Capitolo 5° - Macigno.

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Trascinata dentro una gabbia, come un animale pronto al macello. Incatenata come un mostro, con gli occhi di tutti addosso. Stretta dentro quelle sbarre di ferro, incapace di poter fare qualcosa.
Perché, forse, non voleva davvero fuggire.
Ritornò indietro, ripercorrendo per quasi un'ora le stesse strade che lei stessa percosse da una vita, dimenticandosi ormai il motivo per il quale voleva fuggire dall'altra parte del mondo per dimenticare tutto e tutti... soprattutto Lui. Ma il destino, aveva deciso da per sé cosa fare, distruggendo ogni piano da lei progettato.

Tranne la vendetta di Lui.

Durante quel lungo e imbarazzante tragitto, Adonis si ritrovò addosso gli occhi ancora increduli e anch'essi feriti di Mikhail. In groppa al suo cavallo marrone, intento a controllare quella gabbia quasi con timore... Mikhail era l'unico estraneo a sapere del vecchio segreto di Ivarsen. Quindi, la paura che quella bambina... ragazza, potesse ribellarsi e scatenare l'inferno, era tanta. Ma la strana tranquillità e sicurezza di Ivarsen quasi spianò del tutto le sue preoccupazioni. Così, nel percorrere in silenzio la strada di ritorno, la studiò attentamente, notando ancor di più l'oscurità attorniare gli occhi di quella creatura maligna intrappolata finalmente fra le grinfie del suo Re. Mikhail provò paura, delusione, amarezza... si, ma la pietà non svanì del tutto; si sentì quasi mortificato nel notare come le labbra della giovane pallida si schiudessero ogni tanto per proferire una parola, ma dalla sua bocca uscirono solo piccoli sospiri tremolanti e insicuri.

Rifletti...

Quel comandante, in qualche modo, capì che nonostante tutto, la corvina cercasse di comunicare o connettersi con Lui, quell'uomo grande e grosso che proseguiva verso l'accesso di Araghen in groppa al proprio cavallo bianco.
«Dietro. Non quì.» Ordinò all'improvviso proprio lui, Ivarsen, facendo cenno della mano al resto dei soldati di continuare col loro lavoro. Mikhail aggrottò la fronte, concentrato, notando come Adonis fosse saltata in aria non appena Ivarsen parlò, dopo quasi un'ora. Cavolo. Provava dispiacere. Sembrava realmente terrorizzata dentro quella gabbia. Si guardò intorno con la testa alzata, respirò veloce e quasi sudò per il panico... il panico, l'assalì, quella maledetta paura che la fece urlare e scalciare, attirando subito l'attenzione infastidita del Re, ma anche di tutti i soldati e del loro comandante, Mikhail... sconvolto.
«No...no. No. No non mi deve vedere nessuno!» Il respiro affannato della corvina si trasformò quasi in un ruggito demoniaco e animalesco, come una pantera chiusa in gabbia. Non si rese conto, però, che Ivarsen stesso la portò lontana dal centro città, direttamente sul retro del palazzo Reale.
Nessuno doveva vederla... non ancora.
Doveva fare i conti con lei.
E di certo, quei capricci non l'avrebbero fermato.
Solo con i suoi occhi, ordinò al resto degli uomini di dileguarsi, e con loro anche Mikhail... purtroppo.
Il castano deglutì, scese dal cavallo e si voltò, scosso, ordinando a tutti e venti i soldati di allontanarsi assieme ai cavalli, così da riporre la massima concentrazione sul da farsi per quei ragazzini e bambini. Mikhail sapeva cosa fare. Studiò a lungo piani del genere assieme ad Ivarsen per aiutare gente coinvolta in quelle situazioni.
Nel frattempo, un leggero rumore metallico attirò subito l'attenzione di Ivarsen...

Merda... Adonis stava piegando le sbarre di ferro.

Che divertimento. Uno spasso.
Ivarsen non era mica un vecchio stolto.
Trentasei anni di esperienze di ogni genere, non lo avrebbe spaventato di certo una ragazzina in preda ad un attacco di rabbia animalesca.
«Basta.» Ringhiò lui, sbattendo un pugno fortissimo contro la gabbia. Adonis sussultò e ritirò immediatamente le mani, lasciandosi scappare un piccolo urletto per quel gesto così... violento.
«Idiota del cazzo.» La insultò, aprendo immediatamente la piccola cella con le chiavi, afferrandola dalle braccia per tirarla fuori come un animale appena trovato in mezzo alla strada.
«MOLLAMI! STRONZO IDIOTA!» Adonis scalciò, diede pugni, urlò e ringhiò, ma nulla fermò Ivarsen.
La caricò su una spalla come un sacco di patate, gemendo un attimo di dolore, non per lei, ma per colpa di una leggera fitta al petto, causata dal freddo.

𝐏𝐀𝐈𝐍𝐒𝐇𝐄𝐋𝐓𝐄𝐑Where stories live. Discover now