12. KATE.

852 48 57
                                    

C'é voluta tutta la mia forza mentale per non scoppiare a piangere nell'Audi nero perlata di Alex mentre mi riportava al suo appartamento.

Non abbiamo aperto bocca per l'intero tragitto. E per certi versi è stato meglio così.

Non ho bisogno di un promemoria su quanto la mia dignità abbia toccato il fondo, ne tantomeno del suo sguardo colmo di pietà.

L'unico rumore che riverberava fra la pelle dei sedili era quello dei miei sospiri, talmente forti quasi da spostare il perfetto tessuto inamidato della sua giacca nera.

Dopo avermi riaccompagnata a casa e essermi scusata con un mal di testa, mi sono fiondata in bagno e nascosta dietro la porta.

Un peso si è sollevato dalle mie spalle quando ho sentito la porta dell'ingresso chiudersi e Alex andare via.

Per quanto avessi voglia di vederlo e non stare sola, avevo bisogno di un momento per me. Avevo bisogno di una doccia gelata che lavasse via la merda delle ultime ore.

Inutile dire che sono rimasta sotto il getto fino a farmi diventare le dita viola. Mi sono poi fiondata dritta al locale senza nemmeno asciugarmi i capelli.

Sì, capelli bagnati e freddo newyorkese, non vanno d'accordo, ma il giretto alla centrale mi è costato più di quattro ore di lavoro e sorpresa, sorpresa, un richiamo.

Ci manca solo che ora diventi disoccupata così si che il quadro sarebbe completo.

Lavoro le ultime tre ore del turno senza neanche fare una pausa perché il locale è pieno. Se non altro ho la testa occupata dagli ordini e dal frastuono autunnale tipico di questo periodo.

Non sono credente - nonostante mio padre fosse un pastore - ma giuro che se esiste un Dio o se esiste la Reincarnazione e rinasco in qualche altro corpo o oggetto, mi incazzo come una iena.

Sto seriamente valutando di aggiornare il mio curriculum e inserire 'arresto per insolvenza e aggressione' alla voce: "Esperienze personali".

Mi domando quanti punti bonus mi darebbe a un prossimo colloquio...

Sono ufficialmente l'incubo di ogni padrone di casa. E ora avrò pure la fedina penale sporca se Alex non farà del suo meglio.

Ho lavorato con alcuni suoi colleghi a qualche caso anni fa e ricordo che sapessero il fatto loro.

Nell'ambiente gli chiamano "Gli squali". Saprebbero tirare fuori di prigione pure Charles Manson.

Speriamo sia vero dato che al momento io sono solo un pesce pagliaccio morente che affoga in un mare di merda.

Letteralmente.

Sto tirando giù la serranda con Jeremy, quando scorgo Alex poggiato sul cofano della sua auto.

Gli lancio un'occhiata nervosa con un sorriso tirato.

Perché è qui?

Dio, se avessi una pala mi scaverei un fosso così profondo da non far ritrovare neanche un'unghia del mio pollice.

Infilo le mani nelle tasche; Jeremy fa la mia stessa strada quindi si ferma con me quando raggiungo Alex.

E il primo a parlare è proprio Jeremy.

«Buonasera, Alex. Io sono Jeremy, credo non ci siamo ancora presentati ufficialmente», gli sorride in grande stile, porgendogli la mano.

Alex si scosta dall'auto e ricambia il saluto.

«Piacere mio, Jeremy», si volta verso di me, «Ciao Kate». Faccio un cenno assente con la testa. Incrocio le braccia al petto pronta a sentire cosa abbia da dire.

Unthought of LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora