mise subito alla ricerca di un appartamento che avesse qualsiasi tipo di comfort e che, soprattutto, si trovasse vicino ad ogni tipo di struttura utile in caso di emergenza. Non fraintendete, per quanto possa sembrare, non sono mai stata una ragazza viziata, testimone il fatto che ognuna delle quattro volte in cui ho rotto lo schermo del telefono, ho dovuto dare la pappa e pulire il culo ad un bambino di un anno per avere abbastanza soldi da potermelo ricomprare da sola. Che disagio.
Ad ogni modo, in pochi giorni, sfruttando le sue conoscenze, mio padre mi aveva trovato un monolocale in pieno centro storico, all'interno di un palazzo antico appena ristrutturato.
Mia mamma, importante avvocato divorzista, avendo una causa in corso, non era riuscita ad accompagnarmi, mentre mio padre, data la sua posizione, era riuscito a prendere un giorno di permesso, giusto il tempo di aiutarmi a traslocare. Anzi, in realtà nemmeno quello. Mi trovavo infatti all'entrata del palazzo, con le valigie in mano e non so quante scale da fare.
Con un pizzico d'ansia suonai il campanello in ottone sopra il quale c'era la scritta "portineria". Ad aprirmi fu un uomo sulla settantina, di bassa statura, con i capelli brizzolati e delle evidenti rughe ad incorniciargli il volto. Gli sorrisi.
"Salve, mi dispiace disturbarla, ma sono talmente stanca da non riuscire a trovare le chiavi" cercai di sembrare il più spontanea possibile, anche se le mie espressioni facciali mi tradivano sempre.
"Non c'è alcun problema signorina, la vedo molto provata, mi dia pure le valigie, gliele porto io!"
Rimasi interdetta da tanta gentilezza, così gli sorrisi e strizzai gli occhi per riuscire a leggere il nome nella targhetta che portava sul taschino destro.
"La ringrazio signor Franco, ma non c'è problema, le posso tranquillamente portare io"
"Chiamami solo Franco, e per favore, dammi del tu, altrimenti mi fai sentire vecchio" mi disse accennando un sorriso e scoprendo i suoi denti ingialliti e consumati dal tempo.
In risposta io annuii, facendogli un cenno con la mano e riportando l'attenzione sulle scale che avrei dovuto salire.
"Comunque in fondo a sinistra può trovare un ascensore, signorina..."
"Ludovica Ranieri, ma...solo Ludovica sarebbe perfetto" finii la sua frase ottenendo in risposta un accenno da parte sua.
Concluso il dialogo con il simpatico portinaio, mi incamminai ed entrai in ascensore, spingendo il bottone con il numero del mio piano.
Appena si furono aperte le porte, con fatica riuscii ad uscire da quell'aggeggio metallico e mi guardai intorno, notando due porte, appartamento 9 e 10. E mo?