Lo scalpiccio della pioggia era l'ultimo suono che volevo sentire, l'ultima melodia suggestiva e malinconica che mi fa rendere conto di quanto tutto questo sia dolorosamente reale, vivido come un taglio sulla pelle, l'ennesimo fatto senza rendermene conto, come se tutta la strada che ho percorso fin ora non fosse servita a farmi muovere di un millimetro.
La pioggia continua a scorrere, la mia anima rotta piange incessantemente da giorni, forse ormai è passato un mese e non accenna a smettere. Ogni giorno come il precedente, come se dentro di me fosse iniziato il periodo degli acquazzoni estivi ma circondato dal ghiaccio. Non so se piove acqua o ghiaccio, in effetti, non ho nemmeno intenzione di chiedermelo. Io ho diritto solo a sentire i singulti continui, i cocci che si rompono giorno dopo giorno e a non poter entrare nella stanza per cercare di riparare almeno un angolino, qualcosa di insignificante ma che possa darmi l'illusione di essere utile a me stesso. Questa volta sono chiuso fuori, la mia anima non mi darà nemmeno il contentino.
Oggi ho scoperto altri segni, sulle gambe, non ricordo quando li ho fatti o se sia colpa mia, ma so che ci sono e sono un regalo folle per una festività che mi porta un altrettanto folle dolore.
Prendete questo scritto come una lettera dall'inferno, uno spaccato su un altro modo per sentire le feste, quello di chi non ha nessuno e non ha bei ricordi da ricamarci sopra.
Una lettera dal proprio inferno personale, ironico in un giorno simile, ma tant'è. Non ho mai creduto in qualcosa, né tanto meno mai sentito del calore di un qualche tipo, è sempre e solo ghiaccio o tempesta, non ho via di uscita se non degli sfoghi fisici fuori dal mio controllo di cui mi vergogno.
Ed è così che voglio finire il testo, mandandovi gli auguri dal vostro vecchio scrittore frammentato...
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Il bacio del salice
PoesíaRaccolta di scritti vari incentrati soprattutto sull'Amore e quel leggero senso di angoscia confortante che il crepuscolo porta con sé.
