Capitolo 3° - Rifugio Dal Dolore.

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La notte minacciosa bussò silenziosamente su Araghen, ma le tenebre invasero l'animo di Ivarsen.
Col volto sfregiato e il capo basso, camminò silenziosamente lungo il corridoio esterno del palazzo, per non farsi scoprire...
Stava raggiungendo la stanza del padre.
Non vedeva sua zia Monia dal pomeriggio, da quando lei osò proteggerlo dalle torture del padre.
Non la vide più per tutte quelle ore...
Né lei.
Né la sua piccina.
Portò ancora i pantaloni bianchi di quel mattino, macchiati di sangue, sopra invece una camicia larga di lino, altrettanto macchiata, però, del suo stesso sangue. Non si lavò il viso. Non accettò le cure delle domestiche, rimase col un sopracciglio spaccato, il naso indolenzito e ancora macchiato di sangue che colò dalle narici fino al collo, macchiando le labbra, passando sul pomo d'Adamo fino al petto. La famiglia di Ellie minacciò malamente lui, Ivarsen Berkinghan, di morte.
Avrebbero chiuso i porti. Avrebbero distrutto le loro navi stesse e avrebbero persino chiamato i loro cari parenti per raggiungerli ad Araghen.
Ivarsen però sorrise.
Non di felicità, ma di pazzia.

Chiamate tutti.
Chiamate il diavolo con i suoi angeli caduti.
Brucerò dentro le fiamme per uccidervi tutti.

Li avrebbe rasi al suolo. Li avrebbe bruciati, sterminato le loro famiglie e sepolti al centro della città dinanzi al popolo. Avrebbe dominato qualsiasi cosa e tastato il territorio senza pietà.
Roteò la spada, fissando il vuoto mentre le gambe si mossero d'istinto lungo quel corridoio, in direzione della stanza matrimoniale dei suoi cari... genitori.
Ora, però, solo di suo padre.
Qualcuno corse davanti a lui, obbligandolo ad alzare lo sguardo e nascondere la spada dietro la schiena. Sgranò gli occhi, ma alla vista di Mikhail, Ivarsen si rilassò e ritornò a respirare.
Il giovane soldato, il suo braccio destro, con ancora gli abiti da notte sblusati, lo fissò sconvolto col fiato di fuori. «...Ivar.» mormorò l'amico, era l'unico al quale era permesso dal principe stesso di chiamarlo per nome, di prendersi confidenze... erano migliori amici da una vita. Gli occhi verdi del principe si intrisero di lacrime e il volto si piegò in un'espressione di sofferenza.
Mikhail... sapeva tutto.
Odiava anche lui il Re. Quel matto.
Ivarsen cadde in ginocchio davanti a lui, mostrando con vergogna i segni di tortura sul proprio volto, sotto il chiaro di luna. Il lentigginoso davanti a lui glu corse immediatamente incontro, cercando di afferrare le sue mani: «Un vero Re non si inginocchia davanti a nessuno. Alzati, Ivar! Muoviti. Dobbiamo chiudere quelle ferite, coraggio.» Mikhail lo implorò, ma Ivarsen singhiozzò. Si vergognò da morire. Un ventottenne in preda al panico, piagnucolante, ferito dalla tortura... in ginocchio davanti ad un soldato che, a quella vista, pianse allo stesso modo. Mikhail si sentì morire nel vederlo in quelle condizioni, l'ultima volta che lo vide in quel modo, fu a quattordici anni, nel cuore della notte.
«Ivar, dov'è tua zia Monia?»
«Non lo so...»
«E Adonis dov'è?»
«La piccina... dov'è? Non lo so.»
Ivarsen singhiozzò, il panico lo assalì.
Solo Mikhail conosceva Adonis.
Non parlarono quasi mai, molte volte il giovane soldato coprì i due per farli incontrare o parlare, addirittura farli avvicinare durante le feste in città.
Monia era una donna speciale anche per lui, dunque, conoscendo la mente malata del Re, dubitò fortemente non vedendo la donna e la bambina, soprattutto dopo quell'orribile matrimonio.
«Mikhail... Mikhail, la piccola dov'è? Dov'è la mia Niss?» Ivarsen si aggrappò alle gambe dell'amico che si sforzò con tutto se stesso dal non piangere. Vedere un principe così forte ed enorme inginocchiato davanti ad un semplice soldato, non era il massimo per Mikhail. Per lui, Ivarsen non era un semplice principe o un combattente, per lui era già Re. Era un vincitore, un comandante pronto alla giustizia. Il castano schiuse le labbra per rispondere, ma il lamento di una donna, dietro di loro, li fece rabbrividire. Mikhail sgranò gli occhi e si voltò all'istante, Ivarsen si spostò subito per guardare e... vide Monia, a terra, con gli abiti strappati. «Quel piccolo bastardo vigliacco, un Re? Mi deludi, traditore.» Sputò amaramente George, camminando di poco sopra il corpo della sorella, mostrando la spada impugnata nella mano destra.
Il suo corpo era grosso e potente quanto quello del figlio, Monia non riuscì a difendere con tutta se stessa suo nipote. Gli abiti del Re erano scollati e la cinta dei pantaloni aperta.
Mikhail quasi vomitò.
Privo di armi, afferrò una torcia infuocata dal muro pronto a difendere il principe dietro di lui.
«Cosa hai fatto...» Mormorò Ivarsen con angoscia, fissando Monia gettata al suolo piena di lividi e gli abiti strappati. Il biondo si alzò all'istante piazzandosi davanti l'amico, fece luccicare la spada e lo fissò, con un po' di timore.
Sentì puzza di prosecco e vino e arricciò il naso di rabbia; quell'orribile uomo, era matto, spregevole, un cane che non riconosce il suo stesso padrone.
Un menefreghista, narciso.
Tutto il contrario di ciò che era Ivarsen.

𝐏𝐀𝐈𝐍𝐒𝐇𝐄𝐋𝐓𝐄𝐑Where stories live. Discover now