Storia 10°

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Guardavo questa ragazza al tavolo di fronte al mio, poi facevo altro, poi la riguardavo. Se n'è accorta, prima si è sentita un po' a disagio e poi ha iniziato anche lei a guardarmi, però male, come a dire Ma che cazzo vuoi. Aveva le converse blu, i jeans strappati, una felpa di due taglie più grandi, il piercing al naso, al sopracciglio e alla guancia e dei capelli veramente assurdi. Io in tailleur, nero, con dei contratti sparsi sul tavolino del bar e una biro tra le dita. Devo averle dato l'impressione di essere la rompicoglioni di turno che non vede l'ora di diventare madre solo per proibire cose ai figli. Io delle impressioni mi sono veramente rotta le palle, allora mi alzo e le vado incontro. Si irrigidisce. Ciao, le dico. Ciao, mi dice. Senti, comincio, devo dirti una cosa. Dimmi pure, mi fa, incuriosita ma con l'aria da Mo con questa ci litigo. Io, le dico, credo di essermi innamorata del colore dei tuoi capelli. Se mi presentassi in ufficio come te mi licenzierebbero ridendo, ma anche sticazzi, quindi volevo sapere da che parrucchiere lo hai fatto così vado anche io, concludo. Alza un sopracciglio, poi l'altro, poi scoppia a ridere, ammorbidisce la postura, mi fa cenno di sedermi con lei e iniziamo a chiacchierare.
Non lo so quando andrò a fare i capelli verdi, però quando sono andata via e lei mi ha salutata dicendo "Tu sei dentro come sono io fuori" a me è venuto da pensare che se accanto ai cassonetti di organico, carta, alluminio e plastica ne mettessero anche uno grandissimo con scritto ASPETTATIVE E GIUDIZI INFONDATI allora sì che si respirerebbe un'aria più pulita.

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