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La mattina seguente, quando Marta si svegliò e si girò nel letto verso Alex per accoccolarsi a lui, lui non c'era. Ma il suo zaino era ancora lì, appoggiato al comodino. Anche Mika non era nella cuccia in camera. Strano, pensò.

L'aroma del caffè le solleticò le narici e l'attirò in cucina. La tavola era apparecchiata per la colazione e Mika, accanto al tavolo, sbaffava con voracità una ciotola straripante di crocchette.

Davanti alla tazzina di caffè c'era un biglietto piegato in due.

"Torno subito... forse! :-P"

Marta rise, lo sfiorò per un po' come ad accarezzarlo, poi lo piegò con l'intenzione di conservarlo nel portaoggetti delle cose belle.


Mentre Marta rovistava nell'armadio in cerca di qualcosa di caldo e comodo per la giornata, Alex irruppe in camera.

«Metterei qualcosa di più pesante di quello.»

Marta guardò la maglia che teneva in mano.

«Ma... è lana.»

«Sottile. Fossi in te, aggiungerei uno strato. Metti anche sciarpa e cuffia che usciamo.»

Lo sguardo accigliato di Marta si spostò dal viso di Alex a un pacco regalo dall'aspetto stropicciato che lui teneva tra le mani.

«Non è il mio compleanno. E Natale è passato da un pezzo.»

«Deve esserci per forza una ricorrenza?»

«No... ma... io...»

Alex abbassò gli occhi.

«Ieri mi sono comportato da stronzo. Mi dispiace.» Poi tornò a guardare lei, che lo fissava con l'espressione buffa e sbalordita tipica dei bambini. «Lo avevo preso per la primavera ma... vedilo come un anticipo per scusarmi con te.»

Marta si avvicinò a lui, gli appoggiò un bacio sulle labbra e gli sussurrò: «Non ne hai bisogno.»

«Non si discute» rispose lui porgendole una fascia nera.

«Questa cosa sarebbe?»

«Mettila sugli occhi.»

«Oddio, ne pensi sempre una più del diavolo.»

«Ho fatto un patto con lui, per questo sono tornato e sono vivo.»

Marta finì di vestirsi; sorrideva e un brivido di incuriosita aspettativa le attraversò il corpo. Porse la benda ad Alex e lasciò che il suo mondo diventasse nero, un nero brillante e pieno di colori.


«Dove andiamo?» chiese dopo aver perso il senso dell'orientamento alla terza curva.

«Non ti ho bendata per dirti dove andiamo.»

Mika abbaiò dal sedile posteriore.

Al buio lo stomaco le suggerì che l'auto aveva fatto un altro paio di curve, poi aveva rallentato.

«Siamo arrivati?»

Un bip, forte e stridulo le entrò nelle viscere. Il respirò le si bloccò all'improvviso.

Un secondo bip, e il corpo di Marta iniziò a tremare, mentre l'auto riprendeva velocità.

Immobile, ibernata sul sedile, come in trance, Marta sussurrava: «No, no, no, ti prego, no.»

Poi, di colpo, si strappò la benda dagli occhi e davanti a lei si aprirono le tre corsie. Le auto le sfrecciavano accanto a tutta velocità, troppa velocità. Davanti a loro un camion, dietro di loro un altro camion. Era circondata da un mare di squali, e lei era la preda.

«Esci.»

«Cosa...?»

Marta urlò: «Esci, ora!»

«Non posso ora...»

Lei si schiacciò sul sedile, il respiro le divenne improvvisamente affannoso mentre gli occhi vitrei, spalancati, stravolti fissavano la strada.

Piagnucolò: «Alex, ti prego. Non ce la faccio.»

«Okay, tranquilla. Alla prima uscita esco. Cosa posso fare intanto?»

«Veloce, vai veloce.»

Alex spostava di continuo lo sguardo dalla strada a lei per poi tornare sulla strada.

«E tieni gli occhi sulla strada!»

Marta si schiacciò ancora di più sul sedile, si muoveva in preda a un tremore irrefrenabile.

«Oddio, un camion.»

Si ancorò con una mano alla maniglia della portiera e con l'altra al sedile. Cominciò a piangere e singhiozzare.

«Marta, io, scusami, non immaginavo...»

Alex le posò una mano sulla gamba per farle sentire la sua presenza e vicinanza, si spostò in prima corsia e poi entrò in una piazzola di sosta. Le prese le mani, mentre lei continuava a fissare davanti a sé.

«Sono qui. Calmati, ora usciamo e tutto passa. Okay?»

«Avrei dovuto dirtelo...»

«Magari, sì... almeno questo particolare. Andrà tutto bene.»

Marta scuoteva la testa.

«No, no, no. Non lo puoi sapere.»

Lui le prese il volto tra le mani e la guardò negli occhi lucidi e arrossati.

«Ti prometto che farò tutto quello che è in mio potere per farti uscire da qui sana e salva. Sei al sicuro.»

Marta fece di sì con la testa, più per cercare di autoconvincersi della cosa piuttosto che per rispondere a lui.

Alex prese gli auricolari che teneva nel bracciolo, le porse il suo telefonino e le disse di ascoltare musica a occhi chiusi, di concentrarsi solo su quei suoni e sulle parole; poi ripartì. Spinse sull'acceleratore per restare lontano dai camion che, nonostante la velocità, cercavano di superarlo. Non si girò mai verso di lei, ma la controllò con la coda dell'occhio: era rigida come un soldatino, aveva gli occhi chiusi e le lacrime le scendevano imperterrite sulle guance.

Appena imboccò l'uscita, Alex le sfilò una cuffia dalle orecchie e le disse che era finita.

Si fermarono subito fuori dal casello, cosicché Marta si potesse sgranchire. Appena scesa dall'auto si gettò tra le braccia di lui e, con voce flebile e tremante, si scusò più e più volte, perché sapeva che le sue reazioni erano eccessive agli occhi di chiunque non avesse vissuto quanto era accaduto a lei. Ma Alex non era chiunque. La rassicurò, cullò, abbracciò e baciò finché non fu lei a chiedergli di ripartire, se la cosa era fattibile anche con la strada normale.

Mika, lingua a penzoloni, li fissava dal finestrino posteriore.


Durante il lungo e lento viaggio verso la meta misteriosa, Alex le aveva posato più volte la mano sulla coscia e Marta aveva a sua volta posato la sua sopra quella di lui; avevano inventato giochi bambineschi sui colori delle auto che incrociavano e il viaggio si era così trasformato da incubo a spensieratezza. Marta era così presa a giocare che non aveva mai guardato i cartelli stradali e si era lasciata trasportare verso il mare in pieno inverno. 

Il vestito bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora