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Mani avvinghiate al volante, sguardo fisso davanti a sé. Marta non respirava, era lì e non era lì.

Immobile, sembrava imbalsamata se non fosse stato per quell'unica lacrima silenziosa che le scendeva lungo il volto creando un solco nel fondotinta.

Tutto era sparito: la strada, l'interno dell'auto, la sensazione di essere dentro al proprio corpo. Restava solo quel rumore che le rimbombava in testa, nitido, continuativo, ripetuto come una moviola sadica.

Un colpo improvviso alla sua sinistra la fece saltare sul sedile. Marta urlò e si girò lentamente verso il finestrino. Si sentiva addosso quello sguardo di terrore che non vorresti mai vedere negli occhi di nessuno.

Un uomo paonazzo gesticolava e urlava parole incomprensibili, ovattate da quella percezione di estraneità che si era impossessata di lei.

Marta aprì la portiera, posò un piede sull'asfalto, ma quando tentò di alzarsi in piedi le gambe tremanti la fecero ricadere sul sedile. Tutto il suo corpo si scuoteva assalito dai tremori mentre l'uomo davanti a lei continuava a urlare.

«Perché cazzo hai frenato? Che problemi hai?»

Il tremore incontrollato le fece riempire gli occhi di lacrime.

«Ecco, pure la psicopatica dovevo beccare!»

Marta si portò le mani al volto sopraffatta dai singhiozzi.

«Ma che cazzo di reazione hai? È solo una bottarella!»

«Scusi... io... non...»

«Senti, ho fretta. Facciamo la constatazione.»

Marta sollevò la testa e guardò lo sconosciuto con aria assente.

«Riesci almeno a dirmi i tuoi dati?»

«Non... che...»

«Senti, se chiamiamo la polizia ci mettiamo una vita. Hai inchiodato come un'idiota, ma mi prendo la colpa io.»

Per Marta quella frase fu come ricevere uno schiaffo e si scosse.

«La colpa mi pare... il minimo.» Gli lanciò uno sguardo sprezzante.

«Bene, procediamo?»

«Un attimo.»

Marta prese il telefonino, cercò di aprire i contatti ma le mani le tremavano così tanto che il telefono le cadde sulle gambe. Riprovò, ma anche selezionati i contatti, non riusciva a selezionare le lettere sulla tastiera.

«Mi può aiutare?»

«Dia qua.»

L'uomo le strappò il telefono dalle mani. Marta, balbettando, gli indicò di chiamare Alex.

Nell'attesa si appoggiò al sedile e cercò di ripristinare il respiro in modo lento e profondo come gli psicologi le avevano insegnato. I minuti nell'orologio del cruscotto sembravano aver rallentato la loro corsa, mentre Marta, tra un respiro e l'altro, gettava sguardi preoccupati allo specchietto e vedeva lo sconosciuto aggirarsi attorno all'auto gesticolando nervoso mentre parlava al telefono.

Quando finalmente Alex arrivò, mollò l'auto con le quattro frecce sul marciapiede e corse da lei ignorando l'uomo che lo aveva seguito mettendogli già fretta.

Si chinò davanti al sedile, prese il volto di Marta tra le mani e la fissò negli occhi.

«Marta, calma. Ora ci sono io. Va tutto bene, non è successo nulla di grave. Va tutto bene.»

Lei assentì con il solo movimento della testa.

«Ci diamo una mossa qui? O dobbiamo aspettare anche la mamma?»

Alex si lanciò contro l'uomo e gli prese il collo del giubbotto. Lo fissò a pochi centimetri dal suo viso.

«Che merda di uomo sei? Lo vedi come sta?»

«È uno stupidissimo tamponamento. Quella lì è matta.»

Alex lo spinse indietro tenendo la presa sul giubbotto dell'uomo.

«Intanto "quella lì" ha un nome. E tu sei una grandissima testa di cazzo.»

Marta chiamò Alex dall'auto.

«Mettimi subito giù.»

«Altrimenti? Cosa fai?»

«Alex!» La voce di Marta si intromise ancora tra i due. «Lascia perdere. Lui non sa...»

«Non sapere non gli dà il diritto di fare lo stronzo» rispose mollando la presa e allontanandosi dallo sconosciuto.

«Ma tu non puoi inchiodare così senza motivo, bella mia.»

«Bella mia lo dici a tua sorella» urlò Alex tornando verso di lui.

«Basta!» La voce di Marta suonò forte e decisa. «Alex, lascia perdere 'sto coglione. E tu, bello mio, ti auguro anche solo la metà di quello che è successo a me. Vediamo dopo se hai ancora tanta voglia di fare lo stronzo.»

I due uomini si ammutolirono, ma continuarono a fissarsi in silenzio.

La voce di Marta tornò a tremare dal nervoso.

«Alex, voglio andare a casa. Compila i moduli per favore, e andiamo.»

La constatazione fu tutto tranne che amichevole, ma almeno l'urgenza di andarsene era condivisa da tutti e velocizzò le cose.

Marta guidò verso casa con le mani ancorate al volante, mentre Alex la seguiva con la sua auto. Entrarono in casa mano nella mano, ma poi Alex la obbligò a mettersi sul divano senza muovere un dito mentre le preparava una tisana rilassante. Rimase con lei qualche minuto, giusto il tempo di vederla più tranquilla avvolta nella copertina di panno; le porse il telecomando della televisione e le disse che sarebbe tornato il prima possibile, giusto il tempo per prendere da casa tutto il necessario per fermarsi a dormire, spazzolino in primis.

Marta quella notte si svegliò di soprassalto tre volte, ma almeno Alex era lì con lei.

Il vestito bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora