24. Lettere

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I giorni successivi passano lenti e noiosi. Il pensiero del matrimonio di mio padre mi accompagna continuamente, anche se cerco di evitarlo. In realtà, però, non penso praticamente ad altro. Non ho voglia di vederlo e odio l’idea che sarò io ad andare da lui, alla fine.

E poi, c'è Chicco. È bastata una canzone perché il suo ricordo tornasse a infestare i miei incubi. Finché Chri è con me, riesco a restare intero, ma appena scende la notte, mi sento di nuovo soffocare. E non c’è verso di dormire. Sto tentando da un’ora di finire quella canzone che mi ronza in testa da giorni, ma non vado in nessuna direzione.

Ci rinuncio e intono le note di Down in a Hole degli Alice in Chains, ma è inutile. Oggi nemmeno la musica riesce a scrollarmi di dosso la negatività. Guardo fuori dalla finestra. È una giornata nebbiosa e, a tratti, si sente il fischio del faro. Quello in rovina è nascosto dalla coltre di foschia, a parte la cima della torre della lanterna, che sbuca come fosse sospesa sul mare. Adesso sembra davvero stregato. Vorrei tanto essere là. Con Chri.

Mi volto a guardarlo e sorrido. L’ho trascurato un po’, in questi ultimi giorni. Siamo insieme, ma la mia testa è altrove.

«Perché hai smesso di suonare?» Si lamenta.

È sdraiato sul pavimento a pancia in giù, i libri di matematica aperti davanti a lui. Con una biro, disegna sul margine della pagina. Mi sporgo a vedere: un’isoletta minuscola in mezzo al mare, una piccola barca con due remi e qualche gabbiano che svolazza qua e là.

«Come ha fatto quella barca ad arrivare sull’isola?» Chiedo.

Sorride, ma non risponde. Mi arrampico su di lui, pancia contro schiena, e inizio a baciarlo sul collo, facendogli il solletico. Lui ride.

«Insomma,» continuo suadente «l’isola è piccola, poco più di uno scoglio, ma non vedo nessun marinaio. Qualcuno deve aver pur remato per arrivarci, no? Dovresti disegnarne uno. Un bel marinaio carino, con i miei occhi. O due. Meglio due,» concludo, candido.

Chiude il libro e si volta, spostandomi di peso in modo tale che alla fine mi trovo sdraiato sopra di lui, faccia a faccia.

«Non mi hai risposto. Perché hai smesso di suonare? Mi piaceva.»

«Ero stufo. Avevo voglia di te.» Sorrido. Lui ricambia.

«Comunque c’erano, i marinai. Solo che non potevi vederli,» mi confida.

«Ah no?» Scuote la testa. Il sorriso sulle sue labbra si fa malizioso.

«No, perché erano sdraiati sul fondo della barca.»

«Interessante,» commento e lo bacio.

«E noi? Quand’è che ci sdraiamo sul fondo di una barca?» Lui risponde al bacio, ma non raccoglie la mia provocazione.

Dopo un po’ mi respinge con delicatezza e si alza, pensieroso. I suoi occhi assumono la tonalità che hanno quando è triste, o molto serio.

«Senti, ho provato a far finta di niente, ma non ce la faccio.»

Accenno un sorriso per sdrammatizzare, ma la sua espressione mi turba.

«C’entra Leonardo? Si è rifatto vivo?» Chiedo, cauto.

«No. Ti devo chiedere una cosa. È solo che…» esita.

«Dimmi, cosa c’è che non va?»
Lo incito, con una punta di inquietudine.

«Sei strano ultimamente. Sei distante, sempre sulle nuvole. Ti chiedo le cose e non rispondi. Non può essere solo per tuo padre. Perché non mi dici la verità?»

Universo Dentro - Zenzonelli VersionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora