Non ti lascio marcire in manicomio

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Il dolore è una bestia famelica, si nutre di carne e sangue, ingoia ogni residuo di felicità, banchetta con lacrime e tormento, lasciando dietro di sé solo un'immensa voragine di paura e dannazione.

Anche Bianca, la fedele compagna di tanti viaggi, sembra triste. Trascina il calesse con la testa bassa e il passo lento.

Dopo aver lasciato il Sant'Artemio, arrivano sulla strada principale, la Pontebbana. Anselmo tira le redini, ferma la cavalla. Sta per immettersi sulla lunga arteria stradale che parte da Mestre e arriva in Friuli.

È una giornata di festa, il lungo rettilineo, solitamente trafficato, è semideserto. Si vedono solo qualche bicicletta e qualche carro trainato da muli o buoi. Le automobili sono un lusso per pochi, a cui Anselmo non è ancora abituato. Ne vede passare una, la carrozzeria scura riluce sotto il sole. Un signore, vestito in modo elegante, tiene il volante con le mani guantate. Anselmo viene travolto da una nuvola di polvere e dall'odore di carburante. Sbuffa. Quelle carrozze con il motore non riusciranno mai a sostituire i cavalli, pensa, agitando il cappello davanti al viso per allontanare la polvere, la puzza di benzina e per rinfrescarsi. Si passa il fazzoletto sulla fronte e sulla nuca asciugandosi il sudore.

L'immagine di Giovanna, il suo sguardo pieno di dolore e rimprovero, è una lancia che gli squarcia il petto. Non fa che pensare a lei, all'ultimo incontro finito nel modo più penoso. Ha trentasei anni, ma in quella giornata si sente come se ne avesse addosso il peso di un'intera vita.

Decido io della salute e della vita di mia moglie, si era detto mentre attendeva nella saletta d'aspetto della direzione, deciso a prendere in mano la situazione.

La sofferenza e il rimorso per quella notte di violenza, che si porta dentro come una condanna, lo hanno reso un uomo determinato. Ha preso una decisione, forse la più importante della sua vita.

"Mia moglie non può restare un giorno di più in questo luogo. Non voglio lasciarla marcire qui dentro!"

Il direttore, un uomo sulla sessantina, con il viso segnato dal tempo e dall'esperienza, aveva sgranato gli occhi. Le labbra, sotto i baffi ingialliti dal fumo, fremevano di indignazione. Si era nervosamente aggiustato la cravatta sotto il colletto del camice, poi si era accasciato sulla sedia, dietro la scrivania in mogano e aveva fissato Anselmo con espressione incredula.

"Signor Carniato, lei si sta assumendo una grave responsabilità. Non si rende conto del pericolo a cui sta esponendo sua moglie con la sua decisione sconsiderata. Non intendo firmare le dimissioni! Il mio dissenso è assoluto e il suo comportamento è irrispettoso per l'operato di questa rinomata struttura, fiore all'occhiello a livello nazionale. Ero alla finestra quando lei ha quasi aggredito la signora Giovanna. Ho visto tutto! Lei, signor Carniato, è un irresponsabile!"

Anselmo aveva ascoltato in silenzio, senza interrompere. Quando il direttore ebbe finito di parlare, si era alzato in piedi. La schiena dritta e un tono deciso, di chi non ammette repliche.

"Signor direttore, mi rendo conto del pericolo che corro anche se non sono certamente istruito come lei ma Giovanna è mia moglie e della sua vita decido io. Inoltre pago una retta mensile piuttosto onerosa. Forse è questo che la preoccupa? Perdere una dozzinante? Domani mattina alle dieci vengo a prendere Giovanna. La saluto."

Luigi Dal Bò, direttore del Sant'Artemio dal 1908, si era strappato il sigaro dalla bocca. Aveva raggiunto Anselmo poco prima che aprisse la porta per uscire.

"Dovrà firmare delle carte in cui si assume tutte le responsabilità, esonerando totalmente la struttura ospedaliera da qualsiasi conseguenza, sia di tipo medico che legale."

"Le firmo tutto quello che vuole. Arrivederci."

Anselmo ordina a Bianca di fermarsi davanti all'Antica Trattoria al Cavallino. Sente il cuore perdere un battito. È lì che ha incontrato Giovanna per la prima volta. Nemmeno due anni sono passati dal giorno del suo matrimonio, ma sembra che il tempo gli abbia rubato i ricordi.

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