39. Accordi

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L'autunno non era la stagione migliore per avviare un'attività di property management, ma nonostante ciò avevo già acquisito due ville con piscina, un paio di trilocali in centro, in aggiunta ai due appartamenti miei e di Patricia ormai vuoti da mesi

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L'autunno non era la stagione migliore per avviare un'attività di property management, ma nonostante ciò avevo già acquisito due ville con piscina, un paio di trilocali in centro, in aggiunta ai due appartamenti miei e di Patricia ormai vuoti da mesi. Stavo tornando da un sopralluogo di un appartamento sul lungomare, per il quale avevo già praticamente concordato i termini del contratto.

Pioveva a dirotto e ringraziai il Signore che la villa di Christian avesse il garage collegato direttamente alla casa.

Non trovai nessuno in soggiorno, così mi diressi verso la veranda che ospitava una piccola piscina coperta e riscaldata.

Lasciai cadere la giacca sul divano e mi levai gli stivali prima di entrare nel dehor.

Christian stava facendo fare i tuffi dal bordo piscina a Gioia. Provai il solito moto di rabbia nel vederlo semi-nudo. La sua pelle era ancora abbronzata e i suoi addominali sempre più scolpiti. Il costume, appesantito dall'acqua, gli cadeva mostrando un po' troppo le fosse iliache.

Avrei evitato volentieri di vederlo in tutto il suo splendore, ma d'altra parte non potevo nemmeno non salutare mia figlia.

«Piccola, ti verranno le branchie se non la smetti di passare tutte quelle ore in piscina!»

«Mamma ciauuuu! Io pesciolino Splash.»

«Vedo, vedo quanti Splash fai!»

Mi inginocchiai al bordo per salutarla e lei si divincolò dalle braccia del padre per raggiungermi a nuoto da sola. Era davvero spericolata.

Christian si immerse per sorreggerla da sotto e per sollevarla fino al mio viso, in modo da permetterle di schioccare un bacio sulla guancia.

Quando riemerse, mi ritrovai troppo vicino al volto del padre il quale prese a sorridere in modo ammaliante. La luce che splendeva nei suoi occhi quando giocava con nostra figlia era qualcosa che mi lasciava ancora senza fiato.

«Ben tornata a casa, Diana. Come è andato il tuo incontro di lavoro? Ti unisci a noi?»

Sbuffai senza rispondergli. Con uno scatto colmo di rabbia mi rimisi in posizione eretta.

Lo odiavo ancora di più quando si comportava come se nulla fosse. Quella convivenza forzata era già sufficiente a far alimentare il rancore nei suoi confronti, ma il fatto che lui perseguisse ad essere sempre carino e accondiscendente, nonostante il mio atteggiamento scontroso, mi dava veramente sui nervi.

Girai i tacchi per andarmene e mi accorsi delle due figure che stavano sorseggiando dei cocktail sulle poltroncine in rattan sintetico.

«Ciao Principessina! Come stai?» mi salutarono all'unisono.

Ricacciai indietro lo stupore e cercai di ricambiare il saluto senza far trasparire le mie emozioni.

«Emil... Iano... Bene, grazie.»

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