29 Febbraio 2024, Bahrain
"È molto fortunato ad averti come zia. Hai fatto il possibile per rendere i suoi ultimi ricordi così belli per lui, guarda dove sei riuscita a portarlo."
Alessia sobbalzò dallo spavento, portandosi subito una mano sul petto e spostando lo sguardo sul monegasco, che le si era avvicinato senza che lei se ne accorgesse. Rimase a guardarlo per qualche istante in completo silenzio, poi tornò a guardare il nipote, impegnato a chiacchierare con Carlos Sainz, compagno di squadra di Charles.
"Mi dispiace, non volevo spaventarti." Si affrettò subito ad aggiungere, notando poi quanto tremassero le mani della ragazza; seguì il suo sguardo verso Edoardo e capì immediatamente quale fosse il problema: stava pensando a quando lui non ci sarebbe più stato.
Charles conosceva molto bene quella sensazione: era la stessa che aveva provato lui stesso qualche anno prima, quando aveva scoperto che suo padre era malato e che aveva pochissime speranze di poter sopravvivere ancora a lungo. Ricordava ancora tutto il dolore di allora e non invidiava affatto la situazione in cui si stava trovando quella famiglia, soprattutto nella posizione della sorella e del cognato di Alessia. Poteva solo immaginare il dolore che si può provare nel vedere il proprio figlio morire davanti ai propri occhi, piano piano, giorno dopo giorno, mese dopo mese.
Perché alla fine si trattava solo quello: tempo.
"Non qui, ci sono le telecamere." Sussurrò poi quando vide Alessia portarsi una mano sulle labbra e abbassare il viso verso terra, lasciando che i capelli le coprissero il viso, in parte. "Merde, je suis désole. Je ne voulais pas te faire pleure, venez avec moi s'il vous plaît."
Alessia alzò appena lo sguardo, confusa. Aveva le guance rigate dalle lacrime, che aveva cercato di trattenere per tutte le ore precedenti, anche durante le prove libere uno, quando aveva guardato il nipote così felice con le enormi cuffie protettive della Ferrari in testa.
"C-Come?" Chiese a quel punto con un filo di voce, cercando di trattenere i singhiozzi. "Non... non so così b-bene il francese."
Charles si sentì subito in imbarazzo, lanciò uno sguardo a Carlos per chiedergli di restare ancora un po' con Edoardo, poi la prese per mano e la invitò a seguirlo sul retro, dove nessuna telecamera poteva avere l'accesso.
Solo Joris e Antoine potevano seguirlo dove stava per andare, ma con uno sguardo d'intesa riuscì a far capire loro di non seguirli, di restare con Carlos e riprendere le scene commoventi del piccolo Edoardo in compagnia del suo compagno di squadra.
"Scusa, a volte penso in una lingua e parlo in un'altra." Si scusò immediatamente, aprendole una delle tante porte rosse ed invitandola ad entrare all'interno di quella che sarebbe stata la sua driver room per quella stagione. "Non volevo che piangessi, specialmente davanti alle telecamere. Ho pensato che portarti qui potesse aiutarti in qualche modo, sai... sapere di non essere vista dal resto del mondo in un momento di debolezza."
Alessia si guardò intorno per qualche istante, cercando di riprendere fiato e di regolarizzare il respiro, oltre allo smettere di piangere come una bambina; quando ci riuscì parzialmente, si voltò immediatamente nella sua direzione e sgranò gli occhi, preoccupata.
"Non posso stare qui, Edoardo ha bisogno di me, non posso lasciarlo da solo."
Il monegasco si frappose fra lei e la porta prima che lei riuscisse ad afferrarne la maniglia; era troppo sconvolta per tornare di là e soprattutto per farsi vedere da suo nipote. Avrebbe sicuramente capito che qualcosa non andava e si sarebbe intristito anche lui.
"Aspetta un attimo, resta qui e respira un attimo. Edoardo è con i miei amici e con Carlos, gli faranno vedere qualche aspetto particolare della macchina mentre noi siamo qui. Siediti avanti, hai bisogno di calmarti prima di tornare da tuo nipote."
Si avvicinò al minifrigo che aveva in stanza, recuperò due bottigliette d'acqua e gliene porse una, accennando un piccolo sorriso. "Ho solo acqua naturale, spero non sia un problema."
La giovane donna rimase ferma per qualche istante, accettando l'acqua senza neanche trovare la forza per ringraziarlo; stava facendo il possibile per evitare di piangere davanti ad uno sconosciuto, soprattutto visto che quello sconosciuto altro non era che l'idolo di suo nipote e uno degli uomini più attraenti che lei avesse mai visto.
Alessia aveva così tanti, troppi pensieri in testa.
Si sentiva stupida perché si era messa a piangere davanti a delle telecamere.
Si sentiva stupida perché, invece di sorridere per l'esperienza che potevano vivere lei ed Edoardo, era solo più triste.
Si sentiva stupida perché non aveva insistito oltre con Elena e Riccardo, che invece erano da soli in tribuna, sotto il sole.
Si sentiva stupida perché stava piangendo davanti a Charles Leclerc.
Si sentiva stupida perché aveva lasciato da solo suo nipote, anche se in compagnia dei suoi idoli.
Si sentiva stupida perché stava così male.
Si sentiva stupida perché stava perdendo tempo prezioso che poteva passare insieme a suo nipote.
E invece lei era li: seduta immobile su uno dei divanetti più scomodi che avesse mai sentito, a fissare la bottiglia d'acqua che le era stata offerta da Charles, un pilota di formula uno.
Perché lui stava facendo tutto questo?
Perché si era preoccupato di allontanarla prima che si mettesse a piangere come una bambina davanti a decine e decine di sconosciuti?
Perché si era preoccupato di assicurarsi che lei stesse bene?
"Respira."
La sua voce calda ridestò Alessia dai suoi stessi pensieri; riportandola alla realtà quando un tocco delicato si posò sulle sue mani.
Abbassò subito lo sguardo e vide le proprie mani tremare così tanto che l'acqua, all'interno della bottiglia, stava vibrando come se fosse scossa da un maremoto.
Non aveva mai tremato cosi tanto.
Non aveva mai perso il controllo in quel modo.
Cercò disperatamente di controllare le mani, di tenerle il più ferme possibile ma, l'unico risultato che ottenne, fu ritrovarsi a tremare ancora di più e, quella volta, non solo alle mani.
Iniziò a tremare tutta, sentendosi incapace di controllare il proprio corpo in tale situazione
Il respiro le incominciò a bloccarsi in gola, facendola andare ancora più nel panico.
"Respira." Cercò di ripetere a se stessa, pensando alle parole di Charles, che era rimasto davanti a lei tutto il tempo, senza mai togliere le mani da quelle di lei.
Ma non ce la fece.
Non riusciva più a respirare.
Aveva la costante sensazione di essere bloccata in un corpo non più suo, non più sotto il suo controllo.
Era vittima di un attacco di panico, il primo che avesse mai avuto da quello che ricordava e non sapeva come reagire, come combatterlo.
"Ehi, ehi." La voce calda e rassicurante del monegasco riuscì a malapena ad attirare la sua attenzione, anche se gli occhi di lei saettarono per tutta la stanza prima di incrociare il suo sguardo. "Guardami negli occhi e fai come me. Inspira. Espira. Inspira. Espira."
Mentre diceva quelle parole, Charles continuava a stringerle delicatamente le mani, facendo dei respiri profondi che seguivano lo schema, in modo da poter creare un riferimento per lei.
Era una tecnica che aveva sempre funzionato su suo fratello più piccolo, Arthur.
Charles ricordava ancora le notti in cui il fratellino si svegliava in preda al panico, non riuscendo più a respirare e a controllare se stesso; quegli attacchi continuarono durante tutta la malattia del padre e si protrassero anche dopo la morte di Hervé, almeno fino a quando Arthur non chiese finalmente aiuto alla madre Pascale, accettando di andare da uno psicologo.
Era stato un periodo duro per tutta la famiglia e per Arthur lo era stato ancora di più; aveva perso il papà troppo presto e Charles aveva promesso a se stesso che avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarlo. Proprio per questo motivo cercò di colmare il più possibile la mancanza del padre, cercando di diventare lui stesso un punto di riferimento per il fratello minore.
Alessia seguì le indicazioni del monegasco senza mai distogliere lo sguardo dalle iridi color smeraldo che aveva davanti, a pochi centimetri di distanza. Riusciva quasi a vederne i dettagli e, se non fosse stata così impanicata, sarebbe quasi stata meravigliata da quegli occhi.
La ragazza impiegò almeno cinque minuti, se non di più, per ritrovare finalmente un po' di calma; rimase seduta dov'era, con ancora le mani di Charles sulle proprie e con lo sguardo ancora fisso sui suoi occhi.
Aveva paura di muoversi perché temeva che sarebbe ricaduta in quel vortice profondo se lo avesse fatto, per questo non distolse lo sguardo neanche quando le sue mani smisero di tremare.
"Così." Il monegasco le donò uno dei suoi migliori sorrisi e Alessia non poté fare a meno di restare veramente meravigliata dalla solarità che quel ragazzo trasmetteva.
Lo aveva conosciuto solo poche ore prima e aveva gia fatto cosi tanto per lei e per Edoardo, neanche riusciva a capire per quale motivo fosse così gentile con lei.
Nessuno lo obbligava ad esserlo.
Nessuno gli avrebbe mai detto qualcosa se avesse fatto finta di nulla o se avesse ignorato quella storia; poteva benissimo evitare di fare i salti mortali per farsi dare quei pass, eppure lo aveva fatto e l'aveva anche salvata dall'imbarazzante possibilità di finire in televisione nel bel mezzo di un attacco di panico.
"Bevi un po' ora. Aspetta, però..." Charles le prese la bottiglia dalle mani, molto delicatamente, poi girò il tappo, gliela aprì e la porse di nuovo alla ragazza, con il solito e rassicurante sorriso sulle labbra. "Bevi un po': ti sentirai meglio."
La ragazza abbassò lo sguardo sulla bottiglietta, la strinse delicatamente fra le dita e se la portò alle labbra lentamente, con mano tremante. Bevve qualche sorso con molta calma, poi chiuse gli occhi e fece un ultimo respiro profondo, ritrovando finalmente un po' di controllo sul proprio corpo e sul proprio respiro.
"Grazie."
Disse solo questo: non aggiunse nient'altro.
Non le serviva esplicitare per che cosa lo stesse ringraziando, non le serviva ringraziarlo con paroloni o frasi fatte. Doveva solo ringraziarlo, doveva solo ringraziarlo per quello che aveva fatto per lei, per averla aiutata a calmarsi e per averle impedito di farsi prendere dal panico davanti ad altre decine e decine di persone, per non parlare delle telecamere e dei cellulari che li stavano riprendendo.
"Non devi ringraziarmi." Disse semplicemente il monegasco, donandole un altro sorriso quando la ragazza riaprì finalmente gli occhi.
Alessia rimase a guardarlo per qualche secondo, tenendo lo sguardo fisso sui suoi occhi verdi e cercando di mantenere il respiro regolare, nonostante si sentisse praticamente perforata da quello sguardo così intenso.
E non erano nemmeno gli occhi di quel bellissimo verde acqua a rendere il tutto così difficile, non era il viso angelico del monegasco, che sembrava essere stato fatto quasi su misura, ne tantomeno le fossette che aveva sulle guance.
Era lo sguardo.
Erano tutte quelle cose insieme.
Non era una sola cosa a renderlo così accattivante e, allo stesso tempo, intenso: era tutto l'insieme.
"Perché lo hai fatto? Perché ci stai aiutando così? Non.... Non ci conosci nemmeno e in meno di ventiquattro ore hai reso mio nipote il bambino più felice del mondo e mi hai anche aiutata a superare un attacco di panico."
Charles sorrise, alzandosi finalmente da quella posizione poco comoda e sedendosi al fianco di lei, che non si era più mossa di un centimetro dopo aver avuto l'attacco di panico; rimase in silenzio per qualche secondo, pensando, poi alzò lo sguardo verso il soffitto, quasi spontaneamente, lasciandosi sfuggire un piccolo sorriso.
"Mi ricordi mia madre e, allo stesso tempo, mi ricordi anche me stesso."
Alessia rimase ad ascoltarlo in silenzio, alzando lo sguardo verso il monegasco e aspettando una spiegazione più chiara.
"Ho perso mio padre qualche anno fa." Spiegò infine, allungando le gambe e stiracchiandosele leggermente. "Lo sguardo che avevi prima era lo stesso che ho visto su mia madre per mesi, durante la malattia, mentre il modo in cui ti sei sforzata per rendere questo giorno così bello per Edoardo... beh, mi ha ricordato tutte le gare che ho fatto con l'unico obbiettivo di vincere, per arrivare in formula uno in tempo e rendere mio padre orgoglioso."
Alessia lo guardò, quasi sorpresa del sentirgli dire una cosa così importante.
Si conoscevano solo da poche ore, eppure le aveva confidato una parte della sua vita così delicata; prima che potesse chiedergli per quale motivo, Alessia si ritrovò a fare esattamente lo stesso.
Non sapeva neanche lei perché lo fece, ma decise di non porsi troppe domande e di seguire il proprio istinto: fidarsi e confidarsi.
"La cosa che più mi terrorizza è sapere che Edoardo è a conoscenza delle sue condizioni di salute. Lui sa che sta morendo, eppure riesce a sorridere e a focalizzarsi su queste belle giornate. Vederlo pieno di vita sapendo che domani potrebbe...." Lasciò la frase in sospeso, non riusciva neanche a dirlo, non riusciva neanche a pensarci. "Mi chiedo come faccia e, allo stesso tempo, penso a quanto sia ingiusta la vita. Ha solo otto anni e ha visto più ospedali di chiunque altro bambino della sua età. Per questo ho fatto il possibile per cercare di attirare la tua attenzione questa mattina: potrebbe succedergli qualcosa andare a domani e non potevo permettere di perdere un'occasione. Con la malattia che ha bisogna pensare giorno per giorno e sapevo che dovevo provarci, dovevo provare a fargli avere almeno un autografo. Ma non ci sono riuscita e se non avessi incontrato il tuo amico Antoine, probabilmente Edoardo non sarebbe così tanto felice. Non lo vedevo sorridere così da molto, moltissimo tempo."
Restò silenzio per qualche minuto, ma a nessuno dei due diede fastidio.
Non era un silenzio assordate o imbarazzante; era un silenzio che sapeva di pace.
Avevano in qualche modo aperto parte del loro cuore all'altro e, anche se la cosa sembrava essere assurda e senza senso pure per loro, non si pentivano affatto della scelta fatta.
"Torniamo di la, cosa dici?"
Chiese Charles dopo un po', porgendole una mano e donandole un altro sorriso.
Alessia annuì, posò la mano sulla sua e si alzò dal divanetto, lasciandosi andare, finalmente, ad un vero e sincero sorriso.~•~
Eccoci qui con il capitolo cinque!
Voglio come al solito ringraziarvi per i voti e per i commenti che avete lasciato sugli altri capitoli: leggo tutto, anche se a volte non ho tempo di rispondere.
Vi ringrazio ancora e ci vediamo settimana prossima con il capitolo 6!
Saragarnier
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Make-A-Wish|| Charles Leclerc
FanfictionAggiornamenti ogni Sabato La speranza è sempre l'ultima a morire, ma quando anche quella sparisce rimane solo una cosa: un desiderio. Per esaudirlo, però, non ci vogliono solo sacrifici e impegno, ci vuole anche coraggio, coraggio di ammettere che n...