16. KATE.

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Un tonfo sordo alla porta mi sveglia di soprassalto.

Afferrando la sveglia digitale dal comodino, noto con non poco dispiacere che sono le due del mattino.

Strabuzzo gli occhi immersa nell'oscurità e cerco di mettere a fuoco ciò che mi circonda. Buio e silenzio totale.

Sto per rimettermi sotto le coperte quando arriva un secondo colpo.

Rotolo giù dal letto apprezzando il fatto che la febbre e i capogiri sembrano passati. Scendo pigramente le scale per andare a vedere chi è che mi sveglia alle cazzo delle due del mattino.

Non che abbia intenzione di aprire sia chiaro.

Sono quasi all'ingresso quando sento il terzo tonfo.

Arriccio il naso e aspetto di sentire qualcos'altro.

Inizialmente, penso che potrebbe essere qualche malintenzionato, quindi afferro la prima cosa che mi capita a tiro e cioè, un ombrello attaccato al gancio di metallo dell'ingresso.

Mi avvicino allo spioncino facendo il minor rumore possibile spostando la piastrina e...non c'è nessuno.

Che cazzo?

Penso di essermi sognata tutto anche perché sono ancora mezzo addormentata, ma quando sento qualcuno borbottare trasalisco e inforco l'ombrello tra le mani.

Chiunque sia la persona alla porta se la vedrà con lui. Non con me. Improvvisamente, mi chiedo perché non ho ascoltato mio padre quando mi aveva detto di fare un corso di autodifesa. Onestamente ora mi sembra l'unica cosa utile da fare per una donna che abita da sola dovrebbe fare.

Quando però sento l'ennesimo rumore decido di tornarmene a letto perché, chiunque ci sia dall'altra parte, non mi ucciderà proprio questa notte. Sono già a metà delle scale quando sento un flebile: 'Kate', risuonare nella stanza. E solo una persona dice il mio nome in quel modo.

Quindi faccio marcia indietro e ritorno alla porta. Aprendola, la persona che è accucciata alla porta conferma la mia supposizione.

Alex. Sembra svenuto e trema come una foglia, oltre alla puzza di fumo di sigaretta e alcolici che gli sento addosso. E menomale che da avvocato dovrebbe dare il buon esempio.

É accoccolato su un fianco e non riesco a vedergli la faccia. Provo ad avvicinarmi, accovacciandomi sulla porta.

«Alex?» In risposta, emette un rantolo di dolore, portandosi la mano su un fianco. Mi accosto a lui, provando a girargli il viso, ma lui oppone resistenza.

«Scusa, non volevo svegliarti», mormora a voce bassissima.

«Stai bene?», rispondo invece. Lui annuisce, ma continua a fare pressione prendendosi il fianco. Decido quindi di afferrargli la mano per capire meglio.

«Cosa ti è successo?»

«Niente», fa una pausa angosciante e la sua bocca si increspa per il dolore. «Puoi aiutarmi ad alzarmi?».

Faccio si con la testa e mi metto al lavoro.

Faccio del mio meglio e gli infilo un braccio dietro al collo. Lo tiro su verso di me, ma, quando faccio per alzarlo, vedo un livido sotto l'occhio e del sangue che gli cola da un lato della bocca.

Noto che entrambe le palpebre sono gonfie come se qualcuno gli avesse dato una scarica di pugni.

Ma che cazzo sta succedendo?

«Hai fatto a botte con qualcuno?» chiedo, fingendo un'espressione impassibile. Anche se è ovvio sia così.

Un filo di sangue scorre dal mento, passando per il collo, fino ad addentrarsi all'interno della della sua camicia sbottonata.

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