R - Non è colpa mia

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Pubblicato il 18/02/2024

Quando Arthur acconsentì, mi sedetti sul bordo del letto mandando al diavolo tutti i miei buoni propositi, gli dissi « Mi dispiace. Ho avuto paura. »

« Di me? » e a quella domanda si rispose da solo, « Tutti hanno paura di me. », abbassando la mascherina sugli occhi, si coprì il viso con entrambe le braccia posizionandole a mo' di croce.

« Dispiace anche a me, farti paura. » dalle braccia distese sbucava la bocca semiaperta dalla quale liberò un sospiro rassegnato. Mi accostai al suo fianco, provai a fargli deporre lo scudo facendo leva sui gomiti.

« Guardami. Non ho paura di te. » e lo rimproverai alzando la voce, « Tu non puoi non guardarmi. »

Il nostro bacio mi aveva scottato, ma parlargliene in un momento del genere non era indicato. Il mio nuovo burner phone - sostituto necessario dopo l'incidente avvenuto tra Leonard e il precedente - s'intromise nella nostra conversazione squillando.

Leonard spalancò bruscamente le braccia e, come uno scudo che si apriva per poi richiudersi, le riportò sul viso. Sillabò lentamente un ordine dopo l'altro « Va' via, Ren. Va' da lui, va' a casa. »

Sarei già dovuta essere a casa. Avrei dovuto percorrere l'autostrada 17. Avrei dovuto depositare le valigie al check-in e acquistare un brandy per nonno Charlie al duty free dell'aeroporto. Non avevo fatto niente di tutto ciò e - per dirla tutta - non me ne ero neanche pentita.

Spensi il telefono e me ne feci una ragione. La mia scelta era ormai presa. La mia ragione persa.

La chimica dell'attrazione aveva avuto il sopravvento: l'aumento della dopamina e la diminuzione della serotonina avevano innescato un precario equilibrio tra eccitazione e ansia, tra cotta e sete; l'adrenalina, l'ossitocina e la vasopressina si erano rese responsabili degli effetti fisici: della sensazione di calore al suo tocco, della sudorazione a certe parole, e dell'aumento della frequenza cardiaca al ritmo delle emozioni.

In queste condizioni, non sarei andata da nessuna parte.

Il mio posto era lì. Era sempre stato lì.

La sete, il desiderio, l'irritazione provata nel venire a conoscenza del suo precedente matrimonio, non avevano fatto altro che rafforzare i miei sospetti. E poi c'era la sete. La sete di lui, per lui e con lui, che mi trafiggeva la gola e i sensi.

Confidarmi, aprirmi a lui e seguire il mio istinto aveva provocato un danno irreparabile. Leonard aveva guarito il mio dolore e, allo stesso tempo, mi aveva ammalato - come una persona infetta ammala le altre. Lui era la mia sindrome ed era assolutamente anche la mia medicina. Ed era mio. Era sempre stato mio. E volevo che lo fosse. Con tutta me stessa.

Il suo collo attirò la mia attenzione e mi spinsi oltre i miei stessi limiti. Le mie mani si aggrapparono alle sue spalle, poi una pausa sullo sterno per risalire fino alla gola e, in una manciata di secondi, piazzai un bacio sul labbro inferiore. Lo schiacciai. Era tiepido, pulsante e aveva dei taglietti ruvidi.

Non ricambiò, sollevò di poco la benda, quasi incredulo e strabuzzò gli occhi blu.

A pochi centimetri da quell'arco di cupido, spiegai al suo viso imbarazzato: « Mi spaventa di più quello che puoi farti, non quello che puoi farmi. Ma se ti avessi dato un bacio ne avresti voluto un altro. Quindi, è meglio che sia io a farlo. »

Quel bacio non calcolato lo rallegrò, quasi euforico sbuffò, « Come darti torto? » e si alzò raddrizzando la schiena sulla testiera del letto.

« Non amo gli scambi di effusioni in pubblico. » farfugliò distogliendo lo sguardo.

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