4. KATE.

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       CHRIS: Sono fuori.

Ah, beh, grazie mille, Chris.

Sto chiudendo l'ennesimo scatolone, quando mi arriva il suo messaggio. Mi mancano ancora tre viaggi da fare e non ho idea di come faremo a far stare tutta la mia roba nel cofano della sua auto.

       IO: Ci sono quasi.

Metto via il telefono e continuo ad impacchettare cose.

Ho implorato il padrone di casa, il simpaticissimo Mr. Young, di concedermi un giorno in più per il trasloco, ma naturalmente non ha accettato. Anzi, si è voluto assicurare che portassi via tutto entro la mattinata e ora è qui fermo sullo stipite della porta dell'ingresso che osserva ogni mia mossa.

Non mi aiutare, tranquillo. Stronzo.

Mi aggiro nell'appartamento come se fossi l'angelo della morte. Non mi lavo i capelli da tre giorni; credo proprio che il castano delle mie ciocche ora sia diventato più scuro. La fortuna di avere i capelli lisci è che perlomeno mi salvo sempre con una maldestra coda di cavallo.

  «Ti ricordo che hai una settimana per pagarmi gli arretrati, Kate», continua. «Facciamo che te ne concedo due perchè mi sento generoso».

Lo fulmino chiudendo gli occhi in due fessure. 'Oh, beh. Grazie tante', vorrei dire, ma proseguo con l'operazione imballaggio.

Quando finalmente ho finito e sono nell'androne, ho tre chiamate perse di Chris e una di Alex. Sì, ho detto Alex, perchè mi sono permessa di registrarlo così sul telefono. In fondo è il mio padrone di casa – più o meno - e credo che abbiamo già superato la fase de' rompere il ghiaccio.

Certo, Kate, continua a ripetertelo.

Lanciando un'ultima occhiata al monolocale, raggiungo Mr. Young alla porta. «Fatto», continuo.  «Ecco, le chiavi».

Le afferra per chiudere la porta e se le infila in tasca.

Fa un cenno con la testa. «Vuoi un abbraccio, per caso?», dice, laconico, come a dire 'levati dai piedi'. E io non me lo faccio di certo ripetere due volte. Con uno degli scatoloni in mano mi avvio verso l'ingresso, ma prima di uscire volto la testa giusto il tanto di guardarlo di sfuggita.

  «Ah, David», faccio una pausa. «Non è stato un piacere per me». Lo sento imprecare quando Chris mi raggiunge alle scale e mi prende lo scatolone. «Ce ne hai messo di tempo eh, nel frattempo gli ABBA hanno fatto uscire una nuova canzone», sbuffa. Ho già sottolineato la passione per la disco dance di Chris?

Scuoto la testa, alzando gli occhi al cielo. «Tu e i tuoi paragoni musicali». Lo seguo fino all'auto e ci mettiamo una buona mezzora per sistemare tutto tanto che il cofano si chiude a fatica.

  «Ripetimi ancora chi è questo Alex Rendel», dice, uscendo nel parcheggio.

Faccio spallucce. «Forse è un serial killer o forse è un angelo custode». In effetti, devo ancora capire a cosa devo tutta questa generosità, ma sono sicura che lo scoprirò molto presto. Spero.

Chris si schiarisce la voce.

  «Ehm... Dovrei badare al fatto che tu abbia detto 'serial killer'?». Scaccio l'aria con la mano. «Ma va, stavo solo scherzando». Vedo che mi guarda di sottecchi.

  «Mah, sarà. Stai attenta, comunque. Devo ricordarti di Jennifer?», chiede, riferendosi ad una delle stronze più colossali che io abbia mai conosciuto. Che sarebbe anche poi una delle sue colleghe dell'ufficio e anche una delle vittime di uno stalker del suo quartiere che dopo due appuntamenti aveva iniziato a perseguitarla. Per fortuna lo aveva denunciato e lui era stato allontanato. Aveva corso un bel rischio, allora. Non che la questione l'avesse resa meno stronza.

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