28. Universo dentro

126 4 5
                                    

Sono già sdraiato sul fondo della Bagnarola a guardare le stelle da mezz’ora quando Chri si affaccia dal bordo. Per fortuna, mi sono portato una coperta perché in spiaggia il vento è implacabile.

«Scusa. Un paio di stronzi hanno ordinato la pizza alle nove. Ho fatto prima possibile.»

La sua espressione è così contrita, che sono combattuto tra la tentazione di prenderlo per il culo e il desiderio di tirarlo dentro e baciarlo. Sorrido.

«Non importa. Basta che ti togli quel cappello ridicolo.» Mi mostra il medio.

«Fammi posto, dai,» dice, saltando a bordo con la delicatezza di un leone marino.

«Ahia! Stai attento! C’è la mia mano, lì sotto.» Sono praticamente bloccato sotto il suo peso e non è poi tanto sgradevole. Lui ride.

«Zitto, te lo meriti. Ti sei permesso di offendere il mio cappellino bellissimo. E dammi un pezzo di coperta che c’è un freddo pauroso.» Lottiamo un po’ e alla fine cedo. Non è affatto male condividere la coperta.

«Sono contento che tu sia di buon umore,» aggiunge, più serio.

Adesso siamo sdraiati fianco a fianco. Lo spazio nella barca è pochissimo, così riesco a sentire il suo calore attraverso la stoffa dei vestiti e i suoi capelli che mi solleticano la guancia. Il suo odore mi avvolge. Shampoo e sigaretta. È il tipico odore della sua pelle, che riconoscerei tra mille e che adoro quando mi resta addosso.

«Ero preoccupato» sussurra cercando il mio sguardo.

«Lo so. Scusami. Sto meglio ora. Cioè, è durissima, non so se mi passerà mai del tutto. Ma parlarne mi ha fatto bene. Hai ragione tu, devo andare avanti.»

Mi prende la mano e intreccia le dita alle mie. La sua pelle è molto più calda.

«Non ti deve passare, Matti. Devi solo imparare a conviverci.»

In qualche modo, sento che parla di me, ma anche di sé stesso.

«Ci sono cose nella vita che non devi dimenticare, perché devono diventare parte di te. Siamo la somma dei nostri vissuti. Tutto insegna, anche gli errori, il dolore. Soprattutto, il dolore. L’importante è non dimenticare chi sei.»

«Già,» mormoro «lo penso anch’io.»

Nessuno di noi aggiunge altro.

Rimaniamo lì, abbracciati in quello spazio angusto, ad ascoltare il suono della risacca.

«L’ho vista, sai?» Sussurra poi «Mia madre, dico.»

«Intendi il fantasma di tua madre?» Annuisce.

«La prima volta ero al faro. Avevo fumato. So cosa penserai, che è stato per quello, ma no. Era lei, te lo giuro. Mi sono svegliato ed era lì, davanti a me, i capelli mossi da un vento che non c’era, come nel disegno. Piangeva. Mi guardava e piangeva, come se volesse chiedermi scusa per avermi lasciato. E quel giorno l’ho perdonata.»

Mi mordo un labbro, non so che dire. È difficile per me credere a certe cose. Se non si trattasse di lui, penserei che mi stia prendendo in giro.

«Mi crederai matto, lo so. Non l’ho detto a nessuno, nemmeno a mio padre. Probabilmente mi farebbe fare un TSO,» aggiunge ridendo.

Non è una risata allegra. Scuoto la testa, molto lentamente ma in un gesto deciso.

«No, non sei matto.» mormoro «sono felice che tu me ne abbia parlato.»

«Ci sono cose che non se ne vanno, Matti. Si assestano lì e diventano parte del tutto.» Sì, forse è proprio così.

Resto in silenzio per un po’ «Ho parlato con mia madre,» dico alla fine.

Universo Dentro - Zenzonelli VersionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora